Seguici su:

La parola della domenica

“Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”

Pubblicato

il

Rubrica ad ispirazione cattolica a cura di Totò Sauna

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2022

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Lc 21,5-19

Siamo  arrivati alla fine dell’anno liturgico. In quest’ultimo Vangelo, Gesù ci invita a riflettere sulla fine dei tempi e sul Fine della nostra vita. Ci invita a vivere bene questo periodo della nostra vita. Ci invita  a non fidarci delle cose terrene. Non possiamo basare la nostra vita su queste cose o sulle persone del mondo. Tutti hanno un termine, tutti hanno una fine. Come possiamo appoggiare la nostra vita su una persona che oggi c’è e domani no ? Facciamo tutto con il massimo impegno . Le faccende di casa, il lavoro. Mettiamo amore in quello che facciamo, ma sapendo che non sono le cose più importanti della vita.  Tutto ha  un termine. La gloria di questo mondo è effimera passeggera.   Abbiamo assolutizzato cose effimere. Abbiamo divinizzato persone che poi ci hanno deluso. Ognuno di noi , caro lettore, avrà fatto esperienza. Abbiamo puntato tutto su progetti umani, su partiti politici , su squadre di calcio Sempre delusioni. Cose finite. Li abbiamo assolutizzati. Ma cose finite possono darci la Vita? Questo vangelo ci invita ad un vero discernimento. Dove sta appoggiato il mio cuore? Quali sono le priorità della mia vita? Un invito a conoscerci meglio, a vedere meglio la vita che stiamo vivendo ,a cosa diamo peso in maniera seria. Ma allora, chiedono i discepoli, per cosa bisogna vivere? Quando accadranno queste cose? Quando tutto quello su cui basiamo la a vita, cadranno? Gesù non risponde in maniera diretta. Ci invita a guardare oltre. Ad avere chiaro il fine della nostra vita. Non lasciamoci ingannare. Molti verranno nel nome di Cristo, dicendo sono io e il tempo è vicino. Non andate dietro a loro, ci ricorda Gesù. Vedete, noi abbiamo un problema, un grosso problema siamo inconsistenti finiti. Pensiamo che tutto dipenda noi, dalle nostre azioni, e che il Mondo intero penda dalle nostre labbra. Vogliamo risolvere tutto sapendo cosa succederà domani, possedendo il domani. Siamo  disposti a tutto per questo. Andiamo dietro a Santoni, a Maghi, gente che legge le carte, mani, piedi e cosi via  che ci promettono questo o quello. O molto, spesso, dietro a Politici che sanno tutto e che risolveranno tutto dandogli il nostro voto. Peccato, per poi ritrovarci ancora una volta  delusi.  Vogliamo conoscere il domani. Perché ci fa paura. La paura che si realizzi qualcosa che noi non fa piacere. Quando siamo sciocchi. Disposti a tutto per farci ingannare. Diceva un filosofo che quando il Mondo non crederà più in Dio il mondo crederà a tutto. Verissimo. Pensiamo che sapere prima tutto ci renda più sicuri. Succede il contrario. Viviamo più angosciati dipendente da qualcuno, dalle superstizioni, dall’oroscopo, dalle condizioni meteorologiche.  Nella Chiesa viviamo lo stesso caso. Andiamo dietro a Guaritori, veggenti improvvisati. E vediamo chiese stracolme dove c’è il guaritore di turno e chiese con pochissime persone magari a distanza di centro metri. Siamo degli stolti. Ma il Signore ci rassicura, non terrorizziamoci . Succederanno guerre, carestie, tranquilli, non è la fin. Esiste il male nella  storia nel mondo che deve emergere, deve uscire fuori. Ma non è la fine . Una tappa del percorso verso la fine, anzi, verso il vero fine. che è l’ Amore di Dio, che conduce tutto  e tutti verso un Bene più grande, anche se apparentemente non si vede, anche se a volte sembra vincere il male. Osserviamo la nostra vita. Quando alla nostra porta bussa la malattia. Una disgrazia. Non è la fine, anche, questa è una tappa verso il Fine, per abbandonarci a Lui, solo Lui che ci consola e ci aiuta ad affrontare tutto. A fidarci di Lui. Sembra quasi che siano necessarie. Spesso, senza questi avvenimenti, viviamo come se tutto fosse dovuto. La ricchezza, la salute, il lavoro, ecc. Tutto. Noi viviamo come se tutto questo  è il fine della vita. Tutto buono, tutto bello. Il Fine è altro. La conquista del Regno di Dio. La fatica può essere l’occasione di crescere, di credere. La fede si affina nella prova, diventa più trasparente, il tuo sguardo si rende più trasparente, diventi testimone di Dio quando ti giudicano, diventi santo davvero  non te ne accorgi, ti scopri credente. Se il mondo ci critica e ci giudica, se ci attacca, non mettiamoci sulle difensive, non ragioniamo con la logica di questo mondo: affidiamoci allo Spirito. Quando il mondo parla troppo della Chiesa, la Chiesa deve parlare maggiormente di Cristo. Continua il brano a parlarci della Perseveranza.  La perseveranza ci salverà la vita. Non stanchiamoci a pregare, non stanchiamoci a sperare, non stanchiamoci a guardare il Cielo, non stanchiamoci a rivolgerci al Signore. Tante volte vediamo che tutto rimane uguale. Non cambia nulla. Il mio cuore rimane lo stesso. Chi mi sta attorno è rimasto lo stesso. Tutto come prima. E non riusciamo ad amare il collega antipatico. Amare? Già il fatto che non lo odiamo è un miracolo. Gesù ci conosce e ci ripete “ Coraggio vai avanti, non preoccupati se per ora non ce la fai, coraggio persevera. Ecco la via della  Fede, la via della felicità: la Perseveranza.

