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Swithc off della tv : 40 milioni di televisori rischiano l’oscuramento – lo Stato eroga 670 milioni di euro per la distruzione dell’emittenza locale

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Il tema delle radio e televisioni, è stato quasi sempre al centro di numerosi dibattiti, tra diritti,
fondi governativi e regolamenti. Per ultimo quello che riguarda il D.P.R. 146/17, con cui si
stabiliscono i nuovi criteri di accesso ai contributi per le radio e le televisioni locali ai fini dello
sviluppo del pluralismo informativo. Però, da come è stato concepito il riparto del fondo, non
sembra che sia proprio così. Infatti il 80,75% del fondo statale viene assegnato solo a cento
televisioni presenti nella graduatoria di quel DPR 146/17 lasciando a bocca asciutta le rimanenti 450 televisioni medio piccole, circa 1000 radio medio piccole che devono accontentarsi del 15%
del fondo e zero euro alle radio digitali del DAB (Digital Audio Broadcasting). Non solo, perché c’è
anche il capitolo sul celebre digitale terrestre del T2. Infatti, dal 1 gennaio 2023, salvo ulteriori
proroghe, lo standard di trasmissione digitale passerà da DVB-T1 a DVB-T2. Se nel 2009 ci fu il
passaggio dall’analogico al digitale terrestre, ora ha inizio la rivoluzione del video HD ( Alta
Definizione) e del 5G che ha sottratto 12 frequenze della banda 700 UHF (canali dal 49 al 60) agli
operatori di rete per assegnarle ai telefonici. Un grosso affare per lo Stato che tra la cessione
della banda 800 più la 700 ha ricavato ben 5 miliardi di euro a discapito delle tv locali costrette a
stringersi in una sola frequenza con codifica MEG-4 (detta anche H264) che può contenere al
massimo 24 programmi regionali in SD (Standard Definition) rispetto ai previsti 40 e più della
codifica HEVC prevista per legge, ma platealmente elusa (detta anche H265). Dunque, il numero
delle emittenti che entrano nel T2 è questione di impiego delle diverse codifiche utilizzate e dello
standard SD o HD (Alta Definizione). Nella fase di transizione il Mise, contrariamente e ciò che
stabilisce la legge e la delibera 39/CONS/19 dell’Autorità per le Garanzie nella Comunicazioni
(AGCOM), ha imposto l’utilizzo della codifica MPEG-4 anziché la HEVC penalizzando molte
emittenti storiche che, per mancanza di spazio trasmissivo, probabilmente non le vedremo più.
Infatti, nelle regioni come Puglia, Veneto, Sicilia e molte altre in cui operano più di ventiquattro
emittenti si prevede la chiusura certa del 50% di esse per via di un percorso di transizione T1-T2
non sincronizzato ai sensi dell’uso efficiente delle frequenze previsto dal Codice delle
comunicazioni. Ma non è tutto. Le emittenti sopravvissute ai bandi di ammissione al T2 saranno
a forte rischio di oscuramento allo stesso modo dei milioni di televisori di casa e dei luoghi pubblici
(alberghi, bar, ristoranti, circoli, ospedali, uffici pubblici e privati in genere)
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Oltre all’emittenza c’è anche l’utenza
Si può affermare che con tutta questa manovra saranno principalmente penalizzate l’utenza e le
emittenti locali. Pochi sanno che, per mancanza di una tabella di marcia sincronizzata, per il
passaggio alla TV del T2 ben 25-40 milioni di televisori saranno oscurati senza saperlo. La beffa di
tutto ciò è di dover forzosamente mettere mani alla tasca per l’acquisto di diversi decoder o nuovi
smart tv per sostituirli con quelli non più idonei che teniamo in casa e negli luoghi di lavoro. L’altra
novità, del tutto inedita, e che una volta acceso il televisore noterete l’assenza di moltissimi canali
a voi cari perché soppressi dal Mise o scompaginati da AGCOM a causa della nuova pianificazione
della numerazione del telecomando valevole sole per le locali in quanto le nazionali avranno il
privilegio di rimane al loro posto. Tutto questo trambusto è davvero roba da “MISTERO dello
Sviluppo Economico italiano” ha dichiarato Antonio Diomede, Presidente della più
rappresentativa associazione delle emittenti locali medio piccole REA – Radiotelevisioni Europee
Associate.
La REA, per salvare capre e cavoli, cioè garantire la continuità del servizio all’utenza e il diritto
insopprimibile delle emittenti ad esistere senza avere paura di essere cancellate dal Mise,
