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La parola della domenica

“Non abbiate paura”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Matteo 10, 26 – 33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
“Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Che fine faremo? La fine di Cristo. E questa non è una brutta notizia ma un gossip straordinario che può aiutarci a guardare la nostra vita da un altro punto di vista. Fare la fine di Cristo non significa semplicemente andare a finire in croce, ma ricordarsi che la fine di Cristo non è la Croce ma la Resurrezione.

Passare tutta la vita cercando di scappare dalla croce, significa passare tutta la vita cercando di scappare da ciò che in questo momento è davanti a me. La croce non è solo chiodi nelle mani. La croce è tutta la realtà che si affaccia nella mia vita e che mi costringe a stare inchiodato nel qui ed ora senza poter andare via.

Le nostre strategie di fuga sono molteplici ma sono tutte messe in atto perché a volte ci è insopportabile prendere sul serio il qui ed ora. Siamo come dei bambini che non vogliono stare a scuola e guardano fuori dalla finestra immaginando a quanto possa essere bello correre felici dietro a una farfalla. Cosa c’è di male in questo?

Nulla apparentemente. Ma si diventa uomini non quando si smette di fantasticare, ma quando si comprende che i sogni per realizzarsi hanno bisogno di concretezza, di contatto con la realtà, di presa di responsabilità che l’alfabeto che imparo oggi a scuola mi renderà capace non soltanto di correre dietro a una farfalla ma di fare della mia vita un capolavoro.

Accettare la croce significa svegliarsi al fatto che molte cose che ci sono non ci piacciono e non le vorremmo ma se le accetteremo e le vivremo così come ci ha insegnato Cristo allora esse non saranno il nostro destino ma solo la nostra Pasqua, cioè il nostro “passaggio”. Una paura diventa il nostro destino quando non la affrontiamo.

Affrontarla significa farla diventare un passaggio, e non un fine. Tutto quello da cui scappiamo ci insegue sempre. Tutto quello che affrontiamo passa. In questo senso dobbiamo augurarci di fare la fine di Cristo, cioè di fare Pasqua, passaggio.

Se questa parola del Vangelo di oggi potessimo inciderla nel nostro cuore tutta la nostra vita cambierebbe. Troppo spesso la nostra vita è in balia della paura e in ostaggio della convinzione che non valiamo nulla. Gesù nel Vangelo di oggi ci libera da entrambe e ci chiede di partecipare a questa rivelazione attraverso la fiducia. Infatti fidarsi è decidere di dare peso a qualcosa o a qualcuno, facendolo diventare decisivo. Molte cose nella nostra vita cambierebbero se imparassimo a dare credito al Signore, ma non ci è chiaro che tutta l’opera del male è fornirci argomenti contrari. Bisogna allora imparare a comprendere ciò che è vero da ciò che è falso. “La verità vi farà liberi” dirà Gesù. Il male invece ci fa sempre vivere come se fossimo in ostaggio di qualcuno o di qualcosa”.

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La parola della domenica

“Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”

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Rubrica di ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco Mc 13,24-32

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:«In quei giorni, dopo quella tribolazione,il sole si oscurerà,la luna non darà più la sua luce,le stelle cadranno dal cieloe le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre»

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Scene apocalittiche, nel vangelo come nella storia nostra.

In quei giorni il sole si oscurerà, la luna si spegnerà, le stelle cadranno dal cielo.

Un mondo che va alla deriva? Guarda più a fondo, con occhi di profeta: in realtà è un mondo che rinasce

Dalla pianta di fico imparate: quando il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Gesù ci porta alla scuola delle piante, perché le leggi dello spirito e le leggi della realtà, in fondo, coincidono.

Il fico è la pianta più citata nelle scritture. Più del grano, più della vite. Era l’albero piantato davanti casa, la cui ombra e i cui frutti rimandavano alla serenità del vivere, alla dolcezza della Parola, alla presenza di qualcuno che, dentro casa, manda avanti e cura la vita.

Imparate dalla sapienza degli alberi: l’intenerirsi del ramo, la linfa che riprende a gonfiare i suoi piccoli canali, è una sorpresa che non dipende da te. Uno stupore ogni volta nuovo.

Così anche voi sappiate che egli è vicino, è alle porte. Dio è qui; e dice vita, dice primavera.Da una gemma di fico, piccola realtà incamminata verso la sua pienezza, imparate il futuro del mondo: il mondo non è finito, concluso così com’è; il creato è una realtà germinante.

Da una gemma imparate Dio: tra i suoi cento nomi c’è anche ‘germoglio’ (inôn, sl 72,17): “il suo nome è perennità, in faccia al sole. Inôn è il suo nome”. Non la perennità fissa della pietra, bensì quella dell’alba, del rinascere.

Una perennità di germogli.Mi mette pace, allegria, speranza, buon umore, immaginare e pensare Dio come germinazione a primavera; non un ramo secco, un legnetto da ardere nel fuoco, ma un tralcio verde.E sopra si aprono gemme come occhi, come stelle verdi.Passeranno i cieli e la terra ma le mie parole non passeranno.