Buona Domenica

Totò Sauna

clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

La parola della domenica

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

Pubblicato

il

Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

p. Ermes Ronchi

“Domenica scorsa Gesù aveva proiettato nel cielo di Galilea un sogno e un terremoto: beati voi poveri, guai a voi ricchi.Oggi sgrana un rosario di verbi esplosivi. Amate è il primo; e poi fate bene, benedite, pregate. E noi pensiamo: ci sta. Ma quello che mi scarnifica, i quattro chiodi della crocifissione, è l’elenco dei destinatari. Chi dobbiamo amare? Amate i vostri nemici, gli infamanti, gli sparlatori, coloro che vi pugnalano alle spalle.Gli inamabili.Poi Gesù mi guarda negli occhi e si rivolge proprio a me: tu porgi l’altra guancia, tu dai anche la camicia, tu non chiedere indietro. E ti costringe ad andare in cerca di quelli che vorresti invece perdere.Questo vangelo rischia di essere un supplizio, un martirio. Ci chiede cose impossibili, addirittura: Siate come Dio!Nessuno riuscirà a vivere così a colpi di volontà, neppure i più bravi tra noi. Ma i verbi impossibili di Gesù descrivono l’agire di Dio.Infatti: siate anche voi misericordiosi come il Padre.E poi: come volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi a loro. Una capriola che pare illogica: ritorna al cuore, misurati con ciò che desideri, accosta le labbra alla sorgente del cuore.Sappi che il cuore è buono. Che il tuo desiderio è buono. Abbiamo tutti un disperato bisogno di essere abbracciati e di essere perdonati.Tutti desideriamo qualcuno che ci benedica, una casa dove sentirci a casa, e poter contare sul mantello di un amico.Questo darò agli altri.Ciò che desideri per te, dallo all’altro. Altrimenti vi sbranerete per un pugno di euro, per una donna, per il petrolio, per un bonus, per un posto al parcheggio.L’unica strada per il sogno di cieli nuovi e terra nuova è Abele che diventa custode di Caino, la vittima che si prende cura del violento. Abele e Caino forzano insieme le porte del Regno.Perdonate:“Il perdono strappa dai circoli viziosi,spezza le coazioni a ripetere su altri ciò che hai subito,spezza la catena della colpa e della vendetta,spezza le simmetrie dell’odio” (Hanna Arendt).Sì, io però sono un angelo imperfetto.E allora il Vangelo propone una strategia. Un primo passo è sempre possibile, a tutti: il vangelo è pieno di inizi, trabocca della teologia dei germogli e del seme che spunta.Basta il coraggio di un primo passo. Come Dio. Come il cuore. Sappi che sei buono!Questi grandi verbi di fuoco (amate, date, perdonate) cominciano sottovoce, in penombra, raso terra, nel sussurro di una voce che ha i colori dell’alba.“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (Gandhi). Cambia qualcosa di te, ma sulla misura alta del vivere”.

Continua a leggere

La parola della domenica

‘Beati i poveri. Guai a voi, ricchi’

