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Il ricordo commosso di un vero uomo di Dio: Padre Salerno

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La vita, l’esempio, l’ illuminazione divina di Padre Giovanni Salerno non devono essere dimenticati. Conoscere e onorare la figura di Padre Giovanni un dovere ed un motivo di orgoglio per tutti i suoi concittadini, credenti e non credenti, perché la sua vita e le sue opere sono state una straordinaria testimonianza di fede, umiltà e semplicità evangelica, che lo hanno spinto a dedicare la sua vita ai più poveri dei poveri e rappresenta uno straordinario esempio di vita per chi vuole vivere un’esperienza di fede autentica.

A perpetuate il ricordo ci ha pensato la comunità della parrocchia Sant’Antonio di Padova che da anni sostiene le sue missioni, con un convegno tenuto al Teatro Eschilo. I lavori sono stati introdotti dal moderatore Andrea Cassisi. Il sindaco Lucio Greco ha parlato della triste pagina della indagini su un’ ipab vituperata in antitesi con la generosità del protagonista della serata, ha assunto l’impegno di intitolare una via a P. Giovanni.
Poi ha preso la parola Padre Paolo Giandinoto ha letto un testo scritto di Mons. Berni che è stato accanto a P. Giovanni agli inizi di questa avventura.
A seguire un Video di 4 minuti sul funerale di Padre Giovanni che si è tenuto in Perù con grandissima partecipazione e commozione di tutti i componenti dei Missionari Servi dei Poveri (MSP), vescovi, sacerdoti, seminaristi, matrimoni missionari, giovani in fase di discernimento vocazionale, e cosa più importante di tutte le famiglie povere che hanno beneficiato dell’apostolato dei MSP. Tanti giovani hanno deposto sulla sua tomba le loro lauree (medici, ingegneri, ecc.) che mai avrebbero potuto sfuggire alla loro povertà senza la missione.


Mauro Nicolosi, professore di storia e filosofia, ex agostiniano, molto amico di P. Giovanni, ha tracciato un profilo della figura di P. Giovanni.
Padre Turco, figura importantissima in quanto ha aiutato la Missione sotto l’aspetto delle difficoltà burocratiche-ecclesiastiche, ha raccontato delle difficolta che la missione ha dovuto affrontare nel suo sviluppo. Un altro video di 5 minuti su Padre Giovanni e poi l’intervento di Padre Walter Corsini Vicario Generale dei MSP, ed ha introdotto un collegamento con Cusco in Perù, con un gruppo di bambini della Città dei Ragazzi. E ancora un video sulle opere della Missione. Poi la parola è passata al componente dell’ organizzazione dell’ evento dott. Carmelo Tonelli:

“Sono passati quasi 20 anni da quando sentii parlare per la prima volta di P. Giovanni – ha detto – un gelese mi dicevano che aveva fondato una missione in Perù già 30 anni prima; questo mi ridestò uno di quei sogni segreti che si coltivano da ragazzi ma che per i vari percorsi della vita rimangono in un cassetto.

Per cui colsi al volo la possibilità di conoscerlo a casa di suo fratello Enzo, in uno dei suoi periodici rientri in Italia e a Gela; ricordo che già allora iniziava ad avere problemi con la vista per cui era sempre assistito da un giovane missionario. Ma questo non indeboliva affatto lo zelo e l’ardore per quello che era il centro della sua vocazione, l’amore sconfinato per i poveri; dalle sue parole venivano infatti fuori il grandissimo ed inscindibile amore che nutriva per Gesù e i poveri, nei cui visi lo rivedeva, e di cui ne sentiva la responsabilità come se il Signore glieli avesse personalmente affidati e di cui doveva farsene carico; con i poveri lui ci ha vissuto per tanti anni e ne ha potuto constatare ogni giorno lo stato di povertà materiale, di abbandono, e, cosa ancora più dolorosa, il degrado spirituale di molte famiglie.

     Le necessità materiali e spirituali di queste popolazioni, mi diceva, sono straordinariamente tante e per questo motivo desiderava ardentemente suscitare nuove vocazioni sacerdotali o di giovani disposti a spendere la propria vita per i poveri. Mi donò il suo libro “In Missione con Dio sulle Ande” che raccontava la storia della missione e mi parlò delle opere realizzate dai MSP: il collegio-scuola di “S. Maria Goretti”, la “Casa nido di S. Teresa di Gesù Bambino”, delle famiglie missionarie e della prossima inaugurazione della Città dei Ragazzi.

