Lo slogan classico è che ‘Mani Pulite’ cambiò l’Italia, invertendo il corso della storia ma dal dibattito animato dal magistrato protagonista Gherardo Colombo emerge che non ha cambiato nulla, perché la corruzione c’era e c’è ancora. Solo la cultura e la formazione delle giovani generazioni può cambiare le menti. Questo in sintesi il messaggio emerso a conclusione della ‘Lezione a 30 anni da Mani pulite: la corruzione ieri, oggi e… domani?’ Il primo evento che dà il via all’iniziativa culturale di cui si fa carico l’Istituto comprensivo ‘Giovanni Verga’, diretto dalla Prof.ssa Viviana Aldisio, oggi punto di riferimento culturale della città. “L’agenzia educativa scuola – ha detto la dirigente – ha un compito fondamentale nella formazione dei ragazzi: quello di fornire temi importanti sui quali stimolare in loro lo spirito critico, la conoscenza, lo sviluppo valoriale. La nostra scuola, ha cominciato due anni fa a darsi questi obiettivi, poi è arrivata la pandemia ma adesso, con la ripartenza, torna ad riprendere le fila di un discorso sempre aperto”. Dopo l’intervento del sindaco e del Procuratore della Repubblica Asaro, il moderatore Michele Orlando ha avviato il dibattito. Un simposio che ha messo insieme giuristi, costituzionalisti, magistrati e legali per dissertare sull’impianto giurisdizionale italiano, sui limiti emersi da quel sommovimento che ne ha messo in dubbio la valenza, dalle fondamenta e che, a distanza d 30 anni, fa concludere le riflessioni con un mesto: “non è servito a niente’. Si, perché la corruzione c’era ieri e c’è ancora. Quindi tanto rumore per nulla
La sera del 17 febbraio del 1992, trent’anni fa. Un giorno magro di cronaca per i giornali. Fino alle nove di sera, quando cominciò a circolare la notizia: “Hanno arrestato Mario Chiesa”, una delle persone più potenti di Milano. Socialista. Perché il potere era del Psi di Bettino Craxi che governavano quasi ovunque. Con la Dc e col Pc. Da Quel momento si aprì un processo lungo due anni che si concluse con le dimissioni di Di Pietro. Per l’ex magistrato Colombo il sistema processuale, carcerario e politico sono da ripensare dalle fondamenta. La cultura, e quindi l’Italia, «non si cambia con i processi» – ha detto Colombo. L’eredità dell’inchiesta Mani pulite, trent’anni dopo l’arresto dell’allora presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano Mario Chiesa, colto in flagrante mentre intascava una tangente di sette milioni di lire, è una riflessione amara che arriva da Gherardo Colombo, in quegli anni magistrato del pool della Procura di Milano coordinato da Francesco Saverio Borrelli. «Non siamo arrivati a scoprire tutto quello che è stato fatto ma solo una minima parte – ha detto – e anche quella minima parte non ha portato a una rivisitazione del rapporto fra cittadini e regole. Anche sotto l’aspetto penale, purtroppo, tutto è finito in poco. La corruzione era un sistema. La corruzione connessa al finanziamento illecito dei partiti quasi non esiste più, perché il finanziamento illecito, se c’è, passa per altri canali. C’è tanta corruzione spicciola e strisciante, a tutti i livelli della burocrazia ma anche fra i cittadini comuni. La mentalità non è cambiata. Viene apprezzato chi è furbo, chi non paga le tasse: tutto l’opposto del disegno della Costituzione. Quello fra imprenditori e pubblica amministrazione era un rapporto sistematicamente accompagnato dalla corruzione, generalmente finalizzata al finanziamento illecito dei partiti. Cade il muro di Berlino, finisce il tempo delle ideologie, si dissolvono i partiti tradizionali e contemporaneamente le indagini possono proseguire».
