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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Andrea Cionci: l’uomo, la missione, l’esempio

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Dall’architetto Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo

Romano di nascita, storico dell’arte, scrittore ed illustre giornalista, Andrea Cionci si occupa di storia, archeologia e religione per le più importanti testate italiane come Quotidiano Nazionale, La Stampa e Libero. Diplomato in Conservatorio e laureato in lettere all’Università la Sapienza con 110/110, è stato l’ideatore del metodo “Mimerito”, sperimentato con gran successo dal Miur in duecento classi scolastiche italiane.

E’ stato anche il promotore del progetto di ricerca scientifica su Plinio il Vecchio, recensito anche dal New York Times, nonché reporter nei teatri operativi dell’Afghanistan e del Libano.Ha pubblicato il saggio di ambito musicologico Il tenore collezionista, contribuendo alla riscoperta di Evan Gorga, primo interprete della Bohème pucciniana. A lui si devono, inoltre, il romanzo “Eugénie” e la produzione di vari testi di storia militare, inseriti anche in pubblicazioni istituzionali.

A trentasei anni è stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica per il suo impegno culturale.Personalità altamente carismatica e poliedrica, ricca ed arricchente, da qualche anno profonde il suo impegno principalmente nella cosiddetta “Magna Quaestio”: il riconoscimento dell’invalidità della declaratio resa nel 2013 dal Santo Padre Benedetto XVI quale atto di effettiva abdicazione dal papato e la conseguenza invalidità del Conclave con cui fu eletto Papa Francesco nel marzo dello stesso anno.Sul tema Andrea Cionci ha scritto il libro/inchiesta “Codice Ratzinger”, pubblicato nel maggio del 2022, divenuto in breve un bestseller e grazie al quale è stato insignito del Premio Internazionale Cartagine 2023, nonché di quello relativo alla seconda Edizione del Premio Mameli 2023 per la Saggistica, assegnatogli da ENAC (Ente Nazionale Attività Culturali).

Nel libro vengono spiegate le ragioni per le quali Papa Benedetto, nel 2013, non avrebbe validamente abdicato ma si sarebbe limitato a rendere una semplice dichiarazione con cui avrebbe rinunciato soltanto all’esercizio pratico del potere e sarebbe, quindi, rimasto Papa a tutti gli effetti sino alla Sua morte.L’inchiesta è basata su prove, documenti e fatti oggettivamente incontestabili, e sino ad oggi sostanzialmente incontestati, per i quali risulterebbe ampiamente dimostrato che Benedetto sarebbe rimasto l’unico, vero, Papa sino alla sua morte.Ma Codice Ratzinger è stato soltanto un punto di partenza: Andrea Cionci in questi due ultimi due anni e mezzo, ha continuato ad occuparsi dell’inchiesta senza sosta, venendo a scoprire una serie di elementi ulteriori rispetto a quelli cristallizzati nel libro e per i quali le conclusioni formulate nel 2022 risultano, oggi, ancora più chiare, circostanziate e complete, tanto da riuscire a smuovere le coscienze di alcuni sacerdoti ed indurli a dichiarare pubblicamente la loro adesione alla tesi della sede impedita di Benedetto XVI e, quindi, dell’invalidità/nullità del Conclave che ne è seguito e con cui è stato eletto Francesco.

Ci si riferisce in particolare a Don Fernando Maria Cornet, a Padre Giorgio Maria Farè e, da ultimo, a Padre Natale Santonocito che ha formulato la sua dichiarazione pubblica nel giorno dell’Immacolata Concezione (l’8 dicembre scorso).Questi sacerdoti sono gli ultimi di una serie (di altri sacerdoti) che si erano espressi nel senso indicato da Andrea Cionci: Don Alessandro Maria Minutella, Fra Celestino della Croce, Don Vincenzo Avvinti, Don Gebhard Josef Zenkert, Don Enrico Bernasconi, Don Pavel Cap, Don Robert Benko, Don Johannes Lehrner e Don Ramon Guidetti.Ci sarebbe da chiedersi cosa smuove questi servi di Dio a voler assumere una posizione così scomoda, viste e considerate le pene canoniche a cui vengono puntualmente sottoposti, per averla assunta?