propose il simulcat, ovvero il contemporaneo uso dei due i sistemi del T1/MPEG-4 e del T2/HEVC.
Per facilitare l’operazione, con un atto di giustizia sociale dello Stato, sarebbe stato giusto ed utile
regalare i 25-40 milioni di decoder necessari dall’utenza domestica per non essere oscurata. Il
costo dell’operazione è valutato mediamente 250 milioni di euro ripartiti, proporzionalmente al
volume della pubblicità e canone delle Reti nazionali. Antonio Diomede, presidente della REA
ricorda che “ cinque sono i miliardi di euro di entrate di RAI e Mediaset, di cui circa 3,3 da
pubblicità e 1,7 da canone in bolletta. Ma la considerazione parte anche dal fatto che i maggiori
vantaggi della rivoluzione tecnologica sono andati alle due grandi Reti nazionali per il privilegio
avuto col passaggio al T2 nel disporre gratuitamente di maggiore capacità trasmissiva, di
conservare le stesse numerazioni sul telecomando senza tener conto che percepiscono il 95%
delle risorse pubblicitarie del comparto radiotelevisivo nazionale”
Dal lato assegnazione delle frequenze, Diomede sostiene che “nel periodo di transizione del
simulcast, come REA, avevamo proposto al Mise di utilizzare almeno due frequenze di primo
livello in ciascun ambito territoriale in modo da soddisfare la momentanea inderogabile
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necessità di non far cessare l’attività a 450 imprese televisive, sia per diritto costituzionale, sia
per salvaguardare più di 3000 posti di lavoro di cui 700 giornalisti..
Il progetto della “lobby della comunicazione” è andato avanti
Antonio Diomede, racconta del “perché il Mise si ostina a non seguire le legittime ragioni degli
utenti e delle emittenti locali benché ampiamente dimostrate? Presto detto e documentato. C’è un
progetto che parte dal 2008 quando la lobby del comparto radiotelevisivo italiano, da anni
presente nel settore, decise di lanciare nelle sedi della burocrazia istituzionale e nei vari governi la
proposta di adeguare le televisioni locali alle esigenze del mercato della pubblicità secondo gli
indici di ascolto della società privata Auditel la cui compagine societaria è notoriamente in
conflitto d’interessi con le locali. Fu pubblicata la tesi secondo la quale l’Italia non poteva contenere
più di una trentina di televisioni locali di qualità iscritte ai dati Auditel per non disperdere, a
livello locale, le risorse pubblicitarie disponibili tra le 650 imprese in competizione. Vi è
dell’inverosimile quando, anche nelle leggi dello Stato come il famigerato D.P.R. 146/17, si afferma
che la qualità della programmazione si identifica con il dato di ascolto di Auditel cioè da una
società i cui dati non sono certificati da nessun ente e che, ai sensi della legge 249/97, dovrebbero
essere curati dall’Autorità per le Garanzie nella Comunicazioni (AGCOM)”
“La parola mercato però, essendo le emittenti prevalentemente informative, dunque testate
giornalistiche come prescrive la legge sulla stampa e la Mammì, a noi editori e giornalisti suona
male, perché il giornalismo è un’attività del libero pensiero previsto dall’articolo 21 della
Costituzione che non può essere agganciato a qualsivoglia esigenza di mercato. La lobby invece
ragiona in termini diversi. Parla di ricavi e di dignità d’impresa se non fatturi qualche milione di
euro dimenticando che fare “informazione” é cosa diversa dal produrre un bene qualsiasi la cui
logica, giustamente, non può che essere quella del profitto derivante dal mercato. Purtroppo
l’impostazione dei lobbisti trovò terreno fertile anche presso la politica e di qui partirono una serie
di norme e provvedimenti legislativi irrispettosi delle libertà costituzionali del cittadino e delle
imprese editoriali come il diritto d’informare ed essere informati (art. 21 della Costituzione) e
l’importantissima norma sulla libertà d’impresa (art. 41 della Costituzione) rivendicata dalle
emittenti locali costrette a chiudere e licenziare dipendenti per i pasticci commessi dal Mise sulla
transizione alla televisione digitale del T2”
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Si avvicina il G5 – bisogna consegnare le frequenze ai telefonici
Diomede prosegue “Al Mise c’era molta preoccupazione per il rispetto delle scadenze
