Da oggi il nostro giornale si arricchisce di una nuova firma: è quella di Gianni Virgadaula, giornalista, regista, scrittore e sceneggiatore. Negli anni, ha collaborato con grandi maestri del cinema, quali Federico Fellini, Nanni Loy e Pupi Avati. Si è formato professionalmente alla Libera Università del Cinema fondata da Cesare Zavattini. Virgadaula ha ricoperto diversi ruoli: consigliere nazionale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana, membro dell’Associazione Italiana per la Ricerca sulla Storia del Cinema, fondatore del Museo del Cinema Pina Menichelli, direttore della Scuola di Cinematografia “Paolo VI” e direttore artistico di eventi cinematografici. È autore di oltre 20 pubblicazioni. Virgadaula curerà per “Il Gazzettino di Gela” una rubrica quindicinale dal titolo “L’uomo, il tempo, la memoria”. Si comincia oggi.
Sin dalla notte dei tempi il desiderio dell’uomo è sempre stato quello di raggiungere l’immortalità. Lo ha fatto attraverso la religione, l’arte, la magia, l’alchimia e nella contemporaneità continua a farlo attraverso la scienza, la ricerca biologica, la cibernetica, addirittura l’intelligenza artificiale. Ma di fatto questa idea dell’ umanità di eternarsi, al di là dei grandi progressi della medicina e dell’ allungamento della vita, è rimasta un’utopia. Si moriva duemila anni fa così come si muore oggi. Eppure un soffio di immortalità c’è venuta dal Cinema. Basti pensare che già l’indomani della prima proiezione dei fratelli Auguste e Louis Lumière, avvenuta il 28 dicembre in via dei Cappuccini di fronte a 33 spettatori paganti, alcuni giornalisti che assistettero a quel mirabolante spettacolo scrissero come la fotografia in movimento avrebbe debellato la morte come fatto assoluto e definitivo. E in fondo è vero. Tutt’oggi, nel vedere figure come Totò Charlie Chaplin, Stan Laurel e Oliver Hardy, Gary Cooper e John Wayne, difficilmente pensiamo siano persone non più in vita. Il principe De Curtis ci farà sempre scompisciare dalle risate ogni qualvolta un suo film passerà in tv. E le danze di Fred Astaire e Ginger Rogers ci delizieranno ancora per i prossimi 100 anni. E non è finita qui. Infatti, se oggi possiamo ascoltare la voce dei nostri nonni, rivedere le loro fattezze, è sol perché una macchina da presa o una telecamera, anche amatoriali, ne hanno colto per sempre la fisicità, il timbro di voce, la risata, forse persino il carattere. Questa la potenza della cinematografia che dalla sua invenzione, (sono trascorsi 129 anni), ha raccontato e testimoniato la storia del mondo. Ci ha fatto conoscere le sembianze di re e regine, di papi e statisti (Leone XIII nel 1903 fu il primo pontefice ad essere filmato da una cinepresa). E ancora, ci ha raccontato le guerre, le rivoluzioni, i disastri naturali, ma anche le grandi imprese sportive, i progressi tecnologici, le conquiste dello spazio. Allora ecco l’immortalità dataci dal Cinema. Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Marlon Brando, Marilyn Monroe, Greta Garbo, non sono mai morti.
Marcello Mastroianni e Gianni Virgadaula al Tribunale di Roma durante una pausa set della serie Rai “A che punto è la notte?”
Le generazioni passano. Noi stessi passiamo, ma loro no. Essi sono sempre lì incorruttibili, immuni da malattie, non contagiati dalla vecchiaia, che ci strizzano l’occhio dallo schermo. Ridono, piangono, amano, a colori o in bianco e nero, ma comunque onnipresenti. E a proposito di immortali, auguri alle splendide novantenni Brigitte Bardot e Sophia Loren, ma anche ai 100 anni di Marcello Mastroianni che penso continui a fumare i 2 suoi pacchetti di sigarette al giorno pure lassù in Paradiso, e con il quale ho avuto il privilegio di girare 2 film: “Ginger e Fred” di Federico Fellini e “A che punto è la notte” di Nanni Loy.
Nel 1985, esattamente quarant’anni fa, Federico Fellini girava al Teatro 5 di Cinecittà “Ginger e Fred”. Un film che ha avuto per me un notevole significato dal momento che per quattro settimane, fra giugno e luglio, fui uno degli assistenti alla regia del grande maestro riminese, e che di fatto quella pellicola segnò il mio esordio professionale nella cinematografia.
Un inizio carriera che un po’ tutti i ragazzi avrebbero sognato, se si considera che allora Fellini insieme ad Akira Kurosawa e Ingmar Bergman era considerato il cineasta più importante al mondo. Protagonisti del film furono Giulietta Masina e Marcello Mastroianni, che interpretavano due vecchi ballerini, soprannominati appunto Ginger e Fred per il loro repertorio che si ispirava a Fred Astaire e Ginger Rogers, i quali venivano invitati dopo tanti anni dal loro ritiro delle scene ad uno show televisivo.