L’unica spiegazione non la si può trovare che in un Amore incondizionato a quella che hanno riconosciuto essere la Verità; quella Verità che hanno scoperto anche grazie all’opera di Andrea Cionci e che hanno voluto annunciare pubblicamente, certamente dopo un grosso travaglio interiore e, soprattutto, soltanto a seguito di uno studio accurato della questione -che peraltro vale ad escludere, a ragion di logica, eventuali errori di valutazione da parte loro-.Sotto questo aspetto ci si limita a citare il combinato disposto degli articoli 76 e 77 della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis che, richiamando l’art. 332 comma 2 del Codice di Diritto Canonico, prevede che l’atto di rinuncia del Sommo Pontefice, per risultare valido debba contenere l’espressa rinuncia sia al munus che al ministerium -e che, in caso contrario (come appunto nella Declaratio di Papa Benedetto), l’elezione del successore risulta nulla ed invalida “…senza che intervenga alcuna dichiarazione in proposito”.Nelle ultime settimane Andrea Cionci, su impulso dell’Avv. Costanza Settesoldi e col supporto del Prof. Gian Matteo Corrias e del Prof. Rodolfo Funari, avrebbe inoltre scoperto un “errore” nella trascrizione della Declaratio di Papa Benedetto consistente nell’aver assunto, nella traduzione dal latino all’italiano, il termine “commisso” anziché “commissum”, a netto del quale la dichiarazione assumerebbe tutto un altro significato rispetto a quello di una mera rinuncia.Il Pontefice avrebbe in sostanza fatto riferimento ad alcune manovre che avrebbero in qualche modo segnato il Conclave del 2005 in danno del Suo pontificato –tesi peraltro cennata, sebbene per altri profili, anche dallo stesso Papa Francesco nel suo libro-intervista El Sucesor dell’aprile scorso.Indizi assai utili in tal senso si ritrovano tra l’altro anche nella biografia del Card.

Dannels del 2015, nelle dichiarazioni rilasciate a Limes nel 2009 da un ignoto Cardinale (che avrebbe partecipato al Conclave nel 2005), nonché nelle dichiarazioni del 27 marzo 2015 di Padre Silvano Fausti.L’impegno di Andrea Cionci non è però limitato alla mera attività d’inchiesta ma risulta anche operativo: per sua iniziativa nello scorso mese di giugno è stato depositato, presso il Tribunale Vaticano un apposito ricorso, già regolarmente protocollato e volto ad ottenere il riconoscimento della nullità delle dimissioni di Ratzinger e quindi della nullità/invalidità del Conclave del 2013.Egli inoltre, da ultimo, si è fatto promotore di diverse petizioni finalizzate a sollecitare i cardinali, di nomina pre2013 (gli unici che avrebbero diritto a pronunciarsi sul punto), ad analizzare la questione e, quindi, a voler pronunciarsi.

I destinatari attuali sono il Segretario di Stato S.E.R. Mons. Pietro Parolin, ed i Cardinali Camillo Ruini, Walter Brandmuller, Raymond Leo Burke, Joseph Zen Ze Kyun e Robert Sarah.Questo mio scritto oltre al carattere meramente informativo, vuole anche essere un monito per il popolo di Dio a riscoprire l’aspetto militante della vita cristiana, proponendo Andrea Cionci come esempio alto e mirabile in tal senso. Per l’enorme impegno profuso nel Suo lavoro tributarlo è un atto dovuto; il minimo che si possa riconoscere ad un uomo che ha messo tutti i suoi talenti a disposizione della causa che ha sposato e che sta portando avanti con un’abnegazione ed un coraggio fuori dall’ordinario.Per quella correttezza che lo contraddistingue, Andrea Cionci non ha mai dichiarato di essere cattolico o anche soltanto credente; egli ha anzi affermato, più volte, di non voler esprimersi al riguardo e pur tuttavia chi lo segue (come lo scrivente) non può non riconoscere il valore altamente istruttivo, in senso cattolico, delle sue analisi e della sua ricerca; valore che sussiste financo a prescindere dalla bontà delle sue conclusioni: attraverso la sua opera infatti egli ha fornito un quadro completo della questione, nei fatti che la costituiscono e nelle norme e negli insegnamenti della Chiesa di riferimento, quali elementi per i quali ciascuno dei suoi lettori ha potuto maturare un proprio pensiero personale ed un proprio convincimento. In un tempo in cui le verità e financo i fatti vengono taciuti, manipolati e mistificati, Andrea Cionci si pone quindi come segno di contraddizione che ha istruito e guidato alla comprensione delle cose, senza per questo aver mai voluto indottrinare nessuno.