contrattuali stabilite con i telefonici. Gli adempimenti di legge sono innumerevoli. Si passa dalle
consultazioni di legge relative alla pianificazione delle frequenze, all’attuazione del Regolamento
per l’assegnazione della capacità trasmissiva e alla pianificazione della numerazione dei canali sul
telecomando. Ma ciò che maggiormente preoccupa i burocrati del Mise sono gli inevitabili ricorsi
che le emittenti avrebbero giustamente presentato alla magistratura amministrativa del TAR a
seguito del forzoso rilascio (esproprio) delle frequenze nel tentativo di allungarne sine die la
consegna. L’altra e più importante preoccupazione del Mise, come già accennato, è il venir meno
alla tesi della lobby, secondo la quale bisognava ridurre drasticamente il numero delle emittenti a
30, 40, 50 massimo 100 soggetti, a loro dire, come già detto, per esigenze di mercato”
E’ sempre Diomede che parla. “La soluzione ai due complicati problemi fu assegnata al
direttore generale del Mise Antonio Lirosi noto esperto in diritto amministrativo già Segretario
Generale del Mise proveniente dal privato per ristrutturare le Direzioni del ministero.
Antonio Lirosi, senza andare troppo per il sottile, trascurando i fondamentali diritti ventennali
d’impresa acquisiti dalle emittenti con le autorizzazioni ministeriali e tagliando corto sugli articoli
21 e 41 della Costituzione, oramai non più doviziosamente tutelati dal Quirinale come una volta,
dettò al Governo del cambiamento 5Stelle le seguenti soluzioni.
Quanto alle problematiche relative al rilascio delle frequenze ai telefonici e al passaggio alla
televisione del T2, suggerì di convertire in legge tutte le norme amministrative relative alle
frequenze in modo che nessuno potesse reclamare se non alla Corte Costituzionale
Il colpo mortale giunse il 10 novembre 2017
Le conclusioni di Diomede “Il Colpo avvenne con la pubblicazione in gazzetta ufficiale del
D.P.R. (Decreto Presidente della Repubblica) n. 146 progettato e congeniato, per la gioia della
lobby, in modo tale da assegnare l’80.75% del fondo del pluralismo informativo di circa 100 milioni
di euro alle prime cento emittenti in graduatoria di un farraginoso bando i cui requisiti sembrano
stati fatti su misura di alcuni gruppi editoriali. Visionando i bilanci di alcuni gruppi, depositati
presso le camere di commercio, è palesemente emersa la violazione delle norme sulla concorrenza
per gli aiuti di Stato erogati a un ristrettissimo numero di emittenti circa 670 milioni di euro dal
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2016 al 2021. A questo punto, il 22 ottobre 2021, si è deciso, a campione, di sottoporre al giudizio
dell’Antitrust e Agcom il bilancio 2020 di Telelombardia del Gruppo Mediapason dal quale si evince
che su circa 12 milioni di ricavi, circa 4 milioni di euro sono entrate da pubblicità, 7.616.865 milioni
di euro, pari al circa il 73% delle entrate, sono i contributi statali ricevuti grazie al DPR 146/17
utilizzati per consolidarsi agevolmente sul territorio battendo la concorrenza nella attuale
partecipazione ai bandi della capacità trasmissiva e di quant’altro.
Nell’esposto REA, curato dallo Studio Legale Parenti di Roma, al quale hanno aderito ad
adiuvandum le emittenti maggiormente danneggiate, si legge “… in altre parole da una parte, si è
voluto drasticamente comprimere il pluralismo dell’informazione attraverso un meditato piano
di accentramento delle risorse frequenziali e, dal lato economico, mediante il netto taglio dei
contributi alla media e piccola editoria radiotelevisiva, la quale, per non fallire, spesso ricorre
alla rottamazione o alla vendita di frequenze, canali e numerazioni ai propri concorrenti nel
frattempo ben consolidati nelle aree di diffusione e del relativo mercato della pubblicità grazie ai
milionari contributi ricevuti di cui alla normativa vigente del DPR 146/17/”.
A tutt’oggi le Autorità non si sono fatte vive per chiarire l’esposto diffida della REA. Nel caso di
ulteriore persistente silenzio, a breve, la REA rivolgerà il quesito alle 100 Procure d’Italia per
fare definitiva chiarezza sulle responsabilità di tale inconcepibile modo di gestire un bene
pubblico come le frequenze e per tutelare le emittenti locali nell’interesse generale dei cittadini
e dello Stato.