Passano il sole e la luna, si sbriciola la terra, ma le mie parole sono un sole che non tramonta, perché scolpite nel cuore dell’uomo.Gesù ci convoca tutti a dare fiducia al futuro, a credere che il cammino della storia è, nonostante tutte le smentite, un cammino di salvezza.Il Vangelo parla di stelle che cadono, il Profeta Daniele parla di stelle che salgono a ripopolare il cielo: “Uomini giusti e donne sante salgono nella casa delle luci, dove risplenderanno come stelle”.Cercali, guardali, ringraziali i giusti e i limpidi che vivono attorno a te, i profeti di oggi, che si sono impregnati di luce, per te.Germogli benedetti, imbevuti di cielo, intrisi di Dio, oasi di speranza. Sono tanti, e “ognuno è un proprio momento di Dio” (Turoldo), ognuno sillaba del Verbo, ognuno consonante di quella “speranza che è il presente del nostro futuro” (Tommaso d’Aquino).Il mondo non finirà nel fuoco, ma nella suprema bellezza.

Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.

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La parola della domenica

“Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti…”

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

(12,38-44)

“In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere.”


Oggi non sono più le donne che amano passeggiare in lunghe vesti: infatti la moda le costringe a indossare la minigonna. Il che mi fa camminare sempre con gli occhi chiusi e ciò mi porta a sbattere contro gli spigoli dei palazzi. Chi mi conosce sa che il mio volto è tutto sfigurato. Chi oggi porta ancora le vesti lunghe sono ancora alcuni del clero.

Il Concilio Vaticano è riuscito a spogliare il clero dalle lunghe vesti e ad essere più semplici nel vestire. Ma c’è ancora qualcuno che ama passeggiare con vesti lunghe per essere riconosciuto come principe, conte o barone. Non era il vestito che dava a Gesù la dignità di essere profeta, sacerdote e re.

La gente lo cercava, gli andava appresso, lo osannava perché da Lui usciva un potere soprannaturale ed un profumo dolcissimo di santità. Certo, non è il vestito firmato o la macchina lussuosa che ti da dignità, ma la pienezza della grazia di Gesù Cristo.

Neppure la ricca villa dove abiti o le lauree che hai conseguito ti danno la vera dignità. Rimasi molto ammirato quando vidi, per la prima volta, don Tonino Bello. Era un uomo semplice, nessun oggetto d’oro addosso, la sua casa era di tutti, non porgeva la mano per farsela baciare, la sua macchina non era appariscente. Quando parlava, il suo linguaggio era semplice come tutta la sua persona.

Davvero emanava un grande spirito profetico, regale e sacerdotale. Spero di vederlo subito canonizzato dalla Chiesa ufficiale. Il Vangelo di oggi mi ricorda anche una grande santa del nostro tempo: Madre Teresa di Calcutta. È stata una donna povera, ma piena della grazia di Gesù Cristo. Aveva appena due tuniche, ma il suo amore per i più poveri della società era incommensurabile.

Quando era costretta a stare in mezzo ai ricchi e ai potenti di questo mondo, questi l’accoglievano con grande onore come se fosse stata la regina del mondo. Preghiamo affinché noi, Chiesa di Cristo, ci presentiamo al mondo spogli di ogni potere e ricolmi di semplicità evangelica. Amen. Alleluia. (P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)

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La parola della domenica

“Qual è il primo di tutti i comandamenti?”

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Rubrica della domenica di approfondimento ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco ,Mc.12,28-34

“In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?»

Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Non c’è altro comandamento più grande di questi».Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.”

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Il Vangelo ci invita ad amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stesso. Ci sono delle persone che fanno fatica ad accettare e amare sé stessi. Coltivano un rifiuto permanente verso la propria persona, contro il proprio corpo, il colore, la statura, il peso e altre cose. Per questo si sentono infelici e insicuri. Attribuiscono al loro stato fisico tutta la loro infelicità. Ma questa antipatia verso sé stessi è insensata. Bisogna uscire da questa follia e prendere sul serio le parole di Cristo che dice che non si può amare Dio e il prossimo senza un sano amore verso sé stessi.Per poter amare, bisogna accettarsi. Questo non è così semplice. Ogniuno vorrebbe essere più forte, più virtuoso, più bello, più intelligente. Spesso ciò che impedisce alla grazia di Dio di agire in profondità nella nostra vita è di non accettarci così come siamo: accettare la nostra storia, il nostro passato, il nostro carattere, il nostro fisico, le nostre debolezze. Spesso sento dire: “Padre, non riesco ad accettarmi… non mi sopporto… mi detesto!”Dio mi ama per come sono. Dio non mi ama per i miei risultati, i successi, ma perché sono il Suo figlio. Il Suo amore è gratuito e incondizionato. Dio sa trarre bene anche dalle mie debolezze, e anche dai miei peccati. Perciò non mi rattristo per le mie debolezze, non ne faccio una tragedia, ma le accetto. Questo atteggiamento è un mezzo potente per attirare la grazia di Dio.Se mi accetto per come sono, accetto di conseguenza l’amore di Dio. E sarà più facile accettare e amare gli altri. Talvolta mi capita di non essere contento di me perché ho commesso qualche errore, mi arrabbio con me stesso, divento di cattivo umore e un po’ aggressivo con gli altri: faccio pagare a loro la difficoltà di accettarmi debole e fragile.Ricordati, tu sei un dono di Dio. Accetta con gratitudine la tua persona e la tua personalità e abbandonati con fiducia alla volontà del Padre .

Don Nikola Vucic

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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