E’ stato cioè giornalista nel senso più alto e nobile del termine.E’ chiaro, ovvio e giusto che Egli abbia tratto ed espresso le Sue conclusioni, ma (va sottolineato) che non le ha mai volute imporre a nessuno e soprattutto non ne ha mai fatto motivo di scontro nei confronti di chi le ha avversate. Verso costoro ha anzi, e sempre, adoperato una posizione di rispettoso, aperto ed edificante confronto. Di Lui ho apprezzato anche i toni adoperati verso i suoi detrattori: contravvenendo alla legge del taglione -regola sistematica di questo tempo di decadenza assoluta-, non soltanto ha invitato i propri followers a non offendere sul piano personale chi lo aveva immotivatamente attaccato ma ha persino continuato a riconoscerne pubblicamente i meriti!Non sappiano se Andrea Cionci sia cristiano ma siamo certi che per la missione che ha voluto sposare e soprattutto per il modo con cui la porta avanti, ne ha il profilo più perfetto: il coraggio, la perseveranza e la carità che adopera per l’affermazione della Verità e per la riconquista della Chiesa sono a dir poco esemplari, così come lo é la fermezza nel voler percorrere a tal fine la via canonica, unica a poter essere indicata da Dio e a rientrare nella Sua Volontà quale via di Giustizia, Verità e rispetto delle norme che Egli stesso ha voluto stabilire per mezzo del suo Vicario in terra. Non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Andrea Cionci e pur tuttavia la percezione che ne ho è quella di un uomo assai colto, di altissimo valore morale, profondamente, autenticamente e sinceramente cristiano, amante della Verità, di Dio e della Sua Chiesa.

Del resto se è vero che un uomo “è” principalmente ciò che fa, non si può che ribadire che il Dott. Cionci è certamente un esempio da seguire sia come uomo che come cristiano; un forte sprone ad essere migliori e soprattutto a fare ancora di più e meglio in ogni attività che si intraprende per Amore, per dovere o per investitura; o per tutte e tre le cose.

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Gelesi internati dai nazisti nei campi di concentramento

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Dallo storico Nuccio Mulè, riceviamo e pubblichiamo

Lunedì 27 gennaio, giorno della memoria in ricordo delle vittime nei campi di concentramento nazisti; giorno che sotto certi aspetti è legato al contesto della comunità gelese. Infatti, anche a Gela, su quasi 3.300 richiamati alle armi di cui si ha notizia, ci sono stati ben 242 militari che durante gli eventi bellici dell’ultima guerra sono stati catturati dai tedeschi e internati nei campi di concentramento in Germania, i cosiddetti prigionieri I.M.I. (Internati Militari Italiani ovvero Italienische Militärinternierten) che furono anche privati della tutela internazionale oltre ad esser stati costretti sia al lavoro forzato nelle città bombardate dagli Alleati sia ad essere a servizio della Wehrmacht e della Luftwaffe tedesche; e comunque quasi tutti scampati all’olocausto. Di Imi fece parte anche il Prof. Virgilio Argento (nella foto)

