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Giudiziaria

CGA: gli odontoiatri avranno lo stesso budget iniziale

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L’Assessorato Regionale alla Salute, tramite Decreto emesso nel giugno di quest’anno, ha previsto per il quadriennio 2020/2023 di “contrattualizzare tutte le strutture accreditate e non contrattualizzate … assegnando un budget di ingresso pari a euro 50.000”, tale decisione è stata presa allo scopo di porre fine ai numerosi contenziosi pendenti e anche per adeguarsi al consolidato orientamento giurisprudenziale espresso in materia dal CGA.

L’associazione CROAT e i titolari di taluni ambulatori odontoiatrici già contrattualizzati hanno impugnato dinnanzi al T.A.R. Sicilia – Palermo, il suddetto Decreto, proponendo al contempo un’istanza cautelare volta alla sospensione degli effetti del medesimo.

Atteso il rischio di non vedersi assegnato il budget in questione, i titolari di numerose strutture odontoiatriche site nei comuni di Agrigento, Sciacca, Menfi, Calamonaci Favara, Santa Elisabetta, Aragona, Canicattì e Ravanusa, con il patrocinio degli Avv.ti Giuseppe Impiduglia e Girolamo Rubino, si sono opposti al ricorso.

Con atto di intervento in giudizio, gli Avv.ti Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia hanno rilevato la legittimità delle determinazioni prese dall’Assessorato della Salute, difatti la decisione di contrattualizzare le strutture odontoiatriche già accreditate risulta coerente con l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale non può ulteriormente protrarsi “una situazione di oligopolio in favore delle strutture a suo tempo contrattualizzate, destinate, quindi, a gestire l’intero fabbisogno all’infinito”.

Il T.A.R. Palermo, con ordinanza cautelare, ha ritenuto non fondata la richiesta dei ricorrenti volta alla sospensione cautelare del Decreto Assessoriale, affermando (tra l’altro) la legittimità della scelta dell’Assessorato della Salute di superare il criterio storico (che in passato agevolava le strutture contrattualizzate per prime). 

Atteso il rigetto dell’istanza cautelare, l’Associazione C.R.O.A.T. e i titolari degli studi odontoiatrici già contrattualizzati hanno deciso di appellare la succitata ordinanza.

Tramite ricorso in appello proposto innanzi al C.G.A., i succitati soggetti, hanno asserito che il giudice di Primo Grado abbia erroneamente ritenuto legittima la generalizzata assegnazione, disposta dall’Assessorato, di un budget pari a Euro 50.000 a tutte le strutture odontoiatriche non ancora contrattualizzate; ed inoltre, che in assenza di una decisione cautelare, la riduzione del budget per le strutture già accreditate (cioè le strutture degli appellanti) potrebbe comportare dei disservizi nell’assistenza sanitaria dai medesimi svolta.

Alla luce dell’ appello i titolari delle strutture odontoiatriche dell’agrigentino già intervenuti in primo grado, sempre difesi e rappresentati dagli Avv.ti Rubino ed Impiduglia, hanno deciso di costituirsi anche nel giudizio di appello.

Con un’articolata memoria difensiva, gli Avv.ti Rubino e Impiduglia, oltre a riaffermare la legittimità delle determinazioni assunte dall’Assessorato, hanno eccepito l’insussistenza del rischio di pregiudizio irreparabile sostenuto dalla controparte, in quanto la potenziale riduzione del budget (pari al massimo al 15%) per le strutture già contrattualizzate non è idonea ad incidere sulle prestazioni erogate dalle strutture già contrattualizzate.

Infine, con Ordinanza del 08.09.2022, il C.G.A. – Presidente Rosanna De Nictolis –, condividendo le tesi sostenute dagli Avv.ti Rubino e Impiduglia, ha respinto l’appello presentato dal C.R.O.A.T., ritendo infondate le tesi degli appellanti.

In conseguenza del rigetto il C.G.A. ha anche condannato gli appellanti al pagamento delle spese legali, liquidate in euro 2.000, oltre accessori di legge.

Per effetto della citata pronuncia nessun ulteriore ostacolo sussiste per la contrattualizzazione delle suddette strutture odontoiatriche da parte dell’A.S.P. di Agrigento

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Giudiziaria

Bancarotta fraudolenta, gelese condannato

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La Polizia di Gela ha arrestato un cinquantenne in esecuzione di un ordine di cattura per espiazione di una pena detentiva in regime di detenzione domiciliare, emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Caltanissetta, a seguito di sentenza definitiva della locale Corte d’Appello. L’uomo deve scontare 3 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta.

