In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.
Riproponiamo un commento al vangelo sulla festività del Corpus Domini del nostro compianto Toto’ Sauna
Con la festa del Corpus Domini finisce il periodo pasquale. Finisce riflettendo sul Vangelo di Luca che ci racconta del miracolo dei pani e dei pesci. Ci sono più di 5000 persone che seguono Cristo. Nasce spontanea la domanda negli apostoli di cosa mangeremo, di cosa mangeranno. Si guardano in faccia un po’ dubbiosi, non ci sono altre strade, non ci sono altre soluzioni e quando si è disperati ricorriamo a Gesù . Questo succede ogni giorno. Ogni attimo. Ci sono solo cinque pani e due pesci e basta. Umanamente niente. Buoni, forse, solo per una sola persona. Comunque non per cinquemila persone. Quante volte nella mia e nella tua vita ci troviamo solo con 5 pani e 2 pesci e non sappiamo dove andare, cosa fare . Dove sbattere la testa. Dio ci indica la strada, il Corpus Domini, l’Eucarestia. Non ci sono altre strade solo Gesù è la via. Il resto è confusione, inganno, pressappochismo, cialtroneria. Questo fatto si ricollega all’ultima cena. Ci sono i pani e ci sono i pesci. Due simboli non casuali. Sia il pane che il pesce sono i simboli che indicano Cristo. Luca ci racconta che Gesù divide l’intera comunità a gruppi di 50 . Piccole comunità dove vivere la fede, dove vivere la parola. Dove dividersi e vivere il pane e il pesce. Dove dividersi l’Eucarestia. L’immagine della Chiesa. Luogo prescelto e perfetto per vivere ed ascoltare la Parola. E in questi piccoli gruppi viene distribuito il pane e il pesce. Il tutto avviene all’imbrunire. Come per i discepoli di Emmaus che riconobbero Gesù allo spezzare del pane. Il pane è, anche , il simbolo per eccellenza dell’unità . Ne abbiamo parlato tanto. Per fare un chilo di pane necessita la farina . I tanti piccoli chicchi di grano, divisi uno dall’altro, se muoiono, se vengono macinati diventano farina che viene trasformata in pane. Alimento e sostegno per ciascuno di noi. L’Eucarestia è il segno pieno dell’Unità. L’alimento per eccellenza del cristiano. Gesù, nel momento più difficile della sua vita, nel momento dell’abbandono e dell’incomprensione, compie un gesto definitivo: si dona, si consegna, offre la sua stessa vita sull’altare della croce. Non è il pane che diventa Cristo, ma Cristo che si fa pane, per potere essere assimilato, per nutrire, per indicare un nuovo percorso, una nuova logica, quella del totale dono di sé. La Cena Pasquale che egli celebra nell’indifferenza ci dona la misura della solitudine e dell’amore di Dio. Quel gesto, gesto d’amore assoluto, è celebrato e ripetuto ogni volta che una comunità di credenti si raduna insieme ad un prete. Ma non può essere un gesto auto-celebrativo, un gesto isolato, un gesto neutro. O l’eucarestia contagia la nostra vita, la riempie, la modella, la plasma, la informa o resta sterile, morta, inutile. La Messa inizia proprio nel momento in cui usciamo dalla porta della chiesa. E dura un’intera settimana. Quel pane ricevuto ci aiuta a sfamare la folla, ad accorgerci della fame insaziata di chi incontreremo durante la settimana e a mettere a disposizione quel poco che siamo per sfamare ogni uomo, nel corpo e nell’anima. Siamo chiamati nella settimana a spezzarci per gli altri. A non rimanere interi. Se rimaniamo interi, non raggiungiamo gli altri. Siamo chiamati a donarci a farci piccoli piccoli per l’altro. Gesù ci chiede a me e a te di diventare alimento per l’altro. Con la nostra testimonianza. Con il nostro Amore. Con il nostro farci 1. Vuota è quell’Eucarestia che non ci trasforma, che non ci cambia. Come possiamo alimentare i fratelli se noi non ci sfamiamo? Se noi non ci saziamo? Come possiamo essere luce se la nostra candela è spenta e il nostro sale è diventato insipido? Dobbiamo portare questa sazietà agli altri che hanno solo 5 pani e due pesci. E dirgli vieni vieni da Dio. Vedrai che anche se hai poco, anche se pensi che la tua vita non vale niente. Se pensi che i tuoi debiti ti sovrastano, vieni troverai Cristo che ti consolerà. Cristo che nell’Eucarestia sfama la nostra anima. Ci disseta, ci sfama. Ci Ama.
Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica . Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)
“In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.
