14 agosto 2014. Il giorno prima la convocazione ai giornalisti: tutti al Comune: arriva Matteo Renzi, ai tempi presidente del Consiglio dei Ministri. Fra i corridoi del Palazzo di Città si respirava una strana aria di festa. Ma Renzi non portava buone notizie, benché abbia provato ad addolcire la pillola e convertire l’annuncio della chiusura dello stabilimento petrolchimico come un passaggio verso altre tipologie di attività industriali e nuove speranze per la rinascita della città già in agonia. Il tutto sotto gli occhi della politica.
E fuori dal Palazzo un esiguo gruppo di protesta per il lavoro. Nulla a che vedere con il fiume di gente che nel 2001 aveva lanciato lo slogan: meglio morire di tumore che di fame, invocando la riapertura degli impianti fermati per lo spettro del pet-cocke fuori legge.
Ma il sentore c’era da anni, come anche la volontà della multinazionale. Il sito di Gela andava dismesso. Dopo avere portato illusioni, cambio di prospettive, il boom economico in coincidenza col dopoguerra e inquinamento.
Il numero dei dipendenti dello stabilimento petrolchimico era già passato dai 12.000 degli anni ’80, ai poco più di 2000 del 2014.
Sono passati 10 anni e Gela annaspa ancora. Il mito dell’industria green sembra svanire ogni giorno di più. I pochi operai rimasti in servizio a Gela sono stato trasferiti. È iniziato il primo esodo. L’industria green non ha portato nuovi posti di lavoro. Nel frattempo le viscere della terra hanno restituito nuove testimonianze del passato lontano, facendo riaccendere la speranza di una nuova economia fondata sul turismo.
La nave del V secolo a.C. è stata restaurata ed esposta al pubblico, ma solo per una stagione. Il suo museo realizzato ad hoc è pronto ma non fruibile.
Il mare è tornato allo splendore dei mitici anni ’50 e rispecchia i versi di Quasimodo ma non basta a coprire la fame di lavoro che resta una piaga sanguinante. Il progetto Argo -Cassiopea è andato avanti. Non lo stesso si può dire per il porto: neppure i 5 milioni e mezzo sono stati spesi per il restyling.
Nel frattempo l’emorragia di trasferimenti non si è fermata. A migliaia i gelesi sono partiti per cercare lavoro, pur restando residenti. Ma la città è sempre più vuota.
Proliferano i B&B, ultima speranza di una economia alternativa. Ma il lumicino della rinascita è ancora lontano…
E il sogno di Enrico Mattei che a Vieste, in Puglia, ha fatto decollare un’economia inesistente, facendo transitare dal centro modesto, due milioni di turisti, a Gela si è frantumato in mille pezzi..