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La parola della domenica

“Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono”

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Rubrica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 4,35-41

“In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Ricorderemo per sempre l’interpretazione che della pagina del vangelo di oggi fece Papa Francesco, il 27 marzo 2020, durante il momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, tenutosi sul Sagrato della Basilica di San Pietro, in una Roma deserta

Siamo stati tutti colpiti dalle parole di Papa Benedetto XVI, quando ad Auschwitz si domandò, di fronte alla tragedia dell’olocausto, «Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?».

Ci sono momenti nella vita delle persone, come anche nella storia, in cui Dio sembra assente o sembra non curarsi degli uomini. È quanto accade nel Vangelo di oggi: «Maestro, non t’importa che moriamo?» (Mc 4,38), dicono, spaventati, i discepoli al Signore.

Ma riprendiamo da capo il discorso. Il nostro testo prende l’avvio da una decisione di Gesù, quella di attraversare il lago di Galilea. Non sappiamo bene le ragioni di tale decisione; secondo alcuni, il passare all’altra riva di Gesù indicherebbe una fretta, un’urgenza missionaria, ma sarebbe anche un comando di Cristo per i discepoli ad andare ad altre rive, ad estendere la missione passando attraverso le tempeste. Perché di una vera e propria tempesta si parla; ad accorgersene, però, sono tutti, tranne Gesù. Lui infatti dorme.

Gesù dorme. Forse il lettore potrebbe immaginare che Gesù sia stanco. Se rileggiamo i versetti precedenti il nostro passo, vediamo che il Maestro ha continuato a insegnare, stando seduto su una barca, raccontando parabole e spiegandone il significato. In ogni caso, a un certo punto si addormenta. Anche di Dio, e può sembrare strano, nella Bibbia si dice che dorma: «Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre» (Sal 44,24), sono le parole del salmista, quando si trova nella sofferenza e nella prova. Anche Isaia grida al Signore «Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate» (Is 51,9). Com’è possibile che Dio dorma?

Anche Giona dormiva. Molti commentatori oggi notano che la pagina odierna ha delle analogie con la storia di Giona. Il profeta è su una barca, come Gesù, e scoppia una tempesta mentre dorme. I marinai lo svegliano, e gli dicono: «Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo» (Gn 1,6), proprio come i discepoli chiedono aiuto al Signore. Ricordiamo come finisce la storia: appena si scopre che Giona è un ebreo, decidono di buttarlo in acqua per placare la tempesta: «Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia» (1,15).

Ma con l’episodio narrato da Marco ci sono grandi differenze. Giona dorme perché stanco della vita, e perché non vuole predicare la conversione a Ninive. Gesù, invece, dorme perché stanco dall’aver predicato tutto il giorno. Giona dorme nella stiva, si vuole nascondere, perché “fugge lontano dal Signore” (1,1); Gesù, al contrario, è sul cuscino, cioè insieme agli altri, in superficie. Infine, il modo in cui si placa la tempesta, dice la differenza più grande; nel nostro testo «la salvezza avviene non perché il profeta è gettato in mare, ma perché il profeta Gesù, prendendo a cuore la sorte di coloro che sono nella barca, si alza e placa il vento e le onde con una sola parola potente, così come egli ottiene obbedienza dai demoni in altri punti del racconto» (B. Van Iersel). Eppure, Gesù finirà proprio come Giona: preservato dal ventre della terra, come Giona da quello di un grosso pesce; tutti e due riemergeranno in superficie, ma il primo, come risorto, per vivere per sempre. «Ecco, qui c’è più di Giona!», dirà Gesù nel vangelo di Matteo (12,41).

A Dio importa di noi. Se a Giona non importa nulla degli abitanti di Ninive, Gesù col miracolo risponde alle fortissime parole dei discepoli: «Non t’importa che moriamo?». Grida al mare e li salva. Suggestivo il commento di S. Atanasio: «Svegliarono la Parola, che era sulla barca con loro, e immediatamente il mare si placò» (Lettera 19.6). Con la Parola è stato creato il mondo (Dio disse «le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto»; Gen 1,9), e ora Gesù è capace di ricomporre l’equilibrio tra il mare e la terra. Gesù ripete il miracolo narrato nel salmo: «Tu con potenza hai diviso il mare, hai schiacciato la testa dei draghi sulle acque» (74,13)”.