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Giudiziaria

Cassazione: il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, non dovrà restituire somme

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Roma – Il Direttore originario di Campobello di Licata non dovrà restituire alcuna somma all’Agenzia delle Entrate. La Suprema Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso in cassazione e condanna l’Agenzia al pagamento delle spese di lite.

Nel 2018 l’Agenzia delle Entrate notificava al dipendente L.R.G. un provvedimento di ingiunzione per il recupero delle somme, allo stesso già corrisposte, a titolo di retribuzione di risultato per l’annualità 2013, sulla base dell’asserita valutazione negativa dell’attività svolta in qualità di Direttore dell’Ufficio Provinciale di Caltanissetta dell’Agenzia delle Entrate. Conseguentemente il Dott. L.R.G., originario di Campobello di Licata, con il patrocinio degli Avv.ti Girolamo Rubino e Mario La Loggia, impugnava il provvedimento di ingiunzione innanzi al Tribunale di Palermo, in funzione di Giudice del Lavoro.

L’azione veniva avversata dall’Agenzia delle Entrate che in giudizio sosteneva la legittimità del provvedimento recuperatorio delle somme. All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Palermo dichiarava nullo il provvedimento di ingiunzione di pagamento e, inoltre, rilevava come nessuna pretesa restitutoria avanzata dall’Amministrazione poteva ritenersi fondata.

Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla Corte di Appello di Palermo, chiedendone la riforma oltre alla condanna del lavoratore al pagamento della somma ingiunta.

Per resistere all’azione legale si costituiva nel giudizio di appello il Dott. L.R.G., sempre con il patrocinio degli Avv.ti Rubino e La Loggia, che eccepivano sotto vari profili l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione e l’infondatezza dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Gli Avv.ti Rubino e La Loggia, rilevavano in giudizio l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione, poiché posto in violazione dell’art. 7 del Codice di Comportamento dell’Agenzia delle Entrate, in quanto l’allora Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate si sarebbe dovuto astenere dal valutare, nel 2016, l’operato del Dott. L.R.G., in ragione delle accertate acredini sorte, in precedenza tra i due.

I legali, evidenziavano che il Giudice di primo grado aveva correttamente basato il proprio convincimento in forza di un precedente giudizio (celebratosi innanzi al Tribunale di Enna), che aveva accertato la natura vessatoria e manifestatamente mobbizzante di alcuni provvedimenti emanati dall’ex Direttore Regione dell’Agenzia delle Entrate in danno dell’appellato e, dunque, come lo stesso si sarebbe dovuto correttamente astenere dal procedere alla valutazione delle performances del Dott. L.R.G., in applicazione dell’art. 7 del Codice di Comportamento dell’Agenzia delle Entrate. Inoltre, i predetti difensori deducevano in giudizio l’illegittimità della valutazione operata dal Direttore Regionale per carenza assoluta di legittimazione, in quanto la valutazione negativa relativa all’anno 2013 emanata nei confronti del Dott. L.R.G. non era stata compiuta entro l’anno 2014, bensì era stata predisposta solamente nel 2016 e, quando l’allora ex Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate risultava già in quiescenza, dunque tale provvedimento avrebbe dovuto considerarsi viziato da carenza di potere.

All’esito dell’udienza di discussione tenutasi nel settembre 2023, la Corte di Appello di Palermo, condividendo le argomentazioni difensive sostenute dagli Avv.ti Girolamo Rubino e Mario La Loggia dichiarava infondato l’appello proposto dall’Agenzia dell’Entrate e confermava la sentenza di primo grado, oltre a condannare detta Agenzia al pagamento delle spese processuali in favore del Dott. L.R.G.

La pronuncia è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso in Cassazione. Al fine di resistere all’azione, con controricorso in Cassazione si costituiva in giudizio il Dott. L.G.R., sempre con il patrocinio degli Avv.ti Rubino e La Loggia. I difensori oltre a rilevare l’infondatezza del ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, ne eccepivano in primo luogo l’inammissibilità dello stesso, in quanto detta Agenzia non aveva impugnato anche il capo della sentenza della Corte di Appello di Palermo che aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di ingiunzione per carenza assoluta di potere in Capo all’ex Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, pertanto, in relazione a tale capo della sentenza si sarebbe dovuto ritenere formato il giudicato, con conseguente inammissibilità del proposto ricorso per difetto di interesse a ricorrere.

