«I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza». Sono le parole conclusive del Bollettino della Vittoria firmato dal generale Armando Diaz, comandante supremo del Regio esercito, il 4 novembre 1918 dopo la Battaglia di Vittorio Veneto con cui l’Italia riuscì a sfondare definitivamente le linee austro-ungariche fino ad entrare a Trento e Trieste. Era la fine della Prima guerra mondiale, la Grande Guerra. Esattamente tre anni dopo, all’Altare della Patria veniva tumulato il Milite Ignoto, in rappresentanza degli oltre seicentomila soldati italiani caduti nel 1915-18. Pochi giorni fa la Rai ha trasmesso il docu-film “La scelta di Maria”, che racconta le vicende legate alla scelta del soldato “senza nome” da parte di Maria Bergamas. A cent’anni da quel giorno, così importante per la storia del Nostro Paese, è opportuno fermarci un attimo per riflettere sul senso di quell’evento.
Perché nulla dell’oggi è possibile comprendere se non conosciamo ciò che ci ha preceduto e chi ci ha preceduti. Sulle montagne del Trentino e del Friuli, tra le acque dell’Isonzo e del Piave, morirono i nostri nonni o i nonni dei nostri genitori per completare il percorso risorgimentale e unire, finalmente, tutta l’Italia che si sentiva fieramente italiana. Una pagina di storia fondamentale anche per capire cosa accadde dopo, con il fascismo, la dittatura, la Seconda guerra mondiale. Comprendere cosa significa fino in fondo la parola “Patria”, oggi così demodé, cosa c’è dentro, chi ha lottato per questo ideale che a moltissimi appare adesso incomprensibile: è solo il primo e più urgente motivo, forse, per conoscere la storia della Grande Guerra e di quei giovani e giovanissimi che hanno perso la vita. Anche per loro dovremmo farlo. La storia contemporanea troppo spesso non arriva a scuola, nei programmi non c’è spazio o meglio, c’è spazio nei programmi ma non nelle lezioni. Il tempo è sempre poco, si dice così. Sarà vero, ma la storia va conosciuta. Senza se e senza ma.
Le nuove e nuovissime generazioni soprattutto – tra le quali la mia, e a seguire – devono sapere, devono conoscere, devono provare a capire che soltanto un secolo fa i loro coetanei andavano a combattere nelle trincee, nel fango, tra la neve, destreggiandosi tra il filo spinato e i colpi delle mitragliatrici. E conoscerla davvero, questa storia, almeno un pochino, può servirci per celebrare anche quei circa 600 e più caduti gelesi, sui quali tante volte ha scritto ad esempio il prof. Nuccio Mulè con la passione e la competenza che lo contraddistinguono, ricordando ad esempio il tenente Giovanni Guccione, medaglia d’oro al valor militare alla memoria, e Salvatore Damaggio, l’eroe del Pasubio. Ma anche per sapere che nel Parco archeologico dell’acropoli si trova il monumento ai caduti gelesi della Grande Guerra e che lì, a pochi metri dai resti del tempio d’Atena, ci sono intense pagine della storia di Gela che si fondono a perpetua, commovente e immortale memoria. Purché la memoria venga resa viva dai vivi. Perché le lezioni della Storia ci appartengono, non possiamo non conoscerle e siamo tenuti a custodirle. Oltre le date, oltre gli anniversari. Per dare un senso al presente e costruire, nei fatti, il futuro.
(Foto di Saverio Bunetto tratta dal gruppo Facebook “Gela Story”: il Parco delle Rimembranze nell’area archeologica dell’Acropoli)