Rubrica della domenica di ispirazione cattolica
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,16-20
“In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
La Bibbia, pur affermando che Dio è sempre Altro e Oltre il nostro pensiero, si presenta come “rivelazione”, cioè come uno squarcio nel velo di silenzio che nasconde il mistero divino.
La rivelazione cristiana apre ulteriori orizzonti in questa luce invalicabile, che «l’uomo non può vedere continuando a restare in vita», come si ripete spesso nell’Antico Testamento. Appare, così accanto al Padre, il Figlio inviato nel mondo e lo Spirito vivificatore, e nel nome della Trinità noi apriamo questa e ogni altra liturgia, concludiamo ogni preghiera ed è benedetta ogni persona e cosa. Due sono i testi dell’odierna liturgia che esaltano questa rivelazione nuova del mistero divino. Il primo è tratto dal capitolo ottavo della lettera ai Romani, il vertice del pensiero paolino ove con un suggestivo contrappunto l’apostolo presenta due “spiriti”.
C’è innanzitutto lo spirito dell’uomo, cioè il principio del suo esistere, del suo operare, del suo amare e del suo peccare, della sua libertà e della sua schiavitù. Ma c’è anche uno Spirito di Dio, principio del suo amore e della sua comunicazione all’uomo. Ebbene, questo Spirito divino penetra nello spirito dell’uomo, lo invade come un vento che tutto avvolge e permea. La creatura che accoglie e si lascia conquistare da questo Spirito viene trasformata da figlio dell’uomo in figlio di Dio, diventa membro della sua famiglia, è ufficialmente dichiarato coerede del primogenito di Dio, il Cristo.
Paolo, quindi, proclama una vera e propria ammissione dell’uomo all’interno della vita divina. Questo ingresso avviene attraverso il battesimo, visto come radice dell’intera vicenda cristiana, e attraverso l’ascolto obbediente della Parola.
È ciò che è lapidariamente formulato nella scena finale del Vangelo di Matteo che oggi domina la nostra liturgia. In Gallica non si danno solo appuntamento il Cristo risorto e gli Undici, ma il mistero di Dio e quello della Chiesa.
Da un lato, infatti, il Cristo glorioso appare nello splendore più puro della sua divinità; egli è per eccellenza “superiore” e trascendente rispetto a tutta la realtà creata: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra». Davanti a lui l’uomo si prostra in adorazione. La sua presenza non è come quella di una persona terrena. È una presenza che dev’essere scoperta attraverso la via della fede, ed è per questo che conosce anche l’esitazione, l’oscurità, il dubbio.
D’altra parte, però, Cristo è vicino, è «con noi tutti i giorni» e in tutte le epoche storiche. Soprattutto è operante all’interno della Chiesa a cui comunica la sua Parola e la sua grazia salvifica. Infatti alla Chiesa egli affida il compito di annunziare all’umanità «tutto ciò che egli ha comandato», coinvolgendo ogni uomo nella salvezza: l’«ammaestrate» della versione del Vangelo, che oggi leggiamo, nell’originale suona meglio come un «fare discepoli» i popoli.
Per la Bibbia, quindi, il mistero infinito di Dio non respinge ma accoglie in sé i nostri piccoli misteri, immergendoli nella sua luce infinita. Non dobbiamo, perciò, considerare Dio solo come oggetto di discussione filosofica e teologica, non dobbiamo solo parlare in modo distaccato e freddo di Dio e della Trinità. Dobbiamo anche parlare a Dio in un dialogo di intimità e di vita che lui stesso ha inaugurato. Don José M. Marquez