La Corte Suprema di Cassazione, condividendo le tesi difensive sostenute dagli Avv.ti Rubino e La Loggia e rilevata l’inammissibilità del ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate ha formulato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. una proposta di definizione del giudizio che è stata comunicata alle parti. Ebbene, con decreto del 06.11.2024, la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che risultava decorso il termine di 40 giorni entro cui l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto chiedere la decisione del ricorso, per cui a norma dell’articolo 380 bis co. II c.p.c. è stata dichiarata l’estinzione del predetto giudizio in cassazione ed inoltre, è stata condannata l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del Dott. L.R.G. Per l’effetto, della sentenza, cha ha confermato l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione, il Dott. L.R.G. non dovrà restituire alcuna somma all’Agenzia delle Entrate.

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Giudiziaria

Sentenza storica sull’obbligo vaccinale del giudice Vaccaro

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Arriva un sentenza storica sul tema obbligo vaccinale e porta la firma del giudice Veronica Vaccaro che per 12 anni ha prestato servizio al Tribunale di Gela ed adesso opera a Velletri.

Il giudice ha creato un precedente ed ha smantellato il teorema del “non ti vaccini, fai morire” dell’allora premier Draghi che impose il green pass. La sentenza n. 1493 del 24 ottobre 2024 della Dr.ssa Veronica Vaccaro,  giudice del Tribunale di Velletri ha annullato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di una dipendente del settore sanitario per non essersi sottoposta al vaccino Covid in violazione degli artt. 32 e 4 Cost, degli artt. 5 e 26 della Convenzione di Oviedo e dell’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, condannando il datore di lavoro alla restituzione delle retribuzioni per tutto il periodo di sospensione.

La donna asseriva che la normativa introdotta nel 2021 fosse sostanzialmente incostituzionale.

 Questa la decisione del giudice Veronica Vaccaro che ha accolto il ricorso della lavoratrice ed ha evidenziato alcuni elementi che non passano inosservati, come il fatto che il “siero” sia “inefficace”.

L’analisi tecnico-scientifica seguita dal Tribunale è nata dalla distinzione tra prevenzione della malattia e prevenzione dell’infezione, ricordando come “nel caso specifico della malattia COVID-19, malattia determinata dall’infezione dell’agente infettivo Sars Cov-2. In questo caso si sono adottati vaccini specifici autorizzati per la prevenzione della malattia Covid-19 ma non della trasmissione del virus Sars Cov-2”.

A tale risultato si è giunti attraverso l’analisi dei documenti ufficiali di EMA, di AIFA e delle schede tecniche dei vaccini (ove non si prevede tra le indicazioni terapeutiche la prevenzione dell’infezione da Sars Cov-2), in base ai quali essi potevano -e possono- essere utilizzati a carico del SSN per la sola prevenzione della malattia Covid-19 e non per la prevenzione della trasmissione del virus Sars Cov-2.

Ed infatti ad oggi nel nostro paese non esistono  medicinali/vaccini con indicazioni in scheda tecnica che prevedano la prevenzione dell’infezione da Sars Cov-2, per cui l’utilizzo di tali farmaci per la prevenzione del virus è stato fatto OFF LABEL (ossia l’impiego di medicinali per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata in scheda tecnica), ma senza alcuna autorizzazione preventiva a tale tipo di utilizzo.

Inoltre, i vaccini “non potevano essere somministrati sui guariti”, poiché questi ultimi non venivano mai citati nelle relative schede tecniche come possibili destinatari della vaccinazione. Ragion per cui la sospensione è illegittima, in quanto la norma del 2021, il cosiddetto obbligo vaccinale esteso progressivamente a tutte le categorie, si basava su “finalità che sono risultate insussistenti in termini tecnico-scientifici per l’inefficacia dei vaccini a prevenire la trasmissione dell’infezione”.

L’azienda è adesso obbligata a risarcire la sanitaria perché la sospensione è avvenuta in base a una normativa in contrasto con gli articoli 4 e 32 della Costituzione, con gli articoli 5 e 26 della Convenzione di Oviedo e con l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

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