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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Sulla possibilità e sul diritto di ricevere la comunione fuori dalla messa

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Dal nostro lettore Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo

Correva l’anno 1997 quando per la prima volta la Vergine Maria, Onnipotente per Grazia, volle condurmi a Medjugorje. Lì la Madonna aprì i miei occhi alla fede permettendo che con essi io vedessi ciò di cui avevo bisogno di vedere per credere.Ero cieco ma il Signore Gesù volle aprimi gli occhi proprio come fece con Tommaso.Quell’esperienza mi diede infatti la certezza che quel Dio che cercavo da sempre era Vivo, Presente ed Operante in quel contesto, cioè nella Chiesa Cattolica.Da questa consapevolezza scaturirono un desiderio di conoscenza ed una ricerca che mi avrebbero condotto, in breve, appunto a Gesù, e più nello specifico a Gesù Eucarestia e quindi all’Amore della Divinissima Ostia come centro e culmine della mia vita.Ed è in nome di questo Amore, che arde in tutti i tabernacoli nell’attesa e di poter unirsi e farsi cibo per gli uomini, che mi sono visto in dovere di scrivere queste righe.

L’Eucarestia è Gesù, il Signore Gesù, Pane Vivo disceso dal cielo per farsi mangiare e per nutrire le anime degli uomini che credono e ricorrono a Lui; Cibo di Vita Eterna, Viatico per i moribondi e nutrimento e conforto in particolare delle anime sofferenti.Se il Cuore ed i sentimenti di Gesù sono quelli che ci è stato dato di conoscere anche attraverso tanti santi sacerdoti, non credo che a Lui piaccia che vengano poste delle limitazioni a tutto ciò che Egli stesso realizza per mezzo della Sua Persona, del Suo Corpo e di Tutto Se Stesso, veramente, realmente e sostanzialmente presente nell’Eucarestia.In questi giorni ho visto negare ad una persona impossibilitata ad andare a Messa la Comunione sulla sola base del fatto che, a modo di vedere del sacerdote, l’impedimento non era valido e quindi che poter ricevere Gesù Eucarestia avrebbe dovuto partecipare a Messa.

La negazione è stata ostinata, opposta nonostante la fedele avesse fatto espressa richiesta di ricevere la Comunione perché fortemente desiderosa di riceverla.Con la massima umiltà ritengo di poter dire che questo Sacerdote si è assunto una responsabilità enorme davanti a Dio; non mi permetto di asserire che egli abbia contratto una colpa ma riguardo a ciò vorrei semplicemente offrire uno spunto di riflessione: chi di voi negherebbe il pane ad una persona che si dichiara affamata e bisognosa di potersene nutrire perché deve mangiarlo soltanto a tavola e nelle ore dei pasti? Credete che questo possa essere il modo di pensare e ragionare del Signore Gesù?Personalmente credo proprio di no.Non credo ed anzi escludo che il sacerdote sia incorso in questo errore in malafede ma ritengo piuttosto che egli si sia conformato ad una prassi erronea che non tiene conto dei documenti magisteriali e delle norme canoniche della Chiesa le quali, per converso, prevedono espressamente che l’Eucarestia debba essere data a tutti coloro che ne fanno richiesta anche fuori della Messa.

Con spirito di sincera umiltà prego sin d’ora gli ecclesiastici che leggeranno questo scritto di volermi eventualmente correggere e smentire sulla base di argomentazioni fondate su eventuali documenti ufficiali della Chiesa, anche ulteriori rispetto a quelli qui evocati.

  1. n. 918 del Codice di Diritto Canonico (1917), per il quale: “Si raccomanda vivissimamente che i fedeli ricevano la sacra comunione nella stessa celebrazione eucaristica; tuttavia a coloro che la chiedono per una giusta causa fuori della Messa venga data, osservando i riti liturgici”;
  2. n. 33.a Eucharisticum mysterium (1967), a norma del quale: “È necessario abituare i fedeli a ricevere la Comunione durante la celebrazione stessa dell’Eucaristia. Anche fuori della Messa, però, i sacerdoti non rifiuteranno di distribuire la Comunione a coloro che hanno una giusta causa per chiederla.”;
  3. n. 15 c. 1 e 2 del Rito della Comunione fuori della Messa – Rituale romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato dal Papa Paolo VI (1978) per cui: “Si devono indurre i fedeli a comunicarsi durante la celebrazione eucaristica. I sacerdoti però non rifiutino di dare la santa comunione anche fuori della Messa ai fedeli che ne fanno richiesta.”.

