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Lo Scrivo a Il Gazzettino di Gela

Amarsi per sempre

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Ospitiamo oggi una riflessione degli psicologi Tonino e Rosaria Solarino di Ragusa


“Scriveva G. Marcel che: “dire ti amo a qualcuno significa dirgli tu non morirai.” Tu non morirai è l’amore pasquale.

Nell’era del presentismo, del “tutto e subito” invecchiare insieme amandosi è un avvenimento che si fa più raro. 

Si resta single.  Si consumano rapporti occasionali. Si vivono storie  a termine.  Si  convive per periodi più o meno lunghi con la convinzione/disillusione che prima o poi ci si lascerà.  Eppure non ci lascia indifferenti, nemmeno in questo tempo di relazioni liquide,  il sogno di amarsi per sempre in maniera fedele. Il sogno di percorrere insieme tutte le strade della vita, sia quelle in discesa che quelle in salita. Il sogno di condividere e asciugarsi reciprocamente le lacrime di gioia, di dolore e di rabbia con la speranza, anzi la certezza, che tra le lacrime spunterà un sorriso.  

Laddove la nostra anima è vergine vibra per il sogno di  vivere un “amore per sempre” avendo un posto unico ed esclusivo nel cuore dell’altro/a. 

Ma se è vero che l’amore è il senso e il segreto della vita, è altrettanto vero che, come tutte le cose importanti,  richiede  un tempo di maturazione. Come scriveva Fromm l’amore  è un’arte che richiede talento,  retti pensieri, competenze, tempo. 

Molti rapporti falliscono dolorosamente perché si pensa che amare sia un fatto istintivo, qualcosa che accade. Ciò che è istintivo è innamorarsi! Amare è altra cosa. Chiamiamo invece amore le nostre infatuazioni,  le nostre eccitazioni, i nostri cambiamenti ormonali. 

Molti fallimenti hanno origine da illusioni e presupposti non realistici.

L’ amore fallisce perché in esso riponiamo sogni impossibili. In occidente coltiviamo il mito dannoso  dell’amore romantico. Chiamiamo amore le nostre aspettative sull’altro.  Carichiamo il partner di tante illusioni, di  tanti bisogni, di tante pretese che di lei, di lui, alla fine, resta ben poco. Per questo finiamo per odiare o per essere odiati con la stessa facilità con cui ci siamo detti di  amarci. 

L’amore presuppone alcuni prerequisiti. 

Innanzitutto la capacità di reggere la solitudine. Se non siamo capaci di reggerci in piedi da soli chiederemo all’altro di farci da stampella. Bisogna essere liberi dall’altro per amarlo. In caso contrario ameremo il bisogno che l’altro soddisfa.  Bisogna essere un pò cresciuti per liberare l’altro da ogni dipendenza, da ogni  tentazione proprietaria, da ogni tentazione idolatrica, da ogni bisogno narcisistico, da ogni  seduzione.  Sedurre significa condurre l’altro a noi stessi per poterne disporre. 

L’amore ha bisogno invece di mentalità esodale, di un viaggio per  fuoriuscire da sé e imparare a camminare con l’altro/a custodendone l’integrità. 

E’ un viaggio permanente. Sposarsi non significa allora, che siamo diventati capaci di amare. Significa che abbiamo raggiunto una sufficiente integrità e una sufficiente  consapevolezza  che la nostra capacità di amare è limitata.  Significa riconoscere che il nostro amore  è imperfetto ma che, qualunque cosa accada, vogliamo apprendere questa meravigliosa arte.  

Questa prospettiva evolutiva è importante.

Il matrimonio non è, allora, il luogo della felicità perché non esistono paradisi terrestri  ma, come ogni relazione significativa,  ci riserva  porzioni di gioia e di sofferenza. Se, irrealisticamente, pensiamo che l’amore debba darci solo gioia, l’infelicità sarà molta di più. 

La coppia in compenso è il luogo privilegiato per apprendere il cuore: quello nostro e quello del partner. È il luogo dove purificare l’amore da ogni pretesa narcisistica:  dove imparare a dire Io, a dire Tu e a dire  Noi.   