Chi è costui? La scena si chiude con l’invito di Gesù alla fede. Per chi crede, non c’è da temere nulla, perché tutto concorre al bene, se si ama Dio; anche le tempeste della vita (Rm 8,28). Soltanto, la paura spesso ha il sopravvento, e quando questo accade, ci scopriamo tutti uomini di poca fede. Ma sul pericolo scampato prevale addirittura lo stupore, e tutti si domandano chi è Gesù. Le parole che finora egli ha detto nel vangelo di Marco, i miracoli che ha compiuto guarendo e liberando gli indemoniati, non sono nulla di fronte a un così grande miracolo che coinvolge la natura, la creazione stessa. A questa domanda, chi è Gesù?, non si può rispondere facilmente, è l’impegno di una vita, o, almeno, il compito di ogni lettore che ha in mano il libro di Marco. È il lettore che dovrà perseverare per leggere tutto il Vangelo, e per scoprire, ma solo alla fine, che il Signore Gesù – come e più di Giona – l’ha avuta vinta sul mare e sulla morte.

Di Guido Michelini

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La parola della domenica

Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del fratello…

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

p. Ermes Ronchi


Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, e non ti accorgi della trave che c’è nel tuo?
Noi pensiamo che la trave sia sempre negli occhi di qualcun altro, un potente, una nazione, un potere occulto, un collega, e che nel nostro occhio ci sia al massimo una pagliuzza, una responsabilità da niente.
Perché guardi la pagliuzza?
Un motivo c’è: chi non vuole bene a se stesso, vede solo male attorno, vive una sindrome da accerchiamento; chi non sta bene con sé, sta male anche con gli altri.
Un occhio che viene da un cuore che non è in pace, vede solo occhi malati, moltiplica pagliuzze alzando travi davanti al sole. L’occhio buono è invece come lucerna accesa, diffonde luce. Colui che è riconciliato con la sua radice profonda, guarda con sguardo benedicente, limpido, includente.
L’occhio cattivo emana oscurità, diffonde amore per l’ombra. E nascono le guerre.
Il priore dei sette monaci trappisti decapitati a Thibirine, frère Christian de Clergè, davanti all’imminenza del martirio pregava:
“Signore, disarmali e disarmaci”!
Due parole assolute, totali e sufficienti. Vangelo puro.
Signore, disarma anche noi. Facci ripetere, tutti insieme, che la guerra è la più grande bestemmia.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene. Il buon tesoro del cuore: una definizione così bella, così piena di luminosa speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero: portatori di un tesoro buono, custodito in vasi d’argilla, ma pieno di oro fino da distribuire. Anzi il primo tesoro è il nostro stesso cuore: “un uomo vale quanto vale il suo cuore” (Gandhi).
La nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, di passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, per la buona politica possibile, per una ‘casa comune’ curata e bella, dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore e regala generosità, luce, attenzione. La nostra vita vive di vita donata.
Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi. Gesù ci porta a scuola dalla sapienza degli alberi. La cui legge è semplice: vivere, crescere, fiorire, fare frutto, donarlo.
Sono le leggi della vita reale, e coincidono con quelle della vita spirituale, con la stessa morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, della sterilità vinta, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero, del sorriso autentico che guarisce chi è malato di solitudine. Martin Buber semplificava così la legge ultima della vita: “a partire da me, ma non per me”.
Il cuore del cosmo non dice semplice sopravvivenza di sé, ma dono di sé: crescere e fiorire, fare frutti e donarli. Come alberi forti, come cuori buoni.

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La parola della domenica

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

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Rubrica della domenica ad ispirazione cattolica