Il principio che si intende dimostrare è quello per cui a nessun fedele che ne sia degno può essere negato il Pane Eucaristico fuori della Messa; così come a nessun uomo può essere negato il pane quando esso lo richiede asserendo di aver fame.Ci sia consentito di citare uno dei tanti possibili esempi di giusta causa: ad un poliziotto alle ore 14,00 di un giorno come tanti viene comunicato che alle ore 18,00 dello stesso giorno dovrà eseguire un’operazione coperta dal segreto e che lo esporrà al rischio concreto di perdere la vita.Egli da qualche tempo però non riceve l’Eucarestia ed è in peccato mortale e vorrebbe quindi prepararsi all’eventualità concreta del suo giudizio particolare confessandosi ed anche ricevendo Gesù Eucarestia.

La Messa viene celebrata però alle 19,00 e, di conseguenza, il poliziotto si reca nella sua Parrocchia alle 17,00 e chiede al parroco di confessarsi e di poter ricevere la santa Comunione in quel momento, al di fuori della Messa.Ecco, questa parrebbe essere una giusta causa per il quale al fedele debba essere garantita la possibilità di ricevere Gesù Eucarestia fuori della Messa, senza esser tenuto a fornire particolari spiegazioni (solo per inciso si rimarca che in tal senso il poliziotto non avrebbe potuto anche in considerazione del segreto di cui era coperta l’operazione).Ma come questo possono farsi mille altri esempi per il quali ricevere Gesù Eucarestia anche fuori della Messa parrebbe essere una possibilità ed un diritto personalissimo di ciascun fedele, esercitabile a discrezione della sua coscienza e, ricorrendo un motivo, in qualsiasi momento, esattamente come la Confessione.

Un eventuale rifiuto del sacerdote, stanti le norme di diritto canonico e le prescrizioni magisteriali elencate prima, sarebbe da ritenere una sorta di abuso.Nel momento in cui un fedele gli chiedesse di ricevere Gesù Eucarestia il sacerdote dovrebbe invece, con sollecitudine, devozione e nel rispetto delle modalità previste- accostarsi al Tabernacolo e dargli la Santa Comunione, come impone la norma di riferimento (n. 15 c. 1 e 2 del Rito della Comunione fuori della Messa).Quindi se per qualche valida ragione riteniamo di voler ricevere Gesù fuori della Messa chiediamo ai nostri sacerdoti di darci comunque la Comunione, anche individualmente.Tutto ciò comunque consci della responsabilità altissima che con ciò ci assumiamo davanti a Dio, anche in relazione al fatto di essere pronti ed in stato di Grazia e fermo restante che poter partecipare ad una Messa valida e lecita è e sarà sempre il sommo dei privilegi.

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L’Associazione ‘Diritto & Donna’ esprime cordoglio per Francesca Ferrigno

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Da Rosa Iudici, Presidente dell’associazione ‘Diritto & Donna’ riceviamo e pubblichiamo

“Esprimo il mio cordoglio per la donna uccisa a coltellate, ieri a Gela, per mano del figlio. Il quale si è subito dopo costituito, ed è stato arrestato.

Non possiamo più accettare continui atti violenti e feroci ai danni delle donne, molto spesso culminati con uccisioni.

Da Presidente ‘Diritto & Donna’, invito chiunque si senta in pericolo di rivolgersi alla Autorità competenti, senza aver alcun timore di compiere un’azione sbagliata. La violenza, qualunque essa sia, deve essere denunciata.

In ultimo, un appello alla Società Civile: ‘Tuteliamo le donne (tutte le persone, tout court) che vivono una condizione di vulnerabilità a rischio di atti violenti.

Una Preghiera per Francesca Ferrigno”.

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Gran Sicilia: “il contratto con Caltaqua e’ un atto di vendita dell’intera città”

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Riceviamo e pubblichiamo una nota del gruppo Gran Sicilia sezione Giuseppe Corrao di Gela, sul tema della crisi idrica

“Non possiamo più accettare che un comunicato di Caltaqua possa sempre giustificare uno stillicidio per i gelesi. Su questi guasti si faccia chiarezza. La pessima gestione del servizio non può lasciare immobile la politica.