Dopo qualche tempo, P. Filippo Salerno, cappellano dell’ospedale dove lavoro, mi propose, scherzando ma non troppo, di andare in Perù dove si stava per inaugurare la Città dei Ragazzi di cui mi aveva già parlato P. Giovanni.

Tutte queste circostanze mi suscitarono un grande desiderio di conoscere di persona quest’opera missionaria per cui nell’agosto del 2007 utilizzai le ferie estive per questo viaggio.

Fui lieto di constatare che la realtà delle opere realizzate a sostegno di questa umanità, vera periferia del mondo di cui spesso ci parla papa Francesco, superava quella che veniva descritta nelle pubblicazioni, e che la gioia con cui i missionari si adoperavano per tutto ciò poteva venire solo dall’incontro autentico con Cristo.  

Rimasi impressionato dal grande numero di persone laiche e religiose che P. Giovanni era riuscito a coinvolgere in quest’opera missionaria e che si recavano in quei luoghi per ribadire il loro sostegno alla missione e gioire insieme per i benefici che la città dei ragazzi avrebbe apportato a questi giovani peruviani, privati della loro gioventù e del loro futuro.

Tra i missionari c’erano giovani provenienti da tutto il mondo in una fase di discernimento della loro vocazione, famiglie missionarie provenienti da diversi Paesi (Colombia, Francia, Ungheria e anche Perù) che hanno lasciato tutte le loro comodità, il lavoro, i parenti e gli amici, c’erano seminaristi di Ajofrin (Toledo) tra cui il vittoriese Paolo Giandinoto, oggi sacerdote, diaconi, sacerdoti, contemplativi, suore, e diversi laici come Pepe Lucho il cui attaccamento a P. Giovanni ed alla MSP erano commoventi.

     Il giorno previsto siamo stati ad Andahuaylillas, un comune a circa 40 Km da Cusco, per l’inaugurazione della “Città dei Ragazzi”; questo è un complesso costruito su una splendida area  della ridente Cordigliera delle Ande, dove sono presenti una chiesa e diversi edifici in cui i ragazzi ospitati in questa oasi di pace, possono pregare, studiare, imparare un mestiere e svolgere attività ludiche di vario genere: piscina, calcio, basket. I ragazzi ospitati nella Ciudad de los Muchachos, come la chiamano in spagnolo, vengono individuati perché hanno alle spalle storie familiari drammatiche contraddistinte da una povertà materiale e da un decadimento morale eccezionalmente gravi in cui Gesù non ha avuto alcun posto. Questa è spesso una scelta lacerante per i missionari laddove le situazioni di povertà sono molto diffuse, ma P. Giovanni, sulla scia di Madre Teresa, non vuole che si tradisca mai il carisma che ha fatto nascere questa missione che è quello di servire i più poveri dei poveri, quelli cioè di cui nessuno si vuole occupare.

Per quanto riguarda la didattica ed il modo di interagire con i ragazzi, il loro modello invece era Don Bosco.

     Ho potuto visitare la scuola “S. Maria Goretti” che è la scuola femminile dei MSP, frequentata da circa 300 bambine e ragazze; di queste alcune erano interne nel senso che dopo la scuola continuavano a vivere dalle suore nella vicina “Hogar Santa Teresa”, altre invece tornavano nelle rispettive famiglie in base alle situazioni familiari. Ci hanno mostrato quello che facevano a scuola sia sotto l’aspetto strettamente didattico che pratico-formativo con numerose attività di laboratorio: artigianato vario, cucito, corsi di cucina, corsi di computer, corsi di ballo ecc.. Sul muro di un’aula c’era una frase molto significativa che fa capire lo spirito trasmesso a queste giovani “Trabajar sin amor es como coser sin hilo” (lavorare senza amore è come cucire senza filo).