C’era in quel lavoro di Fellini una profetica anticipazione di quella che poi sarebbe divenuta la televisione “spazzatura” in Italia, fatta di show, quiz, turpitudini, grande fratello e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno volle pure vederci la narrazione della nascita di Fininvest, l’azienda televisiva voluta da Silvio Berlusconi poi divenuta Mediaset. Un film pieno di ironia, sarcasmo, ma dove non mancava pure una vena di malinconia quando alla fine dell’esibizione, peraltro maldestra, i due anziani ballerini, anche amici (e forse un tempo anche amanti) si lasciano a Stazione Termini. Un saluto ultimo e struggente che faceva comprendere come i due non si sarebbero più rivisti.Musicato da Nicola Piovani, che ebbi modo di conoscere proprio sul quel set, il film fu pretesto per Fellini anche per attaccare l’uso massiccio e indiscriminato della pubblicità che interrompeva (e interrompe tutt’ora) il cinema in televisione. Una battaglia persa quella di Federico, nonostante anche altri autori negli anni abbiano sostenuto questa causa, compreso il nostro Giuseppe Tornatore. Ma la TV commerciale (e non solo quella) ha le sue regole, o forse regole non ne ha più, se quotidianamente a tutte le ore del giorno e della notte vediamo fiere della vanità, cruenti dibattiti, violenza e volgarità a go go. D’altronde, anche il dolore, la morte, le guerre sono stati spettacolarizzati. Quasi fossero videogames. E davanti a quel film di Fellini girato 40 anni fa, attraverso gli occhi ingenui di due vecchi artisti del Varietà, c’è tutto lo “sguardo lungo” del regista che fu sempre capace attraverso la fantasia e l’irrazionale di raccontare verità scomode.
Lo scorso 10 febbraio si è svolta ai più alti livelli istituzionali “la giornata del ricordo” al fine di perpetuare la memoria sugli assassinii e le stragi che riguardarono le popolazioni istriane e giuliano-dalmate a cavallo fra il ’43 e la fine della Guerra, che poi determinarono l’esodo dalle terre natìe di 350.000 italiani sino a oltre la metà degli Anni ’50.
Molte quest’anno le iniziative, ma anche le novità editoriali che hanno riguardato l’argomento. Cito per tutti la pubblicazione “Donna, eroine, martiri delle foibe” (Editore Passaggio al Bosco) della professoressa Valentina Motta di origine messinese, scrittrice, studiosa e ricercatrice, e poi il libro “10 febbraio” del senatore di Fratelli d’Italia On. Giuseppe Menia, di origini istriane. Fra questi due interessanti volumi vorrei poggiare l’accento sul saggio della professoressa Motta per la capillare ricostruzione di fatti e eventi tragici che insanguinarono fra il 1943 e il 1945 la frontiera orientale italiana, con eccidi, torture ed esecuzioni da parte dei partigiani titini dell’Osna. Un racconto che riporta in superficie soprattutto le violenze e gli abusi perpetrati contro le donne, colpevoli di essere state compagne o parenti di uomini legati al regime, o esse stesse inquadrate nei reparti femminili della Repubblica Sociale Italiana o facenti parte di corpi volontaristici e di assistenza ai malati e ai feriti. Non mancarono poi abusi su ragazze, colpevoli solo di essere belle e quindi vittime spesso di gelosie, ricatti, vendette. Su queste donne vennero perpetrati ignominiosi stupri e orribili sevizie. E chi idealmente rappresenta e simboleggia tutte queste figure (mamme, spose, sorelle, di qualsiasi età e ceto sociale) è certamente Norma Cossetto (Visinada, 17 maggio 1920), che a 23 anni, fra la notte del 4 e 5 ottobre 1943 venne sequestrata, violentata da 17 titini e poi gettata viva nella Foiba di Villa Suriani.
Il cadavere sarebbe stato rinvenuto 2 mesi dopo, alla fine di dicembre, privo di indumenti e con un paletto di legno conficcato nella vagina. Una fine orribile quella della studentessa universitaria che stava preparando la sua tesi di laurea, e che venne descritta da chi la conobbe come una ragazza solare e piena di vita, certo ignara dal crudele destino che la condusse alla più spaventevole delle morti. L’8 maggio 1949 l’allora rettore dell’ Università di Padova, prof. Aldo Ferrabino, conferì la laurea ad honorem in lettere a Norma Cossetto, mentre nel 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi insignì alla ragazza istriana della Medaglia d’oro al merito civile. Precisa, puntigliosa e scrupolosa è stata la ricostruzione dell’esecuzione della Cossetto da parte di Valentina Motta, ma anche di tante altre donne coraggiose che vennero martirizzate in nome dell’ideologia comunista, dalle bande armate del Maresciallo Tito. Fra l’altro l’autrice nel riportare alla luce tanti di questi episodi non manca di sottolineare come comunque c’è ancora molto da ricercare, e molto da indagare per riesumare (proprio come si è fatto nel recuperare i corpi infoibati) altri casi nascosti e dare una maggiore completezza a quel “film dell’orrore” tenuto per decenni così vergognosamente nascosto e vilmente tacitato.
