C’è un malessere strano nell’aria: lo chiameremo rabbia da Covid. Ce ne accorgiamo per strada, davanti a una mancata precedenza, in auto nei sorpassi azzardati, al supermercato se un cliente ha la mascherina abbassata, nei pochi negozi rimasti aperti dove il personale esasperato ci tratta come se ci stesse facendo un regalo, quello di servirci.
Sarà la mancata programmazione della propria vita, saranno i turni di lavoro sballati, sarà la deregolazione dei ritmi relazionali causata dalla chiusura delle attività ma sta di fatto che la gente è arrabbiata e “schizza” con un niente.
Anche studiare e lavorare richiedono maggiore energia vitale in questo momento: manca la progettualità e dunque la motivazione, alla base di ogni sforzo umano. Le date dei concorsi si posticipano continuamente, così come quelle delle ricorrenze, dei matrimoni, dei riti.
Manca un calendario di riferimento e sembriamo tutti dentro un Grande Fratello dove l’intero mondo ha assunto gli spazi angusti di una piccola casa di periferia. Manca il respiro del viaggio e, con esso, del futuro, dei nuovi orizzonti che aspettavano solo di essere scoperti. E sono lì, congelati come la gioia, la felicità e le emozioni positive.
Non è stato l’anno dei matrimoni il 2020 e sembrerebbe non esserlo nemmeno il 2021. Lasciano l’amaro in bocca le dichiarazioni di un noto parroco gelese a conclusione della messa “Nessun matrimonio in calendario nel 2021”. A lasciare la Chiesa amareggiata sono i giovani che rinunciano a sposarsi posticipando a chissà quando le nozze e chissà dove. Le coppie, così come le persone, sono più sospese che mai in una dimensione temporale diluita d’un tratto: tutto ciò che è possibile posticipare è rinviato a data da destinarsi.
Qualcuno afferma che avevamo bisogno di fermarci: che il mondo intero percorreva ritmi impossibili in un’assoluta anarchia valoriale. Il punto è che non tutti sanno fermarsi. C’è gente programmata per non fermarsi mai e che ha più bisogno di essere risucchiata dal vortice del tempo, dell’iperattività quotidiana, piuttosto che di trascorrere giornate in totale solitudine e guardarsi dentro.
La partecipazione sui social è diventata continua e assillante ma anch’essa appare svuotata di senso perché queste 5 lettere (COVID) dettano post, commenti, dialoghi e foto: durante questa pandemia siamo animali sociali che vivono di relazioni fragili e più che mai senza una meta. Siamo quello che abbiamo studiato sui libri di storia quando guerre civili e mondiali, crisi economiche e battaglie sociali ci sembravano guerre indirizzate ad altri che, bontà loro, ci avevano spianato il terreno solo per il fatto di essere venuti prima. E vivevamo il “dopo” e ci piaceva – eccome se ci piaceva – vincere facile.
Oggi che tutto è tornato ad essere particolarmente privato, solo il dolore assume una dimensione collettiva. Anche le nascite sono diventate – o sono tornate ad essere – eventi intimi di una nuova dimensione di socialità raccolta, dimessa, oltrestagione.
L’estraneo fa pena, certo. Ma fa anche rabbia. Perché diventato mezzo – e dunque minaccia – attraverso cui corre il virus, nemico invisibile e pericoloso trasmissibile solo tra umani. La necessità di un sostegno psicologico incalza e il nostro piccolo territorio si ritrova scoperto, la rabbia esplode nelle case è vero ma anche in tutti quei luoghi dove più persone si ritrovano in fila nell’attesa di qualcosa che sembra diventato più indispensabile e urgente che mai. Il semaforo è rosso: fate passare.
Che sia una ricetta, un documento, una raccomandata o un prelievo di denaro, la tensione non cambia. E’tanta e va fermata, merita attenzione.
O il “virus psichico” avrà la meglio anche su quello fisico, come se già non bastassero i suicidi che solo pochi anni fa hanno sconvolto la nostra fragile, fragilissima, comunità.