Non si deve mai giudicare o condannare, come ci esorta Gesù. La cosa più grave è che molte volte si giudica e si condanna per sentito dire. Non bisogna mai condannare nessuno prima di ascoltarlo e di sapere quello che fa, proprio come dice Nicodemo ai Farisei riguardo a Gesù. È un grave peccato sparlare di una persona, ma è un gravissimo peccato andare in giro a sparlare di una persona per sentito dire. Personalmente ti posso dire che molte molte volte sono stato bersaglio di giudizi e condanne da parte di persone che non mi hanno mai ascoltato o visto nella mia vita quotidiana. Ricordo che una volta, dopo una confessione, il penitente mi disse: “Padre Lorenzo, ero venuto a confessarmi da te con grande paura perché mi avevano detto che tu eri un prete senza misericordia, ma non è vero. Anzi, è la prima volta che mi sono sentito accolto con amore durante la confessione”.Un consiglio: Se un giorno, trovandoti in un salotto tra amici, uno di voi comincerà a dire: “Ho una notizia da darvi. Mi è stato riferito che Don Abbondio, Parroco di santa Caterina da Siena (nome fittizio) è burbero… (per non dire qualcosa di più grave)”. Non associarti alla conversazione, ma abbi il coraggio di dire: “Non giudichiamolo nè condannaiamolo per sentito dire”. Se invece sai qualcosa di buono e di bello circa Don Abbondio dillo subito e apertamente. Le notizie che dobbiamo diffondere sono quelle belle e non quelle brutte. La cosa più triste è che i luoghi dove si diffondono dicerie e brutte notizie sono proprio “i salotti parrocchialì”, dove dalla bocca dei frequentatori dovrebbero uscire solo parole di grazia e misericordia. Signore, abbi pietà di noi perché siamo peccatori”. Amen. Amen. (P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
“Ascoltiamo nuovamente questo brano appassionato del Vangelo secondo Luca, nel quale Gesù giustifica la sua forma inaudita di perdonare i peccati e di ricuperare gli uomini per Dio. Mi sono sempre chiesto se la maggioranza della gente capiva bene l’espressione ”figliol prodigo” con il quale si conosce questa parabola. Io credo che dovremmo ribattezzarla con il nome della parabola del “Padre prodigioso”.Effettivamente, il Padre della parabola –che si commuove vedendo che ritorna quel figlio perso a causa del peccato- è come la figura del Padre del Cielo riflesso nel viso di Cristo: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò»(Lc 15,20). Gesù ci fa capire chiaramente che tutti gli uomini, compreso il più peccatore, è per Dio una realtà molto importante che non vuole perdere in nessun modo; e che Lui è sempre disposto a concederci con ineffabile allegria il suo perdono (fino al punto di non risparmiare la vita di suo Figlio).Questa Domenica ha una matrice di serena allegria e, per questo, è indicato come la Domenica del “rallegratevi”, parola presente nell’antifona di entrata della Messa di oggi «Festeggiate a Gerusalemme, rallegratevi con lei tutti quelli che l’amate, rallegratevi della sua allegria» Dio ha avuto compassione dell’uomo perso e smarrito, e gli ha manifestato in Cristo – morto e resuscitato – la sua misericordia. Giovanni Paolo IIº diceva nella sua enciclica Dives in misericordia che l’amore di Dio, in una storia ferita dal peccato, si è convertito in misericordia, compassione. La Passione di Cristo è la misura di questa misericordia. Così comprenderemo che l’allegria più grande che possiamo dare a Dio è quella di lasciarci perdonare presentando alla sua misericordia, la nostra miseria, il nostro peccato. Alle porte della Pasqua accorriamo di buon grado al sacramento della penitenza, alla fonte della divina misericordia: daremo a Dio un’immensa allegria, ci riempiremo di pace e saremo più misericordiosi con il prossimo. Non è mai tardi per rialzarci e tornare dal Padre che ci ama!”
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Il Vangelo della III Domenica di Quaresima ci richiama al tema fondamentale di questo tempo liturgico: la conversione. La Chiesa, priva del “Suo Sposo”, è chiamata a digiunare e a fare penitenza, per arrivare a cambiare radicalmente il proprio cuore, per accogliere Cristo nella celebrazione della Santa Pasqua.Gesù prende posizione su due episodi che avevano causato la morte di “innocenti”: l’uccisione di alcuni Galilei, per ordine di Ponzio Pilato, e il crollo della torre di Siloe. Il Signore ci insegna a guardare questi fatti di cronaca con una prospettiva diversa: le sventure della vita non sono da interpretare come una punizione di Dio, conseguente a colpe personali, perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta, perché ama il peccatore ed è sempre disponibile a offrirgli il suo perdono e a salvarlo.Gesù ci invita a leggere i fatti della nostra vita secondo la prospettiva della conversione. Benedetto XVI diceva che “le sventure, le calamità naturali, gli eventi luttuosi non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare vita”. La novità della conversione cristiana sta nel fatto che è stato Dio, per primo, a chiamarci e a noi spetta il compito di fargli spazio nella nostra vita. Benedetto XVI diceva che la conversione significa abbandonare la strada vecchia dell’errore e decidersi di camminare sulla via nuova, che è Cristo Signore.Il brano evangelico conferma quanto sia necessario rinnovare la vita secondo Dio; infatti, ci viene presentata da Gesù la parabola del fico che non dà frutti buoni. Il dialogo che si sviluppa tra il padrone e l’agricoltore manifesta, da una parte, la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo – a tutti noi – un tempo per la conversione; e, dall’altra, la necessità di cambiare interiormente ed esteriormente la nostra vita, per non perdere le occasioni che la misericordia di Dio ci offre. Noi siamo come il fico del Vangelo: viviamo solo perché il vignaiolo è paziente, e continua a zappare, senza stancarsi di concimare.Come al fico sterile, così anche a noi ogni giorno viene regalata una nuova possibilità. Nei gesti del contadino è descritto l’agire di Dio verso di noi e l’urgenza della nostra conversione. Dio ci dona tempo e risorse, per accogliere il suo invito e volgere il nostro sguardo verso di Lui. A tutti è data la possibilità di far germogliare nella propria vita i talenti che Dio stesso ci ha donato.Convertirsi è cambiare il proprio sguardo su Dio, passando dall’immagine del padrone all’immagine del vignaiolo che, con pazienza, lavora le zolle della nostra esistenza e sogna sempre di raccogliere qualche frutto buono.