Pubblicato

il

Rubrica della domenica ad ispirazione cristiana

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Padre Ermes Ronchi

Un vangelo potente e inarrivabile.Da oltre cinquant’anni lotto con questo vangelo, che mi sfugge sempreLe parole che cerco di allineare sono come uccellini che sbattono contro le pareti della gabbia, a dire poco più del nulla che capiamo di queste parole immense.“Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri”, aveva detto nella sinagoga. Ed eccolo qui, il miracolo: beati voi poveri.Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio sono le infinite croci degli uomini.E aggiunge alla fine un’antitesi abbagliante: non sono i poveri il problema del mondo, ma i ricchi: guai a voi ricchi!Sillabe sospese tra sogno e miracolo, osate, prima ancora che da Gesù, da sua madre nel canto del Magnificat: “ha saziato gli affamati di vita, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. (Lc 1,53).Questi oracoli profetici, anzi più-che-profetici, quel “beati” che contiene pienezza, felicità, completezza, grazia, incollato a persone affamate e in lacrime, a poveracci, a disgraziati, ai bastonati dalla vita, ci obbliga a un capovolgimento di prospettiva, a guardare la storia con gli occhi dei poveri e dei piccoli, non con quelli dei ricchi e dei potenti, altrimenti non cambierà mai niente.E ci saremmo aspettati: “beati voi poveri perché ci sarà un capovolgimento, un’alternanza, diventerete voi i signori”.No. Il progetto di Dio è più profondo. C’è di mezzo il Regno dei cieli, che non è il paradiso o l’al di là, ma una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.Il mondo non appartiene a chi se ne impossessa o lo compra, ma a chi lo rende migliore. E non sarà reso migliore da coloro che hanno accumulato più denaro.Beati voi… Il vangelo più alternativo che si possa pensare, il manifesto più stravolgente e contromano. Eppure, al tempo stesso, senti che è amico della vita, vangelo amico.Perché le beatitudini non sono un comandamento, un ordine da eseguire, ma il cuore dell’annuncio di Gesù: la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, Dio regala gioia a chi costruisce pace.In esse è l’inizio della guarigione del cuore, perché il cuore guarito sia l’inizio della guarigione del mondo.Guai a voi, ricchi, sazi, gaudenti, famosi. I quattro “guai” ci inquietano un po’, ma non sono delle maledizioni: Dio non maledice le sue creature, mai, la sua è la voce della tristezza del padre in pena per i figli che si stanno perdendo.“Guai” non suona come una minaccia, ma come il gemito dei lamenti funebri, il singhiozzo del pianto su chi appare come morto.“Guai”: e vi sento dentro il lamento di Gesù, che piange i ricchi e i sazi come coloro che si sono sbagliati su ciò che è vita e ciò che non lo è; e sono diventati gli idolatri del vuoto, gli amanti del nulla.E gli idoli sono crudeli, spietati: divorano i loro stessi adoratori.

Continua a leggere

La parola della domenica

«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini»

Pubblicato

il

 Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Vangelo secondo LucaLc 5,1-11

 In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Le letture di oggi propongono uno dei temi più affascinanti dell’esperienza religiosa: quello del Dio trascendente e glorioso, tremendum et fascinansTremendum, perché dice santità e inaccessibilità. Dio non lo si può possedere. Al suo cospetto gli uomini avvertono un timore “numinoso”, come di fronte a qualcosa che si è indegni di avvicinare perché troppo piccoli e inadeguati. E tuttavia fascinans, perché il mistero attira e rapisce: la creatura sente, nonostante tutto, il bisogno di avvicinarsi. Questa esperienza “religiosa – sommariamente descritta – non è l’esperienza dell’uomo biblico, perché il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Gesù, non se ne sta racchiuso nella sua onnipotenza maestosa, incutendo paura e tremore, ma discende per entrare in relazione con l’essere umano. È Dio stesso che si china per abbracciare il limite umano in un amplesso di intimità salvifica. Di fronte al Santo l’uomo avverte rispetto, ma non paura, perché, come dice il cantico, Dio scende per «visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79)

Prima lettura: Is 6,1-2a-3-8

La visione di Isaia si apre con uno sguardo sulla corte celeste e sulla celebrazione della trascendenza e della santità divina. Dio appare attorniato dai serafini che cantano la sua santità, mentre il tempio si riempie di fumo. Gloria, santità, nube, fumo… sono tutte espressioni della trascendenza di Dio, dell’insondabile mistero che lo avvolge. Bisogna stare però attenti a non confondere il “mistero” divino con l’umiliazione della ragione umana, come se Dio, con la sua “lontananza”, volesse tenere l’uomo a distanza. No, Dio non mortifica l’uomo per ergersi su di lui. La Bibbia non parla mai della paura di Dio, ma del timore di Dio, che è altra cosa. Temere Dio significa “prenderlo sul serio”! Il mistero divino dice alterità e libertà, gratuità e grazia. Il mistero di Dio dice che quanto di lui sappiamo è un dono, una promessa e che noi non siamo in grado di comprendere tutto, perché non siamo neppure capaci di comprendere noi stessi. Dio va preso sul serio e amato anche se rimane il nostro «immenso enigma, il nostro grande amore, l’infinito dolore della nostra vita» (Lippert). Lo sappiamo tutti: il più grande dei misteri non è la persona più lontana, ma la più prossima, la più vicina.