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Attualità

L’Asp difende le dotazioni organiche dell’ospedale

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Continua a tenere banco la questione sanità a Gela. Questa volta a prendere la parola per rispondere alle dichiarazioni dell’Assessore Franzone del Comune di Gela, è il Direttore del Presidio Ospedaliero Vittorio Emanuele, dr. Cirrone Cipolla che ha sottolineato che: “𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑈𝑛𝑖𝑡𝑎’𝑂𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑃𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑖𝑜 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑑𝑜𝑡𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑚𝑖𝑒𝑟𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑜 𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑢𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑎𝑑𝑒𝑔𝑢𝑎𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑎. 𝑃𝑒𝑟 𝑐𝑖𝑜’ cℎ𝑒, 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑐𝑒, 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑟𝑛𝑒 𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑠𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑒𝑠𝑝𝑙𝑒𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝑝𝑢𝑏𝑏𝑙𝑖𝑐𝑜 𝑝𝑒𝑟 170 𝑀𝑒𝑑𝑖𝑐𝑖 𝑑𝑖 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑖𝑝𝑙𝑖𝑛𝑒 𝑐𝑖 𝑎𝑢𝑔𝑢𝑟𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖𝑟𝑎’ 𝑙𝑎 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑎𝑑 𝑜𝑔𝑔𝑖 𝑣𝑎𝑐𝑎𝑛𝑡𝑖.

𝐿𝑎 𝐷𝑖𝑟𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑆𝑡𝑟𝑎𝑡𝑒𝑔𝑖𝑐𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑒𝑙𝑒𝑛𝑐ℎ𝑖 𝑑𝑒𝑖 𝑛𝑜𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑅𝑒𝑔𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑚𝑖𝑛𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝐶𝑜𝑚𝑚𝑖𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖 𝐸𝑠𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑟𝑖𝑐𝑖. 𝑂𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑎𝑖 𝑏𝑎𝑛𝑑𝑖 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑎𝑝𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑒𝑛𝑡𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑑𝑢𝑟𝑒 𝑐𝑒𝑙𝑒𝑟𝑖 𝑒 𝑠𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑖𝑙 𝑟𝑒𝑝𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑐𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑓𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎.

𝐶𝑜𝑛𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑑𝑢𝑟𝑒 𝑚𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑖𝑛 𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙’𝐴𝑆𝑃, 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑎𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑐𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑙𝑒𝑠𝑠𝑎 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑐𝑖 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎𝑙 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑀𝑒𝑑𝑖𝑐𝑖 𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑛𝑖 𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑎𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑣𝑎𝑛𝑖 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑐𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒𝑐𝑖𝑝𝑎𝑛𝑜 𝑎𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑜𝑟𝑠𝑖, 𝑐𝑖 𝑠𝑖 𝑎𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑎𝑓𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑓𝑎𝑠𝑒 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑐𝑙𝑖𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑐𝑐𝑢𝑠𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖𝑜, 𝑏𝑒𝑛𝑠𝑖’ c𝑜𝑙𝑙𝑎𝑏𝑜𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑒 𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑠𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎𝑙𝑖 𝑒 𝑙𝑜𝑐𝑎𝑙𝑖, 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙 𝑏𝑒𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎’ 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖.

