Rubrica di psicologia
“Ai “maschietti” della nostra generazione veniva rimproverato il pianto. Ci veniva detto che piangere era da ” femminucce”. I nostri genitori pensavano di insegnare, in questo modo, a fronteggiare la durezza della vita e quella del mondo.
Affrontare il mondo esterno, nella rigida divisione dei ruoli, era fino a pochi decenni fa compito maschile. Questo forse spiega perché il pianto biasimato era solo quello dei maschi.
E’ vero che è importante essere forti, ma è altrettanto vero che è importante imparare ad accogliere il nostro dolore e quello degli altri.
Le scritture sapienziali ci dicono che c’è un tempo per tutto: un tempo per ridere e uno per piangere; un tempo per essere forti e uno per essere teneri; un tempo per sopportare e uno per condividere…
Gesù si spinge oltre e ci spiazza.
Chiama beati coloro che piangono. Non solo non c’è disprezzo, ma addirittura c’è elogio del pianto. Ci viene detto, da Gesù, che c’è un pianto che dà profondità, guarigione, consolazione, beatitudine alle nostre vite.
Che stranezza! Che significa questo elogio del pianto?
Sicuramente piangere è cosa diversa dal piangersi addosso o dal piagnucolare. Ma c’è un sacrosanto diritto alla tristezza e a poter vivere momenti di “sana depressione”. La tristezza non è piacevole, ma non è sbagliata. Ci dice che abbiamo bisogno di riprendere le forze. La tristezza “ci muove” per lasciare andare le cose e le persone che amiamo perché non possiamo averle per sempre. Ci aiuta a dire addio alle illusioni. Ci sostiene quando siamo chiamati a ripartire per una terra nuova permettendoci di sentire il dolore per quello che lasciamo.
Sono questi i momenti in cui abbiamo bisogno di essere consolati. Ne abbiamo bisogno ancora di più quando subiamo un’ingiustizia, un tradimento, un lutto, una calunnia.
C’è un pianto che è altrettanto necessario: quello per il dolore che noi provochiamo. Ci preserva da derive di cinismo e disumanità.
Piangere è terapeutico!
Lo è, sopratutto, se non lo facciamo da soli. Condividere le nostre lacrime con chi sa accoglierle alleggerisce i pesi, scioglie le pietre che abbiamo nel cuore, drena l’anima.
Se sappiamo piangere, se sappiamo avere compassione per le nostre lacrime sappiamo offrire consolazione, perché nel nostro dolore ritroviamo il dolore della condizione umana…
Imparare a non disprezzare il dolore di nessuno, allargare il cuore per fargli spazio ci fa un dono. Fa di noi persone più felici: una “strana” , profonda, intima gioia”.
Tonino Solarino psicologo e Rosaria Perricone insegnante di religione