     Non molto distante dalla scuola di “S. Maria Goretti” è stata costruita la “Casa nido di S. Teresa di Gesù Bambino” che ospitava 90 sorelle tra aspiranti, postulanti, novizie e suore; loro si occupano, oltre che della formazione religiosa delle suore, di accogliere bambini con gravissime malattie croniche, spesso con pochissime speranze di guarigione o anche di miglioramento, che tutti rifiutano. I bambini infatti (microcefalici, idrocefalici, palatoschisi con labbri leporini, cardiopatie congenite e varie disabilità) vengono solitamente abbandonati dalle famiglie, troppo povere per occuparsene, ed anche dallo stato peruviano che non vuole caricarsi delle esorbitanti spese che la cura di queste creature richiede.

Mi ha molto colpito ascoltare da P. Sebastian, un sacerdote belga, che P. Giovanni e i MSP quando devono chiedere una grazia speciale invocano la potente intercessione di queste creature particolarmente care a Gesù in virtù della loro grande sofferenza.

Non vi parlo, per motivi di tempo, di tutte le altre strutture già realizzate allora dai MSP o che sono state portate avanti nel corso di questi 15 anni, ma di cui potete prendere visione, se ne avete voglia, dalle varie pubblicazioni e newsletter dei MSP.

Missioni nei villaggi

     Le missioni che abbiamo compiuto nei villaggi di Yarkakunka e Cusibamba mi hanno fatto scoprire ciò che già si percepiva nella periferia di Cusco. Questi villaggi, costruiti in zone spesso impervie della cordigliera delle Ande, sono raggiungibili con molta difficoltà anche con le jeep, specie durante la stagione delle piogge, altri sono raggiungibili solo dopo diverse ore di cammino a piedi. I campesinos, come vengono chiamati gli abitanti di questi villaggi, vivono in case fatte di mattoni di fango e paglia cotti al sole (adobe), con tetti di paglia e talora di lamiera. In queste case, spesso minuscole per quelle famiglie numerose, si svolge tutta la loro vita quotidiana: cucinano, mangiano, dormono, insieme ad animali, senza che abbiano i più elementari servizi igienici. La luce è presente a singhiozzo solo in alcuni villaggi e l’acqua raccolta nella sorgente più vicina non sempre è potabile; talora è presente un telefono al centro del villaggio.

Le suore ed i sacerdoti vanno a trovare questi villaggi più volte la settimana e talvolta ci rimangono per più giorni. Durante queste visite insegnano catechismo e le basilari norme igieniche per prevenire le malattie infettive respiratorie e gastro-intestinali spesso causa di elevata mortalità infantile. Quando vengono anche i sacerdoti si celebra la messa dopo aver confessato chi lo desidera. Tutte queste attività sono rese più difficili dal fatto che queste popolazioni spesso parlano solo la lingua degli incas: il Quechua e non capiscono bene lo spagnolo.

Molti bambini spesso non vengono registrati alla nascita per cui non entrano mai nelle statistiche sanitarie o economiche redatte ufficialmente ed hanno una conoscenza approssimativa della loro età. Nel corso della visita medica ad alcuni campesinos era evidente che ciò che da noi è semplice e ovvio qui trova ostacoli ardui come il dover percorrere diverse ore di strada a piedi per eseguire una prima visita medica, comprare medicine che non possono permettersi, andare ad eseguire esami strumentali o ricoverarsi a Cusco.

     Come medico ero molto interessato a conoscere il sistema sanitario peruviano per cui sono andato a visitare i “Puestos de Salud” che sono come degli ambulatori posti nei vari quartieri, dove accede la gente povera, il pueblo, i campesinos con i loro bambini provenienti dai villaggi della cordigliera, affetti da gastroenteriti, polmoniti, bartonellosi, malnutrizione, donne con le più svariate patologie ginecologiche, a cui veniva prescritta una terapia difficile da seguire perché la gente non ha la possibilità di comprare i farmaci. D’altronde le condizioni di vita e di igiene in cui vivevano e che erano causa della malattia stessa, non erano certo le migliori condizioni per la guarigione; questo è il motivo per cui patologie facilmente trattabili da noi, in quei paesi hanno un’alta incidenza di mortalità. Per tutte queste difficoltà i campesinos dei villaggi della cordigliera preferivano spesso affidarsi agli uomini della medicina della loro comunità, a cui ricorrevano anche per gli aborti che anche se ufficialmente proibiti, sono molto diffusi.