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

p. Ermes Ronchi

“Domenica scorsa Gesù aveva proiettato nel cielo di Galilea un sogno e un terremoto: beati voi poveri, guai a voi ricchi.Oggi sgrana un rosario di verbi esplosivi. Amate è il primo; e poi fate bene, benedite, pregate. E noi pensiamo: ci sta. Ma quello che mi scarnifica, i quattro chiodi della crocifissione, è l’elenco dei destinatari. Chi dobbiamo amare? Amate i vostri nemici, gli infamanti, gli sparlatori, coloro che vi pugnalano alle spalle.Gli inamabili.Poi Gesù mi guarda negli occhi e si rivolge proprio a me: tu porgi l’altra guancia, tu dai anche la camicia, tu non chiedere indietro. E ti costringe ad andare in cerca di quelli che vorresti invece perdere.Questo vangelo rischia di essere un supplizio, un martirio. Ci chiede cose impossibili, addirittura: Siate come Dio!Nessuno riuscirà a vivere così a colpi di volontà, neppure i più bravi tra noi. Ma i verbi impossibili di Gesù descrivono l’agire di Dio.Infatti: siate anche voi misericordiosi come il Padre.E poi: come volete che gli uomini facciano a voi, fatelo voi a loro. Una capriola che pare illogica: ritorna al cuore, misurati con ciò che desideri, accosta le labbra alla sorgente del cuore.Sappi che il cuore è buono. Che il tuo desiderio è buono. Abbiamo tutti un disperato bisogno di essere abbracciati e di essere perdonati.Tutti desideriamo qualcuno che ci benedica, una casa dove sentirci a casa, e poter contare sul mantello di un amico.Questo darò agli altri.Ciò che desideri per te, dallo all’altro. Altrimenti vi sbranerete per un pugno di euro, per una donna, per il petrolio, per un bonus, per un posto al parcheggio.L’unica strada per il sogno di cieli nuovi e terra nuova è Abele che diventa custode di Caino, la vittima che si prende cura del violento. Abele e Caino forzano insieme le porte del Regno.Perdonate:“Il perdono strappa dai circoli viziosi,spezza le coazioni a ripetere su altri ciò che hai subito,spezza la catena della colpa e della vendetta,spezza le simmetrie dell’odio” (Hanna Arendt).Sì, io però sono un angelo imperfetto.E allora il Vangelo propone una strategia. Un primo passo è sempre possibile, a tutti: il vangelo è pieno di inizi, trabocca della teologia dei germogli e del seme che spunta.Basta il coraggio di un primo passo. Come Dio. Come il cuore. Sappi che sei buono!Questi grandi verbi di fuoco (amate, date, perdonate) cominciano sottovoce, in penombra, raso terra, nel sussurro di una voce che ha i colori dell’alba.“Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (Gandhi). Cambia qualcosa di te, ma sulla misura alta del vivere”.

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La parola della domenica

‘Beati i poveri. Guai a voi, ricchi’

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Rubrica della domenica ad ispirazione cristiana

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Padre Ermes Ronchi

Un vangelo potente e inarrivabile.Da oltre cinquant’anni lotto con questo vangelo, che mi sfugge sempreLe parole che cerco di allineare sono come uccellini che sbattono contro le pareti della gabbia, a dire poco più del nulla che capiamo di queste parole immense.“Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri”, aveva detto nella sinagoga. Ed eccolo qui, il miracolo: beati voi poveri.Il luogo della felicità è Dio, ma il luogo di Dio sono le infinite croci degli uomini.E aggiunge alla fine un’antitesi abbagliante: non sono i poveri il problema del mondo, ma i ricchi: guai a voi ricchi!Sillabe sospese tra sogno e miracolo, osate, prima ancora che da Gesù, da sua madre nel canto del Magnificat: “ha saziato gli affamati di vita, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. (Lc 1,53).Questi oracoli profetici, anzi più-che-profetici, quel “beati” che contiene pienezza, felicità, completezza, grazia, incollato a persone affamate e in lacrime, a poveracci, a disgraziati, ai bastonati dalla vita, ci obbliga a un capovolgimento di prospettiva, a guardare la storia con gli occhi dei poveri e dei piccoli, non con quelli dei ricchi e dei potenti, altrimenti non cambierà mai niente.E ci saremmo aspettati: “beati voi poveri perché ci sarà un capovolgimento, un’alternanza, diventerete voi i signori”.No. Il progetto di Dio è più profondo. C’è di mezzo il Regno dei cieli, che non è il paradiso o l’al di là, ma una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.Il mondo non appartiene a chi se ne impossessa o lo compra, ma a chi lo rende migliore. E non sarà reso migliore da coloro che hanno accumulato più denaro.Beati voi… Il vangelo più alternativo che si possa pensare, il manifesto più stravolgente e contromano. Eppure, al tempo stesso, senti che è amico della vita, vangelo amico.Perché le beatitudini non sono un comandamento, un ordine da eseguire, ma il cuore dell’annuncio di Gesù: la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, Dio regala gioia a chi costruisce pace.In esse è l’inizio della guarigione del cuore, perché il cuore guarito sia l’inizio della guarigione del mondo.Guai a voi, ricchi, sazi, gaudenti, famosi. I quattro “guai” ci inquietano un po’, ma non sono delle maledizioni: Dio non maledice le sue creature, mai, la sua è la voce della tristezza del padre in pena per i figli che si stanno perdendo.“Guai” non suona come una minaccia, ma come il gemito dei lamenti funebri, il singhiozzo del pianto su chi appare come morto.“Guai”: e vi sento dentro il lamento di Gesù, che piange i ricchi e i sazi come coloro che si sono sbagliati su ciò che è vita e ciò che non lo è; e sono diventati gli idolatri del vuoto, gli amanti del nulla.E gli idoli sono crudeli, spietati: divorano i loro stessi adoratori.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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