Degli 810.000 militari italiani internati dopo l’armistizio, 94.000 preferirono alla cattura la RSI o le SS italiane, con 14.000 come combattenti o 80.000 come ausiliari. Quindi, oltre 600.000 I.M.I., nonostante le sofferenze e il trattamento disumano subito nei lager, rimasero fedeli al giuramento alla Patria e scelsero di resistere e dire “No” alla Repubblica Sociale Italiana. Nel 1941 altre migliaia di soldati italiani furono mandati a combattere; in particolare 230.000 militari fecero parte dell’8ª Armata Italiana ARM.I.R. inviata in Russia, con 114.520 militari tra morti e dispersi; ed ancora trentacinque divisioni furono inviate nei Balcani dove avvenne una tragedia nazionale per troppo tempo ignorata con un’eliminazione di massa di nostri soldati, che si ritrovarono intrappolate tra Jugoslavia, Albania e Grecia; accadde proprio in Grecia l’eccidio dei soldati della Div. “Acqui” che fecero la scelta di combattere a Cefalonia e a Corfù contro gli stessi ex alleati tedeschi dopo l’armistizio; tra essi vi erano cinque gelesi tra cui Orazio Marinelli (nella foto)

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“La Chiesa oggi? Handicappata e lebbrosa!”

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Dall’architetto Roberto Loggia, riceviamo e pubblichiamo 

No cari amici lettori, non si tratta di affermazioni dell’ultimo ateo anticlericale, bensì é uno dei massimi prelati contemporanei a definire la Chiesa di oggi in questo modo: Robert Sarah (nella foto) 79 anni, guineano, Arcivescovo e Cardinale, e dal 2021 Prefetto Emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. La vicenda fa riferimento all’intervista fatta al Monsignore da Riccardo Cascioli, Direttore de “La Nuova Bussola Quotidiana”, lunedì scorso a Milano, in occasione della presentazione del suo libro “Dio esiste?

Il grido dell’uomo che chiede salvezza”. Cascioli, riferendosi evidentemente alla voce che si leva man mano ma con potenza nella Chiesa, secondo cui Papa Francesco non sarebbe (mai stato validamente eletto) Papa in ragione del fatto che Benedetto XVI volutamente non si sarebbe mai validamente dimesso, chiede al Cardinale: “Nella confusione che c’è oggi nella Chiesa molti fedeli, anche ben intenzionati, cominciano a reagire emotivamente e seguono improvvisati profeti di nuove chiese e dicono ‘il Papa non c’è’ o ‘Non c’è stato da tanto tempo’ e altre cose del genere. Cosa dire a queste persone?

Come richiamarle a quella che è la missione vera della Chiesa e all’unica vera Chiesa?”. Il Cardinale, a questa precisa domanda, anziché assicurare a chiare lettere che il Papa c’è e c’è da quando è stato eletto Papa Frrancesco nel 2013 – com’era stato implicitamente invitato a fare da Cascioli – del tutto inaspettatamente afferma: “Comunque anche se la Chiesa oggi è un pò handicappata, anche (se) la mia mamma è lebbrosa, non può lasciarla, devo rimanere con lei. Devo amarla. Uscire dalla Chiesa per pretendere di essere nella verità è una falsa scelta. Io chiedo alla gente di rimanere nella Chiesa, una sola Chiesa, quella di Gesù Cristo e ascoltare la Sua Parola. Gesù Cristo ha detto: ‘sarò con voi fino alla fine del mondo’. Dobbiamo seguire Cristo.

L’uomo è debole che sia Sacerdote, che sia Vescovo, che sia Cardinale, che sia Papa, è un uomo debole. Ma per fuggire da questa debolezza dobbiamo seguire Cristo che non tradisce nessuno. La Sua Parola rimane per sempre, anche uno iota non può essere cancellato. E dunque penso che l’unica parola che devo dire a questi che sono in disagio, non sanno più…di rimanere nella Chiesa, la Nostra Madre perché Cristo rimane dentro, perché ha detto ‘sono con voi sino alla fine del mondo’. I problemi ci sono sempre stati nella Chiesa, dall’inizio, e poi sono stati risolti. Dunque rimaniamo nella Chiesa, preghiamo soprattutto, preghiamo perché il Signore illumini la Sua Chiesa, che la Chiesa rimanga Lumen gentium, la Luce del mondo”. 