La disastrosa crisi Idrica che il nostro territorio si trova ad affrontare è diventata, come ogni cosa, oggetto di scontro politico in città, come se tutti si ritenessero non colpevoli e, addirittura, custodi di soluzioni che da quasi un ventennio non arrivano.

La popolazione è senz’acqua e provvede a proprie spese all’installazione di motorini e all’acquisto di autobotti, mentre il Gestore, Caltaqua, con cadenza quasi quotidiana, nel migliore dei casi una o due volte a settimana, comunica guasti ed interruzioni al servizio di fornitura.

Comunicazioni sulle quali intendiamo vederci chiaro. La gestione della rete, dei guasti, della mancanza di manutenzioni non può pagarla il cittadino. E i gelesi vogliono innanzitutto chiarezza e trasparenza. Perché nel frattempo è partito un odioso gioco allo scaricabarile che agli utenti interessa poco.

Questa storia va avanti da anni e queste continue interruzioni, sono evidentemente frutto di cattiva gestione e programmazione, mancate manutenzioni, soldi spesi male, interventi sbagliati, superficialità. Tutte cose che in qualunque ambito della vita quotidiana avrebbero da tempo portato alla interruzione dei rapporti con richieste di risarcimento per danni procurati. Ma la protezione politica di cui gode tutto l’indotto delle acque, dal fornitore monopolista Sicilacque (partecipata della Regione) al gestore territoriale Caltaqua, all’ATI, che non sappiamo quante volte si sia riunita in un momento di forte crisi, ma anche ai consorzi di Bonifica, veri e propri postifici regionali, che dovrebbero occuparsi di gestione delle risorse idriche nelle campagne, consente ai soggetti inadempienti di continuare ad essere inadempienti facendo gravare tutto il peso, economico e sociale, sulle famiglie.
Acqua di dubbia qualità, inutilizzata dai Gelesi per scopi alimentari e spesso per igiene personale, fornita ad intervalli variabili, città sventrata da cantieri interminabili o “decorata” da reti di segnalazione che rimangono installate per mesi, perdite d’acqua lungo le strade, servizi di assistenza agli utenti e di pronto intervento totalmente inefficienti. Questa la realtà.
Però, come ci hanno detto quasi tutti durante la campagna elettorale, il contratto è BLINDATO. Intoccabile.
Un contratto intoccabile malgrado tutto quello che si riscontra non è un contratto. E’ un atto di vendita incondizionata dell’intera città a Caltaqua.

Padroni. Prima il padrone unico era Eni. Adesso nuove multinazionali hanno preso possesso della città e degli abitanti. E in entrambi i casi la politica si prostra. O, forse, è parte della squadra dei padroni. Siamo stanchi del disservizio ed infastiditi dagli assurdi comunicati.
Noi riteniamo illegale, illegittima, immorale questa gestione, questa situazione e persino l’azione amministrativa di questi 20 anni a tutti i livelli: Comune, Provincia, Regione e ATI, organismo improduttivo che andrebbe commissariato.
Noi siamo per la risoluzione del contratto e a favore di una azione legale per chiedere risarcimento ai cittadini Gelesi e per la gestione pubblica del servizio. Chiediamo all’Ati di prendere atto dei numerosi inadempimenti e di procedere, come norma prevede, al passaggio ad una gestione consortile, con tariffe più adeguate, quindi più basse, e all’avvio di ogni azione legale che porti ad un equo risarcimento per il territorio. E chiediamo al Sindaco di prendere una posizione chiara.

Siamo sempre pronti ad appoggiare tutti quelli che agiscono per il bene della città. Ma ci sentiamo assolutamente liberi di lottare contro chi, fra il popolo Gelese e un suo nemico, sceglie di sedersi al tavolo col nemico. Seguirà esposto alla procura. E anche ad altri organismi perchè “𝙇’𝘼𝙨𝙨𝙚𝙢𝙗𝙡𝙚𝙖 𝙂𝙚𝙣𝙚𝙧𝙖𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙚 𝙉𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙐𝙣𝙞𝙩𝙚 𝙝𝙖 𝙖𝙙𝙤𝙩𝙩𝙖𝙩𝙤 𝙡𝙖 𝘿𝙞𝙘𝙝𝙞𝙖𝙧𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝘼/𝟲𝟰/𝙇. 𝟲𝟯 𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙞𝙘𝙤𝙣𝙨𝙤𝙘𝙚 𝙡’𝙖𝙘𝙘𝙚𝙨𝙨𝙤 𝙖𝙡𝙡’𝙖𝙘𝙦𝙪𝙖 𝙥𝙤𝙩𝙖𝙗𝙞𝙡𝙚 𝙥𝙪𝙡𝙞𝙩𝙖, 𝙨𝙞𝙘𝙪𝙧𝙖 𝙚 𝙞𝙜𝙞𝙚𝙣𝙞𝙘𝙖 𝙪𝙣 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙤 𝙪𝙢𝙖𝙣𝙤 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙣𝙯𝙞𝙖𝙡𝙚 𝙥𝙚𝙧 𝙞𝙡 𝙥𝙞𝙚𝙣𝙤 𝙜𝙤𝙙𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙫𝙞𝙩𝙖 𝙚 𝙙𝙚𝙜𝙡𝙞 𝙖𝙡𝙩𝙧𝙞 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙞 𝙪𝙢𝙖𝙣𝙞.”