«Mani pulite è stato un fallimento – ha detto l’avv. Emanele Maganuco – la dimostrazione che bisogna operare altrove perché cambi il rapporto fra le persone e le regole, perché il processo penale non è lo strumento idoneo. Sono state cambiate le leggi, è stata dimezzata la prescrizione, è stato sostanzialmente abolito il falso in bilancio, si è tolta efficacia probatoria a certe fonti di prova». Ampio dibattito sul sistema carcerario italiano che il magistrato Colombo ha demolito. “Una stanzetta per 4 persone – dice Colombo – con annesso un bagno dove si cucina pure. E’ così che si deve rieducare un uomo? Infatti il 65% dei detenuti torna a delinquere. In questi anni ho maturato la convinzione che il carcere andrebbe abolito”. Non ha pensa così il sostituto procuratore presso il Tribunale di Gela, Luigi Lo Valvo che ha difeso strenuamente l’istituzione carceraria come unico mezzo di fornito dalla legge per contrastare il malaffare. Per Colombo però in carcere vanno i ladri di polli e i colletti bianchi restano fuori. Quindi per un vero cambiamento, secondo il magistrato: «Bisogna investire tanto in cultura e in educazione, quando esiste un conflitto fra la legge e il mondo di pensare prevale il modo di pensare. Purtroppo la politica continua a vivere alla giornata, a guardare i sondaggi del giorno dopo e alle prossime elezioni, senza fare, di solito programmazioni a lungo termine».
Ragusa – Non solo a Gela, ma anche a Ragusa. Il problema del personale regionale destinato ai musei è generalizzato. E tutto resta uguale.
“Piove sul bagnato sul museo archeologico ibleo di Ragusa. Alle vecchie inefficienze che denunciamo da tempo inascoltati si aggiunge ora quella delle chiusure improvvise, come quella avvenuta ieri senza alcun preavviso, che ha reso, per la terza volta dall’inizio dell’anno, l’istituzione culturale off limits ai visitatori.
Tutto questo è inaccettabile. Le inefficienze sono ormai troppe e Comune e Regione continuano a dormire”. La denuncia è della deputata regionale M5S Stefania Campo. “Ieri Il Museo Archeologico Ibleo di Ragusa è rimasto chiuso senza nessun avviso e preavviso, e non è la prima volta che succede. Dall’inizio dell’anno la mancata apertura si è verificata già due volte, e siamo ancora alle prime settimane di gennaio.
Lo stesso è accaduto anche sotto le festività natalizie. Solo facendo delle specifiche richieste abbiamo appreso che il motivo risiede nella mancanza di personale; un solo impiegato regionale e due lavoratori Asu, in effetti risultano al di sotto di qualsiasi ragionevole parametro. Eppure, per risolvere il problema, sarebbe bastato stabilizzare gli Asu, perché difatti tutti i siti museali in provincia di Ragusa, che fanno capo alla Regione, vantano un organico di 19 dipendenti regionali e di altrettanti Asu, ma evidentemente non sono distribuiti in maniera equa per garantire a tutti i siti archeologici la stessa possibilità di fruizione”.
“In pieno mese di agosto – continua Campo – avevamo già denunciato pubblicamente le condizioni di abbandono del museo ed erano subito arrivate rassicurazioni per una maggiore attenzione e per una serie di provvedimenti, ma ad oggi nulla sembra essere cambiato, se non in negativo, come l’aumento del costo del biglietto. E così il museo Archeologico continua a non venire valorizzato e a rimanere in balìa dei continui rimpalli di responsabilità e oneri fra l’amministrazione del Parco di Kamarina e Cava d’Ispica, soggetto gestore, e il Comune di Ragusa, a guida Cassì, proprietario dell’immobile”.
“Ieri – racconta la deputata – non siamo riusciti a entrare per fare un ulteriore sopralluogo ma sappiamo di certo, che le problematiche denunciate in estate non sono state affrontate e ci riferiamo, solo per fare qualche esempio, alla mancanza di collegamento internet fisso, all’assenza di una biglietteria elettronica, alla mancanza di un impianto di condizionamento climatico, alla totale assenza di un sistema di efficiente allarme e di opportuna videosorveglianza, e si potrebbe continuare. Ciliegina sulla torta, ci risulta che non sia stata ancora restituita al sito ragusano l’intera collezione ‘Il ripostiglio di Castelluccio’ trasferita, si diceva, momentaneamente, al Convento della Croce a Scicli. Pertanto, i visitatori, che pagano per intero il biglietto a Ragusa, troveranno ben tre teche ancora vuote e senza alcuna spiegazione”.