Sarah, invero sorprendentemente, non soltanto non pare smentire coloro i quali asseriscono che il Papa non c’è (e che verosimilmente Cascioli avrebbe voluto stigmatizzati) ma addirittura pare riconoscere la sussistenza del problema, comprendere il disagio di chi ha compreso ed invitarlo a rimanere nella Chiesa esercitando le virtù della pazienza e della fede in attesa della sua soluzione.

 Tra l’altro il Cardinale riconosce, sua sponte, l’esistenza di un grave male interno alla Chiesa (la lebbra) di cui Cascioli nemmeno aveva fatto menzione, visto che si era limitato a parlare di confusione ed aveva anzi indicato nella Chiesa attuale l’“unica vera Chiesa”. Questo messaggio pare essere affermato dal Cardinale con chiarezza e quindi chi ne esce sostanzialmente contraddetto, alla fine, pare essere proprio Cascioli e proprio in ordine al presupposto posto a fondamento della sua domanda (che il Papa ci sia).  Se le parole hanno un loro peso e questo peso, come si suol dire, è proporzionale alla caratura di chi le proferisce, gli aggettivi handicappata e lebbrosa, adoperati dal Cardinale nel descrivere la Chiesa contemporanea, devono avere un loro preciso significato; non possono essere il frutto di un errore o di una sconsideratezza e devono, per converso, contenere ed esprimere un significato più profondo di quello che estemporaneamente si può cogliere di primo acchito. 

Per comprendere in profondità non ci rimane quindi che consultare il vocabolario. Al termine handicappato sono attribuiti essenzialmente due significati: la prima accezione è quella di un soggetto che si trova in situazione di svantaggio competitivo rispetto ad altri e la seconda, invece, di un soggetto oggettivamente affetto da una menomazione fisica o psichica.  Nel nostro caso non può che trattarsi del secondo significato: il primo è difatti escluso per la semplice ragione che la Chiesa, per sua natura, non può essere ritenuta in competizione con nessuno. La Chiesa di oggi sarebbe quindi affetta da una menomazione; il suo Corpo difetterebbe di una qualche sua parte. Che sia appunto il Papa? L’ipotesi non è di certo peregrina e vista la strettissima connessione fra l’affermazione del Cardinale e la domanda da cui era essa scaturita, pare anzi essere quella più accreditata.

 E adesso veniamo al secondo aggettivo (lebbrosa). Il Treccani ci indica anche in questo caso due significati che possono, entrambi, riferirsi alle dichiarazioni di Sarah: persona malata (di lebbra) o, figurativamente, che per essersi macchiata di una colpa grave risulta invisa e quindi evitata da molti. In questo caso la comprensione però non è univoca in quanto si hanno due significati che possono ritenersi tutti e due pertinenti rispetto alle affermazioni di Sarah: ciascuno potrà quindi trarre la conclusione che riterrà più adeguata. Chi scrive ritiene che il Cardinale abbia voluto adoperare un termine così “forte”, e decisamente controtendenza, proprio per significare entrambe le accezioni: la colpa grave potrebbe consistere nei complotti che avrebbero portato a designare, seppur invalidamente, Bergoglio come Pontefice – e di cui, si rimarca, si cenna anche nel suo libro “El Sucesor” – e la malattia invece nell’effetto dell’operato di quest’ultimo come espressione di quella fronda non autenticamente evangelica operante all’interno della Chiesa di cui parlano alcuni e che potrebbe risultare riconoscibile, nel parlare del Cardinale, negli ’“uomini deboli” (compresi sacerdoti e prelati) che paiono essere indicati come causa del “problema”. “I problemi ci sono sempre stati nella Chiesa, dall’inizio, e poi sono stati risolti” assicura Sarah. 