𝑅𝑖𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑈𝑇𝐼𝑁, 𝑠𝑜𝑠𝑡𝑒𝑛𝑔𝑜 𝑙’𝑖𝑚𝑝𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑖𝑚𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑙 𝐷𝑖𝑟𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝐺𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒 ℎ𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑒𝑟𝑚𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑎𝑣𝑒𝑟 𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑢𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑙’𝑈𝑇𝐼𝑁 𝑑𝑖 𝐶𝑎𝑙𝑡𝑎𝑛𝑖𝑠𝑠𝑒𝑡𝑡𝑎, 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑒𝑟𝑚𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑢𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑙’𝑈𝑇𝐼𝑁 𝑑𝑖 𝐺𝑒𝑙𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑎 15 𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑒’ s𝑠𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎𝑡𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑎𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑛𝑒𝑜𝑛𝑎𝑡𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖.𝑅𝑖𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑙𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑎𝑙𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑙’𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝐷𝑖𝑟𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑆𝑡𝑟𝑎𝑡𝑒𝑔𝑖𝑐𝑎 ℎ𝑎 𝑖𝑠𝑡𝑖𝑡𝑢𝑖𝑡𝑜 𝑢𝑛 𝑡𝑒𝑎𝑚 𝑎𝑧𝑖𝑒𝑛𝑑𝑎𝑙𝑒 𝑒 ℎ𝑎 𝑚𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑎 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑢𝑛 𝑃𝑟𝑜𝑔𝑟𝑎𝑚𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑐𝑢𝑝𝑒𝑟𝑜 𝑐ℎ𝑒 ℎ𝑎 𝑣𝑖𝑠𝑡𝑜, 𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒 𝑎𝑑 𝑢𝑛 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑔𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑑𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑎𝑏𝑏𝑎𝑡𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑙𝑖𝑠𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑎, 𝑢𝑛𝑎 𝑡𝑎𝑛𝑔𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑟𝑖𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑡𝑎 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑎𝑙𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒, 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒, 𝑎𝑙𝑙’𝑒𝑟𝑜𝑔𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑎𝑧𝑧𝑒𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑖 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑖 𝑑𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑎”.

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Asp: in arrivo tre psichiatri

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Mussomeli -Le organizzazioni sindacali Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, Nursind Cgs, Fials e Nursing Up hanno incontrato il management dell’Asp Ficarra per discutere del problema dei servizi di igiene mentale della paventata chiusura del pronto soccorso dell’ospedale di Mussomeli dalle 20 alle 8.

Nel corso dell’incontro si è parlato della carenza di ore destinate al servizio del personale ausiliario e la Direzione strategica si è impegnata a trovare soluzioni nel breve periodo. Riguardo al Sert di Gela e del dipartimento di Igiene mentale di Mussomeli i sindacati hanno evidenziato la grave carenza di medici in queste strutture e le difficoltà operative del personale.

Il direttore sanitario ha comunicato che si sta procedendo con l’assunzione di tre medici psichiatri destinati a questi servizi.

Sulla lungodegenza dell’ospedale di Mussomeli la notizia che l’apertura è prevista per il primo febbraio, con personale infermieristico proveniente dal presidio ospedaliero e l’aggiunta di due operatori sociosanitari. I sindacati hanno richiesto il rientro degli infermieri trasferiti all’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta, ma è stato comunicato che attualmente non è possibile per problemi di organico

L’azienda ha rassicurato spiegando che “si stanno predisponendo convenzioni con una cooperativa privata per garantire la copertura dei turni ed è previsto l’arrivo di nuovi medici provenienti dall’Argentina per rafforzare l’organico e garantire il mantenimento del servizio”. “Non c’è alcuna intenzione di interrompere il servizio notturno del pronto soccorso di Mussomeli”. È una delle rassicurazioni fatte dall’Asp di Caltanissetta ai sindacati in un incontro che si è svolto ieri per discutere alcune problematiche nella gestione dei servizi sanitari.


Infine in merito alla rimodulazione delle ore lavorative degli operatori sociosanitari, è stata discussa la recente riduzione delle ore settimanali a 24, che era già stata segnalata come errore di calcolo. Il direttore amministrativo ha garantito che, probabilmente nel breve termine, le ore settimanali saranno riportate a 30, in modo da migliorare la qualità e la continuità dei servizi assistenziali. I sindacati hanno comunicato che “continueranno a monitorare le questioni affrontate e si riservano di avviare ulteriori confronti per garantire soluzioni rapide e definitive a tutte le problematiche emerse

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“Fuoriclasse talent”, sabato esibizioni in città 

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È previsto uno stand anche in città sabato sera, dalle 18 in centro storico, per “Fuoriclasse talent”: la decima edizione della manifestazione artistica curata da Ivano Trau. Molti dei talenti emersi negli anni hanno voluto la possibilità di mettersi in luce partecipando a programmi nazionali come “The voice Kids” ed altri.

Non è un semplice concorso a premi, spiegano gli organizzatori, ma un vero e proprio percorso artistico che dura undici mesi l’anno mettendo al centro la crescita dei giovanissimi artisti. Referente regionale è la gelese Francesca Biundo. Per ulteriori informazioni in merito all’evento di sabato e alle prossime tappe, è possibile rintracciare l’organizzazione al numero 3204419107.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
Publiedit di Mangione & C. Sas - P.iva: 01492930852
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