Giorni fa, sorseggiando un caffè con un ufficiale dei Carabinieri che ha prestato servizio a Gela gli ho chiesto cosa ricordasse della sua esperienza in città. La risposta è stata concreta: la voglia di rivalsa della gente, onesta e lavoratrice, stanca dei continui sali e scendi che, da sempre, hanno caratterizzato il nostro territorio. Mi sono spinto oltre, chiedendo di essere più pragmatico, fuori da ogni ragionamento contorto. La risposta è sempre stata la stessa. Anzi, con l’aggiunta che per ottenere quella rivalsa di cui parlavamo bisogna non assuefarsi allo status quo ma lottare continuamente (nel rispetto dei principi della legalità) per vivere senza la paura di essere inermi, inconsapevoli e innocenti bersagli di un improvvisato poligono itinerante o di ring improvvisati.
Nelle ultime ore, la sparatoria, con due feriti, che si è registrata a pochi passi dalla trafficatissima via Venezia epicentro di pedoni e automobilisti, conferma che le preoccupazioni sfociate dopo le botte da orbi tra orde di ragazzi che si sono registrate in via Generale Cascino (altra zona densa di passanti, tra cui numerosi bambini) e al lungomare Federico II di Svevia, in cui la vittima del branco è stata accerchiata e ridotta in condizioni pietose, rappresentavano un vero e proprio campanello d’allarme. Nell’episodio di via Cascino, inoltre (per non farci mancare proprio nulla) ha trionfato l’uso smodato del telefonino di chi ha assistito passivamente a quanto stava accadendo, celere ad immortalare e a catturare ogni movimento dei protagonisti per poi divulgare la rissa in mondovisione sui canali appropriati. Nessuna chiamata è giunta nell’immediato alle forze dell’ordine, nessuno ha tentato di placare gli animi. In quel momento contava solo filmare e diffondere. E avere più like per quelle scene che ricordano le fasi più acute e sanguinarie dei barbari. E quando sono giunte le volanti, nessuno ha visto. E se c’era, dormiva.
Così come accaduto per la sparatoria delle ultime ore o per il pestaggio del lungomare. Anche le vittime sono poco inclini ad indicare esecutori o presunti mandanti. Qualcuno dirà che non parlano perché hanno paura delle ritorsioni ma così facendo, sarà sempre più complicato venirne a capo. E qui subentra, quello di cui dicevamo inizialmente: lo status quo. Questo è lo stato attuale e non si fa nulla per cambiarlo. Vittima o testimone che sia. Fa inorridire inoltre che tutti gli episodi di cronaca nera si verificano come se rientrassero nella normalità (?!?), in pieno giorno, con spavaldi che impugnano le pistole e sparano in mezzo alla gente che entra ed esce dai negozi o che si trova in quel posto al momento sbagliato. Solo un caso fortuito, nelle ultime ore, ha voluto che non si verificasse una tragedia: un proiettile vagante ha raggiunto uno dei vetri posteriori di una Opel Corsa a bordo della quale c’era una coppia di coniugi che non ha riportato conseguenze. La mente mi ha subito portato al 12 settembre del 1988, quando due killer di Cosa Nostra, armati aprirono il fuoco per uccidere un pregiudicato “rivale” della Stidda e ferirono mortalmente la casalinga Grazia Scimè, che in quel preciso momento, in piazza Salandra, stava facendo la spesa. A distanza di 35 anni, la scena che si è presentata è uguale per le modalità d’esecuzione. Solo la fortuna – ripetiamo – ha voluto che non ci fossero vittime. Innocenti. Così come è da condannare il gesto deprecabile che ha visto in azione due giovani ragazzi che hanno distrutto le giostre del parco giochi Iqbal Masih, nei pressi di Montelungo. Il personale auspicio è che non si parli di ragazzata perché chi lo pensa offende l’intelligenza di tutti i gelesi per bene. Questi sono atti incivili figli di un retaggio criminale assai diffuso in città e difficile da estirpare. Magistratura e forze dell’ordine, negli ultimi tempi, hanno intensificato sempre più l’azione di contrasto al fenomeno delinquenziale in città ma non è facile recidere il cordone ombelicale della criminalità. Organizzata e non. Perché l’omertà è indiscussa protagonista, prima parola del vocabolario del malaffare.
La politica ha già stigmatizzato gli avvenimenti delle ultime ore. Giusto, intervento doveroso ma bisogna fare di più. Molto di più. Il problema non può essere affrontato solo adesso per poi dimenticarlo tra qualche giorno o fare finta che non sia accaduto nulla. Tornare agli anni di piombo sarebbe un colpo durissimo per quei “gelesi onesti e lavoratori che hanno voglia di rivalsa, stanchi dei continui sali e scendi che, da sempre, hanno caratterizzato il territorio”. E che amano la loro città. Sul serio. E non a parole, effimere e di circostanza.