Sebbene già nella precedente amministrazione e durante questa sua ultima trionfale campagna elettorale che lo ha riportato alla Casa Bianca, i comportamenti, le parole e le decisioni di Donald Trump avevano già fatto comprendere chiaramente con quale uomo avrebbe dovuto confrontarsi il mondo, adesso che dalla teoria si è passati alla pratica, è sconvolgente constatare come il nuovo Presidente degli Stati Uniti a poche settimane dalla sua rielezione abbia già destabilizzando i già precari equilibri del nostro pianeta. Le sue scelte, le sue decisioni, le sue sortite perentorie, che non ammettono dialogo o confronto perchè lui è “l’unto dal Signore”, ci dicono quanto siamo messi male se la nazione più potente del mondo è governata da un signore isterico e megalomane, irresponsabile e senza freni. D’altronde, l’altra superpotenza mondiale, ovvero la Russia, è nelle mani di un altro esaltato, il carnefice e sanguinario Vladmir Putin.
Ebbene, questi due uomini, secondo nuove logiche imperialistiche che sembravano morte e sepolte, vanno d’accordo e sembrano volersi spartire il mondo assicurandosi delle precise aeree di influenza. Così Trump, anche per avere poi dallo “zar” il via libera sui suoi progetti, sta cercando di chiudere in poche battute una pace fra la Russia e l’Ucraina, e non verrà difficile a Putin aderire a questo piano, che sembra condannare l’Ucraina a un triste destino di resa e capitolazione, nonostante il valore dei suoi generali, dei suoi soldati e del suo popolo. Non è infatti concepibile che si lavori ad un trattato di pace, unilateralmente, con una sola nazione che detta le condizioni, appoggiata da un arbitro fazioso, disposto a sacrificare Kiev, magari prendensosi poi il merito di pacificatore. E l’Unione Europea? Protesta timidamente. Non sa cosa fare e non ha personalità politiche capaci di spezzare questa diabolica intesa che sta venendosi a creare fra Stati Uniti e Russia. Lo stesso presidente francese Macron appare patetico nelle sue timide reazioni alle imprevedibili e perentorie scelte di Trump. E Giorgia Meloni? Donna intelligente e statista di razza, checché ne dicano gli avversari politici, cosa fa? La sua ostentata amicizia con Trump dovrebbe metterla in una posizione di privilegio rispetto agli altri partners europei, e quindi solo lei potrebbe fare ragionare il presidente degli USA sulle sue strategie. Qui allora si gioca tutta la credibilità della premier, non solo come Presidente del Consiglio, ma anche rispetto alle mire di divenire una leader indiscussa anche in Europa. Se la Meloni avrà coraggio e argomentazioni per opporsi a Trump (e Musk!), allora la sua leadership e la sua immagine ne usciranno potentemente rafforzate. Altrimenti, rimanendo zitta e supina davanti alle pericolose “devianze” di Trump, la Presidente del Consiglio finirà col bruciare tutta la credibilità e la stima che ha saputo conquistarsi negli anni con un puntiglioso e duro lavoro. D’altronde, la Meloni, che ha difeso a spada tratta e con i fatti il diritto ad esistere dell’Ucraina, come potrebbe accettare adesso che quella nazione, disarmata e mutilata in buona parte del suo territorio, divenisse un’ altra ragione satellite della Russia? Se Meloni ha riconosciuto la pericolosità di Putin dovrebbe pure comprendere che Trump in fondo non è altro che l’altra faccia della stessa medaglia. La verità, senza girarci troppo intorno, è che Putin e Trump, diversi eppure uguali, sono una grave minaccia per il mondo. E ad opporsi a questi due pescecani non potrà essere la debole Europa e neppure la Gran Bretagna che ambiguamente davanti ad una situazione così esplosiva se ne sta zitta nel suo isolazionismo. ma paradossalmente potrà farlo la Repubblica Popolare Cinese, il cui presidente, Xi Jinping a confronto dello zar e del tycoon, sembra essere un vecchio grande saggio. E se è vero che tra i due litiganti il terzo gode, forse allora sarà proprio la Cina a vincere la grande partita politica, strategica ed economica che ormai si sta combattendo da anni senza esclusione di colpi. Ma neppure quest’ultima prospettiva al fine ci riempirebbe di gioia.