Il retto pensiero è che non sappiamo amarci, ma che vogliamo imparare. Sappiamo che una scuola privilegiata, anche se a volta dolorosa, sono i conflitti, le gelosie,  le chiusure che sperimentiamo quando ci sentiamo incompresi, le fantasie di tradimento,  i problemi.  Avere  un problema significa però essere invitati a lanciarsi in avanti,  accogliere una nuova stagione della vita,  attivare nuovi strumenti, cercare risorse che la coppia ancora non possiede. 

Si  abbiamo bisogno di retti pensieri sull’amore.  

Perché non possediamo tutto l’amore che ci sarà necessario per vivere bene.  Perché l’amore  è  creazione continua e apprendimento permanente. 

Perche l’amore è inizialmente una macedonia di motivazioni autocentrate che hanno bisogno di essere purificate per divenire eterocentrate. 

Perchè abbiamo bisogno di imparare ad  armonizzare il vecchio comandamento che ci invita ad “amare l’altro come noi stessi” con il nuovo  comandamento che ci ricorda che “non c’è amore più grande di quello che sa offrire la propria vita per l’altro/a”. 

E’ proprio vero: “amare significa preferire l’altro a sé. Solo allora non lascerò l’altro morire. Solo così è Pasqua: la festa dell’Amore che vince la morte”. 

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Se io non voglio… razionalmente, potrei volere inconsciamente

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Dallo psichiatra Franco Lauria, riceviamo e pubblichiamo

La “vittima” non sempre è solo vittima, ma a volte anche carnefice. E viceversa.
Il provocare della vittima consiste nel non tenere in giusto conto il contesto spazio-temporale e culturale in cui si vive, insomma la realtà. C’è un deficit di realtà.
E la realtà umana è fatta anche da diversi tipi di uomini-maschi, uomini sereni e uomini non sereni, di uomini saggi e di uomini fragili, di uomini empatici e di uomini narcisi, di uomini miti e di uomini violenti, di uomini sani di mente e di uomini malati di mente, di uomini felici e di uomini infelici, di uomini tossicodipendenti e di uomini alcolisti, di ludopatici e di polidipendenti…

Realtà complessa, variegata, problematica. Il non volerne tenere conto, immaginando una realtà semplice e lineare di uomini sani, responsabili e tutti uguali, implica un eccesso di individualismo infantile e narciso da parte della vittima. La vita in società è un continuo equilibrio dinamico fra l’Io e il Noi. Un venirci incontro vicendevolmente.
Dare sempre ragione all’Io e torto al Noi oggi è l’ideologia postcapitalista del consumismo illimitato che promuove i desideri individuali e non accetta nessun No da parte del gruppo.
Invece la frase ” io non voglio” e il resto
devono essere inquadrati in un contesto più generale dove la comunicazione non è solo verbale, ma anche e soprattutto non verbale. Bisogna vedere il tono con cui lo dici, il modo come lo dici. La forma può smentire il contenuto. Bisogna valutare di caso in caso. Comunicazione verbale e non verbale. Comunicazione cosciente e non cosciente. Si rafforzano, vanno nella stessa direzione o sono in conflitto e vanno in direzione opposta? Freud e Pirandello sono i riferimenti psicologici e teatrali più pregnanti. E la psicologia americana di Palo Alto ha dato un contributo notevole a capire meglio le relazioni umane, le loro assonanze e le loro contraddizioni.
La comunicazione non verbale passa attraverso l’inconscio che può essere in sintonia o non in sintonia con la coscienza.
Posso dire No con la parola, ma Si con lo sguardo, con gli occhi o con i vestiti o con la gestualità, con il cuore… La vita è sempre contraddittoria e ambivalente.
La coscienza razionale è solo una superficie lievissima della mente umana che è invece un oceano inconscio profondissimo.
La mente, e quindi la personalità, è molto più ricca della coscienza. Se vogliamo far coincidere mente e coscienza torniamo a prima della psicoanalisi, cioè a più di150 anni fa.
Vogliamo negare la psicoanalisi? Vogliamo che la comunicazione non verbale conti meno di zero? Quanti di noi hanno litigato e detto “io non voglio” e poi invece lo hanno fatto, anche ferocemente e selvaggiamente? Il desiderio si nutre del divieto. O piuttosto questo nuovo femminismo vuole imporre una dittatura moralista, noiosa, banale, infantile della coscienza? Regressione e moralismo intrecciati mi sembrano i connotati culturali di questo “delirio” femminista ignorante e/o ipocrita.
(I maschietti femministi? Che pena).

