In pochi avevano sentito pronunciare questo nome prima del debutto in Tv della nuova fiction di Rai 1 dove recita anche il gelese, Dario Frasca, 39 anni, che in molti avranno riconosciuto durante la terza puntata della nuova produzione Paloma. Eppure Macari (o Màkari, come nello sceneggiato), non è soltanto un costante intercalare siciliano ma un borgo a pochi chilometri da San Vito Lo Capo che pochi conoscevano e che sta regalando grandi emozioni al pubblico televisivo italiano. Un vero e proprio spot paesaggistico della Sicilia occidentale e della costa paradisiaca in cui è girato. Un borgo tranquillo, quasi sospeso nel tempo in un lembo di Sicilia, dove si viene in cerca di pace, autenticità, di vita di mare e dove abita la famiglia di Saverio Lamanna, l’attore palermitano Claudio Gioè, il padre è interpretato dal Grande Tuccio Musumeci. Dario Frasca, attore di teatro, ha già esordito in Tv con “Il Commissario Maltese”,“Agrodolce”, “Squadra Antimafia”, “La mafia uccide solo d’estate”. Si è anche occupato del casting del “Commissario Montalbano” collaborando nel dietro le quinte dell’industria cinematografica forgiando la sua personalità artistica. Frasca, nato a Caltagirone e cresciuto nella nostra città, ha frequentato l’Istituto tecnico commerciale Luigi Sturzo e mosso i primissimi passi con il Cesma ma è nella scuola di teatro “Teates” di Michele Perriera (autore e regista) che raggiunge il vero spessore artistico.
Che esperienza è stata Makari?
Una bella esperienza, seria, professionalmente valida e formativa. Abbiamo girato il set in condizioni critiche con il costante dubbio di non riuscire a terminare le riprese in tempo prima di un nuovo lockdown: le comparse infatti sono state ridotte al minimo proprio per la difficoltà oggettiva dovuta al Covid. Lo stesso casting, a Palermo, è stato fatto durante un periodo durissimo, in piena pandemia: personalmente ho inviato alla produzione un video. Ad Aprile mi è arrivata la conferma telefonica che ero la loro scelta.
Cosa cambia tra Tv e teatro?
Compito del teatro è andare in profondità e non sempre la televisione ci riesce. Tuttavia ho ricevuto tanti apprezzamenti per la mia interpretazione e devo ammettere che mi fa impressione tanto successo inaspettato: solo la Tv riesce in questo così velocemente. Nel teatro la faccenda è più ambigua, lo studio è tanto ma non dice tutto di un attore, raggiungere la popolarità è più difficile. Sicuramente ci ho creduto di più e mi sono trovato in teatro per lavoro oltre che per passione. Il teatro mi ha salvato la vita.
Dove ti sei formato come attore?
A Palermo, lavorando a contatto con il palcoscenico, in ogni suo aspetto e sfaccettatura, ma ciò che mi ha reso l’attore che sono oggi è stata la frequentazione dell’indimenticabile scuola di teatro “Teates” magistralmente diretta da Michele Perriera, nel capoluogo siciliano in cui abito.
Che cos’è per te la poesia?
Il suo modo di parlare, ad esempio. Il maestro Perreira venne un giorno come ospite di una rassegna artistica in Università: ricordo ancora che, quando iniziò a parlare, smisi di prendere appunti, ipnotizzato dalle parole di quell’attore. Decisi immediatamente di approfondire i miei studi presso la sua scuola: sono molto contento dell’esperienza fatta e della formazione ricevuta, con professionisti di altissimo spessore artistico e caratteriale in un mondo fatto di macchinari – e meccanismi – estremamente complessi e dove reciti in una prospettiva completamente diversa dal set televisivo. Sono abituato al silenzio della platea, mentre invece, durante la fiction, mi aggrappavo alla mia recitazione e alla macchina da presa, senza altri riferimenti.
Obiettivi futuri?