“L’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Scarpinato – conclude Campo – ci aveva promesso lo scorso agosto che sarebbe venuto a constatare di persona, ma finora non lo ha fatto. Ci piacerebbe che la stessa solerzia che l’assessore ha avuto nell’intitolare il museo all’archeologo fascista Pace, senza confrontarsi con la città di Ragusa, l’avesse anche per la buona conduzione del museo
L’assessore regiomale alla Sanità Giovanna Volo ha convocato una riunione sull’Utin del Vittorio Emanuele non attivato da 15 anni per il 23 gennaio a Palermo.
Questo il testo della lettera scritta dal sindaco Di Stefano e dall’assessore Franzone ai vertici del governo regionale e alla depurazione nazionale e regionale:
“Siamo venuti a conoscenza,tramite la stampa, della richiesta formale fatta al Tavolo tecnico per la rimodulazione ospedaliera, per prevedere una Utinpresso il Presidio Ospedaliero Sant’Elia di Caltanissetta. Premesso che l’Utinè già prevista all’interno del territorio dell’ASP CL 2, più precisamente all’interno del Presidio Ospedaliero Vittorio Emanuele III di Gela, sin dal 2010 (D.A. 25 maggio 2010) e perennemente riconfermata fino all’ultimo riordino ospedaliero. Che i cittadini e le associazioni del gelese hanno più volte manifestato, negli anni, a sostegno dell’attivazione dell’Utin, finanche presentando esposti, interrogazioni al Ministro della Salute, persino facendo venire a Gela la troupe di Mi Manda Raitre per un servizio sulla mancata apertura dell’Utin.
Ad oggi, dopo 15 anni, quella di Gela rimane l’unica Utin siciliana a non essere in funzione.
L’utin venne individuata a Gela nel 2010, dopo l’intervento della Commissione Parlamentare di Inchiesta sugli errori Sanitari, allora presieduta dall’On. Leoluca Orlando, a seguito dei dati fatti pervenire ad esso dal CSAG (Comitato per lo Sviluppo dell’Area Gelese), tali dati indicavano tre precisi punti, ancora oggi attuali:
1) L’area Gelese ha un numero di nascite notevolmente superiore alla zona di Caltanissetta.
2) A Gela c’è una altissima incidenza di malformazioni neonatali, superiore a qualunque altra area della Sicilia.
3) Gela (70.856 ab) dista 80 km dall’Utin più vicina, Caltanissetta (58.353 ab.) dista appena 15 KM in linea d’aria dall’Utin più vicina, localizzata ad Enna (25.332 ab.).
Inoltre, ogni Libero Consorzio siciliano ha al proprio interno una sola Utin, i Liberi Consorzi di Siracusa, Trapani e Agrigento, con circa 400.000 abitanti hanno una sola Utin, quindi, non ci spieghiamo perché si dovrebbe discutere di una ulteriore Utin nel Libero Consorzio di Caltanissetta che ha appena 247.000 abitanti, per giunta in una zona dove già insiste un’altra Utin che dista pochissimi KM.
Come amministrazione di questa città, vogliamo ribadire la nostra posizione, che coincide con quella dell’intera comunità gelese: non siamo disponibili, dopo 15 anni, a tollerare nuove individuazioni di Utin in Sicilia se prima non viene attivata l’Utin di Gela.
Stretti, come le sardine in scatola, su un marciapiedi angusto sotto la pioggia. Sono gli utenti dell’ufficio postale di via Verga. La foto scattata stamattina si commenta da sola.
Non va meglio per chi ci lavora. Lo scarico di lettere e pacchi avviene in una zona priva di parcheggi e in condizioni non di sicurezza. Quando piove la situazione si complica.