Sta circolando sul web una petizione per mandare via Caltaqua. Non sappiamo cosa porterà, conoscendo ormai bene la controparte, ma invitiamo a firmarla.

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Lo svuotamento dell’inconscio dietro la strage familiare di Paderno

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Dallo psichiatra Franco Lauria, riceviamo e pubblichiamo

Strage di Paderno. Analisi, interventi, teorie. Cosa cambierà? nulla. Perché nulla? Perché il malessere che ha portato questo ragazzino minorenne a compiere i delitti è strutturale alla Società postcapitalista e postmodernista. E nell’immediato questa società non cambia.Più avanti forse, ma parliamo di centinaia di anni. Nel frattempo tutto peggiorerà. Qual’è il nocciolo del problema? L’apatia. La mancanza di sentimenti, o meglio il loro soffocamento, la loro non conoscenza, la loro impossibilità di gestione. Non più la rimozione nevrotica di cento anni fa, freudiana, ma l’assenza di emozioni. Lo svuotamento dell’inconscio.

Questa è la caratteristica connaturata alla odierna Società occidentale, consumista e edonista. Certo c’è anche una responsabilità personale del ragazzo. Non siamo tutti così o meglio non agiamo tutti così. Ma il ragazzo è molto giovane, cresciuto in una famiglia dove sembra non c’erano problemi economici.

Quindi un target perfetto. Tv, cellulari, videogiochi, firme, ludopatia, infantilismo, consumismo, il nulla angosciante, insomma. Morto Dio, zero spiritualità, zero mistero, zero simboli, zero metafore, zero etica, zero morale, zero meraviglia, zero slancio vitale, zero responsabilità. Il nulla, il nichilismo è troppo angosciante ed insopportabile. Trovare un modo per liberarsene è necessario ed urgente. Le persone con cui si vive e con cui dividiamo tempi, affetti aggrovigliati, mescolati, ambivalenti, sono ritenute artefici del nostro malessere. Ma loro poverini a loro volta sono succubi attori della società postborghese. Ma il ragazzino non lo sa, non può saperlo. È la metafora di una società decadente, allo sfascio. Inseguire il fare, inseguire il successo, inseguire il denaro, inseguire le comodità, non soddisfa l’essere umano. I veri bisogni non sono questi.

O meglio oltre una certa soglia di benessere materiale è la pienezza dell’essere che deve essere inseguita e raggiunta, l’autenticità, la pienezza spirituale, la realizzazione del Sè.

Ma non c’è nè tempo nè luogo in questa società per queste cose. Nè persone incaricate. Tutti si ritengono inadeguati, troppe responsabilità. Ed è vero. In ogni caso non è cosa che possano risolvere gli specialisti, i tecnici, gli esperti di psicologia, di psicoterapia, di psichiatria, di psicoanalisi. Non è una questione di servizi pubblici o privati che siano. L’intervento specialistico individuale è ben poca cosa in un contesto troppo disturbato, ammalato esso stesso, disumanizzato. L’uomo senza affetti prende come proprio modello il robot. Ma non funziona. Conoscenza cognitiva e prestazioni comportamentali non sono tutto l’essere umano, non lo definiscono appieno, non lo riempiono. Insistere su questi due punti produce gravissimi scompensi che possono portare alla auto o etero-violenza per scaricare da vivi un malessere insopportabile. Una riflessione critica, accompagnata a un nuovo vissuto emozionale ed a scelte di diversi stili di vita può essere una nuova via. Un nuovo inizio.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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