Dobbiamo ritenere quindi che egli abbia riconosciuto l’esistenza del problema oggetto della domanda che gli era stata rivolta da Cascioli e quindi che oggi la Chiesa sia senza Papa? Dobbiamo forse pensare che alla base di tale anomalia ci sia un male (la lebbra) che oggi affligge la Chiesa? Senza voler trarre conclusioni di sorta e senza voler puntar il dito contro nessuno, tantomeno verso Papa Francesco, non possiamo però esimerci dall’osservare che rispetto alle affermazioni del Cardinale Sarah ed alla gravità del male a cui allude, urgerebbe chiarezza; quella “chiarità” che sarebbe dovuta al popolo di Dio ed alla stessa Chiesa come atto di Verità e Carità urgente e ora necessario alla sua salvezza (di lebbra si muore). 

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L’eredità di Paolo Capici continua: lettera della moglie

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Riceviamo e pubblichiamo la nota della vedova dell’avv. Paolo Capici, Rocchina Pisano.

“A un mese dalla improvvisa scomparsa di mio marito Paolo Capici sento l’esigenza di rivolgermi alle istituzioni con particolare riguardo all’ill.mo Presidente del Tribunale di Gela e al nostro Sindaco. Vi scrivo perché in queste settimane non ho solo sentito la vicinanza di chi gli ha voluto bene ma ho dovuto accogliere lo sgomento e lo smarrimento di chi sente di aver perso tutto.

Perché se è vero che io ho perso il mio prezioso marito, l’uomo che ho amato in salute e in malattia, ho dovuto constatare che molti gelesi hanno perso il loro unico faro, la loro unica speranza di essere ascoltati quando le cose si fanno complicate, quando le istituzioni non danno risposte, quando la vita si fa difficile e tutti ti voltano le spalle.

Paolo poteva infatti permettersi ogni comfort, era amato da una grande famiglia che lo sosteneva in ogni sua esigenza e non aveva bisogno delle istituzioni per vivere sereno. Eppure le perseguiva, creava incontri e scontri e di certo non per sé stesso. Una catena infinita di battaglie per gli interessi di tutti spesso da solo, nemmeno i diretti interessati al suo fianco ma solo Paolo per tutti contro tutti.Lo abbiamo visto così nelle piazze, in televisione, in Tribunale, negli uffici del comune sempre agguerrito e determinato e il silenzio che ha lasciato è assordante.

Vi scrivo perché io oggi sono la vedova di Paolo Capici e in quanto tale penso ai suoi orfani, cittadini smarriti dalla perdita di un uomo straordinario che vi chiedo di onorare espiando i più vecchi peccati. E’ tardi per mostrargli che adesso è chiaro anche a voi che non agiva per pubblicità personale e per riparare le cattiverie che talvolta subiva. Potete però rivedere le priorità dei vostri interventi sforzandovi per le politiche di sostegno alla disabilità da ora in poi un po’ più soli, anche voi, perché non ci sarà più mio marito a punzecchiarvi.

Non sedie a rotelle per disabili negli uffici pubblici né messaggi di solidarietà ma interventi seri e concreti per contrastare le situazioni che ostano all’inclusione.Basti pensare, a titolo esemplificativo, che mio marito doveva chiedere l’apertura del cancello per le auto per poter accedere in tribunale, doveva sperare che l’ascensore funzionasse per poter arrivare in udienza, doveva chiedere agli impiegati dei servizi sociali presso il comune di Gela la cortesia di scendere al pian terreno per svolgere i colloqui, doveva gestire le conseguenze delle lungaggini processuali.

Una serie di esperienze che hanno coinvolto vostri uffici, vere e concrete delle quali vi chiedo di fare tesoro, per le quali vi chiedo di smentire il triste mantra di chi sente che, morto Paolo, nessuno si occuperà più di loro. Non basterebbero mille righe per esprimervi l’importanza delle mie richieste ma concludo questo scritto nella speranza che possiate cogliere la profondità del dolore di molti e il loro auspicio di trovare un conforto nel vostro imminente, concreto e serio impegno affinché, dopo la scomparsa di mio marito, nessun disabile venga abbandonato”.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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