I casi ritenuti più gravi venivano ricoverati presso gli ospedali pubblici spesso sovraffollati, con ritardi nelle cure, le cui condizioni sono fatiscenti, con pazienti sistemati in grandi cameroni, dove l’igiene è pressoché inesistente, con letti e materassi logori, parenti accampati attorno; in fondo ai cameroni, separati da inutili separé, c’erano 4 pazienti tubercolotici, altra piaga di questa popolazione, di cui uno terminale.

Per darvi un’idea del fatalismo e della rassegnazione con cui questi fratelli spesso convivono con la sofferenza, un giorno mi fu chiesto da una signora che visitassi un bambino Down, affetto, secondo quanto diceva lei da una cardiopatia congenita. L’indomani mi chiama dicendomi che la mamma, pressata dai familiari, non voleva che visitassi il bambino lasciandomi intendere che preferivano che la malattia facesse il suo decorso naturale.

Lo stato di povertà, di sofferenza e di ignoranza in cui versano queste popolazioni, sono il frutto amaro di una concomitanza di cause sia nazionali che internazionali di cui anche noi dovremmo sentirne la colpa; i governi peruviani che si sono succeduti nell’ultimo mezzo secolo sono stati spesso accusati di un altissimo livello di corruzione e di aver adottato politiche economiche che hanno favorito le élite e gli interessi delle multinazionali straniere, a scapito delle fasce più povere della popolazione, trascurando le politiche sociali, investendo troppo poco in istruzione, salute e assistenza sociale. Le alte disuguaglianze sociali e la povertà imperante è sfociata nella sanguinosa guerra civile tra il governo peruviano e il gruppo guerrigliero Sendero Luminoso che ha devastato il paese tra il 1980 e il 2000.

P. Giovanni ha visto in questa condizione di sofferenza e di umiliazione un’offesa a Dio e alla sua creatura. Ha sentito il bisogno di rispondere a questa ingiustizia con una vita di amore e di solidarietà. Ha deciso di condividere la vita di questi fratelli e sorelle, con le loro poche gioie e le molte sofferenze, aiutandoli a vivere una vita più dignitosa, ha lavorato con loro per migliorare le loro condizioni di vita, offrendo parole di conforto e di speranza, aiutandoli a ritrovare la fiducia in se stessi e in Dio.

Nonostante il suo totale impegno verso queste terre lontane, P. Giovanni ha sempre sentito il bisogno di mantenere un legame con la sua terra d’origine. Ha continuato a visitare Gela e altre città della Sicilia, per incontrare i suoi familiari, amici, sacerdoti, parrocchie e realtà varie, per condividere con loro la sua esperienza missionaria, ispirandoli a creare dei gruppi di sostegno in chi aveva il desiderio di fare qualcosa anche da lontano per questi fratelli.

Questo è stato il motivo della nascita del Gruppo Missionario (GM) della parrocchia S. Antonio di Padova di Gela. Il nostro gruppo si riunisce tutti i lunedì sera, nel salone parrocchiale, per coltivare lo spirito missionario e crescere come cristiani responsabili di chi ci è prossimo; questo sotto la sapiente guida del nostro parroco P. Michele che ci propone delle catechesi appropriate a tale scopo. Inoltre il GM si ritrova periodicamente in ritiri spirituali, organizzati dai MSP, momenti speciali per dare slancio alla nostra vocazione. Il nostro sostegno si è sempre concretizzato con le adozioni a distanza di bambini orfani o che vivono in famiglie disagiate a cui viene data la possibilità non solo di studiare e costruirsi un futuro ma, cosa ancora più importante, come ribadiva sempre Padre Giovanni, di formare dei cristiani che poi saranno a loro volta il seme che permetterà la trasmissione dei valori evangelici alle generazioni future. Durante l’ottobre missionario inoltre vengono portate avanti iniziative e raccolte speciali con cui è possibile diventare noi stessi missionari anche da lontano.

Anche anche dopo la morte di P. Giovanni il GM manterrà fede all’impegno preso di continuare a sostenere i MSP e tutte le loro iniziative, consapevoli che in questa nostra opera sono più i beni che riceviamo che quelli che doniamo. 