Mi piacerebbe proseguire con l’insegnamento: collaboro con diversi teatri palermitani dove tengo laboratori con corsi di pronuncia, lettura, dizione che mi “mantengono” in vita durante questo triste periodo in cui il teatro si è fermato. Non appena sarà possibile riprendere a recitare lo farò con immensa gioia: Palermo è una città particolarmente vivace in tal senso. Attualmente collaboro con il Piccolo teatro patafisico, il Teatro Atlante, il Teatro Nuovo, il Teatro Libero, l’Agricantus e il Teatro Massimo fondazione lirico sinfonica. Realtà artistiche vivaci e in costante contatto con il mondo della scuola che ne sostiene e promuove gli sforzi. Scrivo spettacoli per bambini, amo ambientare le mie storie all’interno di una dimensione immaginaria, accompagnato dalla mia inseparabile chitarra.
Come vivi questa pandemia?
Con un’indennità bimestrale e intermittente di appena 600€ al mese, e una tristezza, umana e artistica, che non va via dal cuore. Manca il pubblico, i rumori in sala, le risate, gli applausi, la partecipazione della gente e quell’incredibile magia che si crea in sala. Il teatro per noi attori è vita, è uno stile di vita: qualcosa che da ormai un anno ci manca incredibilmente e che deve necessariamente riprendere prima possibile. Attualmente faccio parte del collettivo “Arte è Martello” dove gli attori riescono a far valere il proprio lavoro.
Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questa strada?
Selezionate, selezionate e ancora selezionate: recitazione significa fare proprie le parole di un testo, essere dietro a quel testo. Certo, qualunque professione ha una maschera e un ruolo da recitare seppur inconsapevolmente. Il paradosso del teatro è un altro: la bugia vuole che chi ti sta ascoltando non sappia che stai mentendo. Invece nella finzione teatrale c’è un accordo implicito con il pubblico, un patto tacito dove chi recita deve dire la sua verità e lanciarsi completamente in questa cosa, seppur mentendo perchè attore. Per questo è importante scegliere ruoli nei quali si crede.
In pochi pensano davvero al teatro che è più vero per l’attore. Lo studio prevede una media di due mesi di prove e circa 5 ore al giorno per imparare i copioni. La memoria fisica e quella emotiva, insieme a quella delle parole, importantissima, fanno il resto.
Quali conferme hai ricevuto?
Le vere conferme vengono da fine scuola Perriera, quando uno dei figli del fondatore, Gianfranco, regista, ha deciso di farmi diventare assistente alla regia offrendomi un’incredibile opportunità di crescita a 360 gradi. Maestri come Michele, Gianfranco e Gigi mi hanno chiamato e richiamato per collaborare nei loro lavori. Insomma, come dico sempre a loro, se persevero in questa strada, di certo non facile, è colpa vostra.
Attori palermitani preferiti?
Gigi Borruso su tutti, per il suo inconfondibile stile, ma ne apprezzo molti, ognuno con la sua sensibilità come Domenico Bravo e Salvo Dolce, persone con cui è possibile condividere le infinite possibilità di crescita professionale.
Un augurio post – Covid per te e i tuoi colleghi?
Vorrei partire da quando “questa cosa” sarà finita: l’unico aspetto meritevole di attenzione è che il nostro settore artistico è riuscito a compattarsi e farsi sentire rivendicando i diritti di chi lavora in un mondo bellissimo ma complicato. Noi attori, abituati a vivere un po’ in aria, abbiamo realizzato che nessuno di noi aveva realmente compreso quale fosse il suo ruolo all’interno della società civile. Nel momento in cui ti dicono che non puoi lavorare significa che davvero non sei padrone del mondo, come ti illudi di essere quando reciti. Siamo una categoria di lavoratori che devono assolutamente essere tutelati e che la pandemia ha messo a dura prova Il Covid sarà sicuramente un motivo abusato negli spettacoli che seguiranno: personalmente spero di lasciarlo ad altri per dedicarmi all’infinita poliedricità della Vita teatrale oltre la pandemia.