Eppure Isaia, di fronte a lui, si sente indegno: «Ohimé, sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!». Un profeta, chiamato ad annunciare la Parola con le sue labbra contaminate, confessa la sua indegnità proprio nel compito che gli è stato affidato. Non si tratta tanto di una confessione di peccato, quanto di una distanza incolmabile che separa ogni uomo da Dio. «Domine non sum dignus / Signore non sono degno» esclamano tanti uomini di Dio davanti al mistero ineffabile della chiamata: lo esprime Geremia, un altro profeta di Dio, avvertendo l’abisso della propria inadeguatezza davanti al mistero di Dio e lo pronuncia un centurione davanti a Gesù (Mt 8,8).

A questi uomini Dio stesso risponde, non per sottolineare la distanza, ma per far sì che si cambi la prospettiva. Il simbolo del fuoco che purifica o della parola divina che invia nonostante le obiezioni degli inviati dicono sostanzialmente una cosa: non è l’uomo a dover scalare il monte santo, perché non ne è capace; Dio stesso varcherà l’abisso.

Ed ecco il prodigio: alla richiesta di chi debba annunciare a tutti la salvezza e il giudizio, Isaia risponde con prontezza: «Eccomi! Manda me». È la fiducia totale di chi si getta interamente nelle braccia di Dio. Che cosa importano indegnità, paura, fallimento e peccato? Eccomi è la gioiosa certezza che sulla nostra debolezza si riversa la misericordia divina.

Il Vangelo: Lc 5,1-11

Il racconto sobrio e un po’ schematico della chiamata dei primi discepoli nel vangelo di Marco diventa, in Luca, un racconto emozionante e denso che, in analogia al racconto della vocazione di Isaia, insiste sulla percezione che l’uomo ha di se stesso e di Dio, quando le loro strade s’incontrano.

Le figure dominanti sono Gesù e Pietro, con un evidente rimando alla situazione ecclesiale. I discepoli di ogni tempo sono invitati così a rileggere questo racconto come una storia che riguarda la loro identità di chiamati e il fondamento stesso del loro essere chiesa alla sequela di Cristo. La folla «che premeva su di lui per ascoltare la parola di Dio» lungo il lago di Genezareth è un segno evidente della fame della Parola di cui parlava il profeta Amos: «Ecco: giorni stanno arrivando, oracolo del Signore Dio, in cui manderò la fame sulla terra: non fame di pane né sete di acqua, bensì di ascoltare le parole del Signore» (Am 8,11).

Questa Parola si rivolge a Simone intimandogli di gettare le reti, dopo una notte di vana fatica. Un ordine paradossale, contro ogni logica umana. La disponibilità di Pietro non è solo un atto di rispetto e di prontezza di fronte al comando del Signore. «Sulla tua parola calerò le reti» rivela un atteggiamento molto più profondo: è la stessa scommessa di Abramo che, nella notte, «non indugiò a lungo, non discusse con se stesso, né chiese come Adamo nel paradiso terrestre: perché Dio mi ordina di far questo? Non ubbidì alla sua propria carne… che anzi di questa cosa non parlò nemmeno con la sua Sara, né le disse qualcosa; avendo udito l’ordine, non dubitò, ma si affrettò ad eseguirlo» (Von Rad). È la fede che rischia, consapevole che Dio, sia quando parla sia quando tace, lo fa per amore: ci guida con la sua voce, ci educa col suo silenzio.

La pesca viene descritta da Luca con molti dettagli, a sottolineare che Dio non solo risponde alle attese umane, ma le esalta. Di fronte alla potenza divina, tuttavia, Pietro ripercorre la stessa esperienza di Isaia e di ogni uomo religioso: «Allontanati da me Signore, perché sono un peccatore!». Abbiamo qui – ancora una volta – ben più di una semplice qualifica morale; si tratta di una percezione di inadeguatezza: chiedendo a Gesù di allontanarsi, Pietro lo riconosce santo e incomparabile, radicalmente diverso da tutto ciò che egli potesse conoscere o immaginare.

Eppure il Signore, inavvicinabile e inenarrabile, sceglie proprio Pietro “il peccatore” per appartenergli. Dio pronuncia davanti a lui il suo  definitivo, il suo Amen, ed è su questo Amen, su questo sì di Dio che riposa la missione della chiesa: «Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Da quel momento l’essere e l’agire di Pietro riposano esclusivamente sull’azione di grazia del Signore. A significare che gli uomini vanno a Dio con la loro debolezza, la loro indegnità e il loro peccato; pensano di non farcela, ma proprio quando «uno si immagina di non essere più in grado di proseguire il cammino con Dio, perché è troppo difficile, ecco che la vicinanza di Dio, la fedeltà di Dio, la forza di Dio diventano la sua consolazione e il suo soccorso. Solo allora sappiamo chi è Dio e qual è il senso della nostra vita» (Bonhoeffer).

Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano

Continua a leggere

Più letti

Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
Publiedit di Mangione & C. Sas - P.iva: 01492930852
Pubblicità