P. Giovanni Salerno amava sottolineare che lui era solo un asino trainato dal Buon Dio che ha voluto quest’opera. Vedere, in effetti, ciò che è riuscito a realizzare in un paese così lontano e pieno di problemi, e tutti gli uomini di buona volontà che è riuscito a coinvolgere in questo progetto, sono una prova fin troppo evidente che questa è opera di Dio e noi ci sentiamo privilegiati ed onorati di averlo conosciuto e sostenuto”.

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Crisi idrica: nuova stretta all’erogazione. Suppliscono i pozzi del Nisseno ed ennese

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Palermo – Al via la seconda fase del piano predisposto dall’Autorità di Bacino:
da lunedì riduzione dei prelievi dall’Ancipa
 Siciliacque informa che, come da indicazioni della Cabina di Regia per l’emergenza idrica e dell’Autorità di Bacino della Regione Siciliana, lunedì darà seguito all’ulteriore fase programmata di razionamento dei prelievi d’acqua dalla diga Ancipa, secondo le medesime modalità applicate nella fase precedente.


La riduzione sarà compensata in misura pari a circa il 50% dalle nuove risorse idriche provenienti dai pozzi del Nisseno e dell’Ennese, ripristinati dai rispettivi gestori d’ambito. La misura interesserà Acquaenna, Caltaqua, Consorzio di Bonifica 4 Cl, Consorzio Bonifica 6 En, Comune di Capizzi, Comune di Gangi e altri utenti minori.


Alla luce della programmazione già nota e nell’ambito delle rispettive competenze e responsabilità operative, spetterà ai gestori fornire indicazioni a Siciliacque su come distribuire le riduzioni definite nei punti di consegna presenti sui vari territori.

A Gela invece l’acqua si spreca con ke perdite ed il dissalatore è dismesso da anni.

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Domani ‘La serva padrona’

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Ragusa – Un’atmosfera intima ha abbracciato il pubblico presente ieri sera a cava Gonfalone per la seconda serata del festival Barocco in tutti i sensi.”Bach, father and sons”, il tema della serata, declinato dal Valletta Baroque Ensemble, il ViBE, in formazione quartetto ad accompagnare il pubblico in un tempo morbido e confortevole.

Le ‘incursioni’ profonde de ‘I sonnambuli’ prima, ma anche di Isabella Candeloro e Marco Brugaletta – organizzatori del festival – hanno fornito spunti di riflessione sul senso del tempo e della famiglia, sull’amore incondizionato di un padre per i suoi figli, sul calore di un desiderio da realizzare per dare il senso compiuto ad una perdita inaccettabile.

E poi l’ospite a sorpresa, Gabriele Dovis, la sua paura di morire a 40 anni e 140 chili, il suo percorso di crescita personale e il cambiamento che lo ha portato a correre come testimonial la maratona alle Olimpiadi di Parigi e a promuovere un progetto di inclusione.

Domani sarà una serata leggera e divertente. Il palcoscenico naturale di Cava Gonfalone sarà calcato da artisti, anche questa volta, di fama internazionale.Una tappa di un tour che porta in scena “La serva padrona” di Pergolesi, un intermezzo buffo, che sarà musicalmente narrato dall’Insieme strumentale di Roma diretto dal Maestro Giorgio Sasso e che vedrà come interpreti il soprano Minni Diodati, il baritono Roberto Abbondanza e il giovane attore Sergio Del Prato.

Ragusa rientra tra le date di un tour ‘riservato’ a manifestazioni di grande spessore artistico e musicale nel campo della musica barocca. “La serva padrona” ha fatto tappa al Festival di musica antica all’Aventino a Roma, e prima della partenza per Ragusa, gli artisti sono andati in scena a Proceno al festival Itinerari Musicali Francigeni. Al termine della rappresentazione, l’appuntamento con la cena-degustazione curata da Delicatessen.

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La discarica abusiva di amianto è servita

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La strada che dall’Aias di Borgo Manfria porta alla diga Comunelli è una pattumiera a cielo aperto.

Sui cigli a destra e a sinistra solo rifiuti: plastiche, sacchi con materiali di vario tipo, resti di edilizia e tanto altro.

Dopo il bevaio si è creata una discarica abusiva di materiali in amianto che cresce di giorno in giorno. Uno squallore pericoloso per ambiente e salute.

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