Quando le partite cominciavano alle 14.30 non si aveva nemmeno il tempo di pranzare. Ci si preparava per arrivare puntuali al campo, in tempo per accomodarsi in postazione. In quei gabbiotti che abbiamo spacciato per tribuna stampa abbiamo trascorso infinte domeniche insieme ai colleghi e agli amici. Ai tempi della Lega Pro il protocollo era rigidissimo, ogni testata e ogni giornalista avevano il loro spazio. Con il ritorno tra i dilettanti c’era più libertà di movimento, diciamola così. Ma ciò che contava era stare insieme, a seguire l’amata squadra biancazzurra e sentirsi parte di una comunità, di un qualcosa di grande. Tutti uniti nel sospingere il Gela alla vittoria, pronti a soffrire ed esultare. E non è romanticismo spicciolo, ma una pura e semplice verità che emerge ancor più forte in questo tempo difficile, in cui le nostalgie sono inevitabili.
La regia di ogni operazione logistica era sempre dallo storico addetto stampa del Gela Calcio, Flavio Centamore: un amico e un professionista sempre disponibile con noi giornalisti a volte un po’ rompiscatole, diciamocelo. L’intervallo serviva per scambiare idee e opinioni sia con qualche tifoso che veniva a salutarci sia con i dirigenti o altri tesserati del Gela. Quando ci raggiungeva lui, il presidente Tuccio, erano momenti di grande divertimento: la scena era tutta sua, come sempre, perché la meritava e se la prendeva con battute e commenti da segnare sul taccuino. Dopo la mitica granita di Sasà, si ripartiva per altri 45 minuti. Per fortuna abbiamo raccontato tante vittorie, e allora anche in sala stampa nel dopo partita ci si divertiva.
Poi prima di andare a scrivere il pezzo per il giornale o registrare la cronaca per il servizio in tv, magari ci scappava anche il “caffettino” al bar. E lì finiva sempre che mangiavano tutti (caffè e cannolo con la ricotta) e pagava uno solo. La prima volta che mi trovai nel bel mezzo di questo rituale ero poco più che un ragazzino. Pensai: sicuramente non mi faranno pagare. E invece… Ma fu bello così, era bello così. Erano le nostre domeniche allo stadio che tanto ci mancano, così come ci manca uno stadio degno di tale nome, così come ci manca una squadra nelle categorie che questa città merita. Così come ci manca il nostro tempo di ieri, prima di questa maledetta pandemia che ha reso così irraggiungibile quelle cose meravigliosamente normali di cui prima nemmeno ci rendavamo conto. Come una semplice ma bellissima domenica allo stadio.
(Nella foto, la tribuna del “Presti” gremita il giorno della conquista della Serie D, aprile 2016)