Illuminati da un sole che arriva solo a tratti, i grandi spiazzi verdi di Marchitello sembrano il posto ideale per un picnic, per una partita a pallone, per una sorta di gita fuori porta. Insomma, tutto sembrano tranne ciò che sono diventati: i testimoni silenti e immobili di una coda chilometrica che fin dalle prime luci dell’alba si crea intorno a loro, un incredibile serpentone di macchine che a vederlo quasi non ci si crede. Arrivo alle 8.35 di ieri, un freddo lunedì di gennaio, per il primo tampone di controllo. Un tampone per il quale non sono stato chiamato da nessuno: ma io, positivo ufficialmente da un tampone rapido eseguito il 28 dicembre, poi confermato dal molecolare dell’Asp eseguito l’indomani, avevo tutto il diritto già da tre giorni di presentarmi al drive in.
Il “nuovo” drive in del PalaCossiga, quello che avrebbe dovuto risolvere il problema delle interminabili attese che si registravano a Brucazzi: invece il caos è stato semplicemente spostato da Brucazzi a Marchitello, dove già peraltro nelle ultime settimane si registrava (per fortuna) l’impennata delle vaccinazioni. Mentre la fila di macchine procede lenta, lentissima, e le operazioni di screening cominciano non esattamente alle 9 come segnalano diversi utenti, si assiste dalle proprie automobili a scene ai limiti del comprensibile. “Vivaci” discussioni tra cittadini per una macchina che s’infila da una traversa, minacce di denunce, offese, gente in attesa del tampone (o positiva o contatto stretto, altrimenti non sarebbero stati lì) che scende dalle proprie macchine senza la mascherina urlando le proprie ragioni, bambini che dopo aver resistito oltre ogni logica sono costretti ad orinare sul ciglio della strada.
Io resto rintanato nella mia macchina con tanto di Ffp2, almeno fino a quando la situazione non si “normalizza” e gli animi nervosi non si placano. Dopo quattro ore di attesa sto per rinunciare, inizio a contattare qualche laboratorio privato sperando mi riceva l’indomani. Ma nonostante la spossatezza, mia come quella di centinaia di altri cittadini, decido di andare avanti ormai per mera questione di principio. I bagni chimici sul ciglio della strada sono un’offesa alla civiltà, roba di cui vergognarsi. Basta vederli per credere. Quando arriva finalmente il mio turno lancio una rapida occhiata al display della macchina: sono le 15.31, per il mio tampone ho atteso solo sette ore. Senza mangiare, senza bere (per mia scelta, perché se avessi avuto anche bisogno di un bagno in quelle condizioni avrei vanificato una snervante e lunghissima mattinata). Adesso attendo che venga caricato il referto sul portale, sperando che un esito negativo mi permetta di ricevere il green pass senza lungaggini o altre traversie.
Ecco, è questa personalmente la cosa più brutta: dopo due anni, se ancora non si danno garanzie minime al cittadino, se il sistema funziona per due o tre persone su cinque quando va bene, se alla quinta ondata (perché per noi gelesi e siciliani è la quinta ondata, dobbiamo contare anche quella della scorsa estate) i problemi non solo restano sempre gli stessi ma si aggravano, allora la scusa dell’emergenza non regge più. In troppi, troppi casi chi ha bisogno è in balìa del nulla. Deve affidarsi a Dio, se ci crede, alle persone che ti sostengono, se ci sono, ai sanitari in trincea che lavorano senza soste, sempre, e ai vaccini. Perché senza vaccini oggi faremmo discorsi completamente diversi.