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Interporto: “per uscire dall’impasse, c’è la speranza…”

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Dall’Associazione Interporto rappresentata dal dott. Marco Fasulo, riceviamo e pubblichiamo

“La provincia di Caltanissetta, ultima in Italia per reddito pro capite lordo, rappresenta una ferita aperta nel cuore della nostra nazione, un paradosso inaccettabile per un territorio così ricco di risorse naturali, di manodopera altamente specializzata e di posizioni strategiche nel crocevia delle comunicazioni globali.

Questa povertà non è figlia del destino, ma dell’incapacità cronica delle classi dirigenti di valorizzare un patrimonio unico nel suo genere. Eppure, una speranza concreta emerge come una luce in fondo al tunnel: la futura realizzazione di Interporto Gela, una struttura di importanza epocale che promette di trasformare non solo Gela e la Sicilia, ma anche l’Italia intera, proiettandola al centro della comunità economica europea e mondiale.

Grazie alla sua posizione privilegiata, punto di congiunzione naturale tra il Canale di Suez e il Mediterraneo, Interporto Gela rappresenterà la chiave di volta per una rinascita economica, abilitando la realizzazione di infrastrutture portuali avanguardistiche e di un Hub Containers nel Golfo di Gela. Queste opere saranno in grado di attrarre investimenti internazionali, creare migliaia di posti di lavoro e rendere il sistema logistico siciliano e italiano il più potente e competitivo del pianeta.

Con il futuro Ponte sullo Stretto di Messina, opera senza pari al mondo, l’Italia diventerà la piattaforma logistica più ambita del globo, una porta d’accesso privilegiata tra l’Europa, l’Africa e l’Asia, un esempio di innovazione e lungimiranza per le generazioni a venire.Questa visione non è solo un sogno, ma una promessa concreta di cambiamento, un impegno per riscrivere il destino di una provincia e di un popolo, restituendo dignità e prosperità a un territorio troppo a lungo dimenticato. Gela sarà il simbolo della rinascita, la Sicilia il cuore pulsante del Mediterraneo, e l’Italia il faro di sviluppo e modernità per il mondo intero”.

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Campetto Comunale di Manfria all’abbandono

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Riceviamo e pubblichiamo una nota del Comitato di Manfria a firma del presidente Maurizio Cirignotta

Che Manfria sia completamente posta all’abbandono questo è sotto gli occhi di tutti. Ma che le infrastrutture già esistenti vengano volutamente distrutte è solo uno scempio amministrativo che colpisce la Frazione di Manfria e tutti i suoi abitanti abituali, tra cui giovani ed altro.

La frazione, come si evince dagli atti amministrativi del Comune di Gela, non è stata considerata rispetto ad altri quartieri e non si è mai trovata una vera soluzione al processo di urbanizzazione e valorizzazione di questo territorio.

Ci troviamo di fronte ad un caso palese di gestione discutibile del bene pubblico che va denunciato in tutte le sue sfaccettature. Il campetto in questione, infatti, è stato oggetto di un progetto di riqualificazione collegato ai fondi della Democrazia Partecipata erogati dalla Regione Sicilia per il 2023.

La somma dedicata al progetto era di 59.800,00 euro collegata al recupero e riqualificazione del campo di calcetto sito nella frazione di Manfria come da protocollo generale del 13/10/2023 n.97286 ed utile alla realizzazione di un centro sportivo ricreativo polivalente di aggregazione giovanile e inclusione sociale, oltre che di svago per bambini, eventi sportivi e per la comunità di manfria. Il grave sospetto è che nella programmazione di bilancio della Regione Siciliana questi fondi non spesi siano stati incamerati nelle casse regionali come già fatto per altri comuni siciliani.

Tutto il direttivo rimane esterrefatto dalla valenza di una questa azione demolitiva voluta e perpetrata negli anni.

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
Publiedit di Mangione & C. Sas - P.iva: 01492930852
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