Torino – È diventato un ‘caso’ quello di via Cellini, all’Asso di Bastoni, teatro dell’aggressione fascista al giornalista Andrea Joly. La Digos, che sta indagato, ha identificato quattro degli aggressori legati a Casapound: si tratta di: Euclide Rigato, Maurizio Galiano, Igor Bosonin e Marco Berra.
Le perquisizioni hanno riguardato anche le abitazioni degli indagati, dove sono stati trovati gli abiti usati durante l’aggressione. Via Cellini, frequentata da simpatizzanti di estrema destra, è stata chiusa al traffico. Gli investigatori stanno esaminando le immagini delle videocamere e raccogliendo testimoni.
“Un mese fa, a seguito dell’inchiesta di Fanpage, Giorgia Meloni dichiarava: ‘questi sono i metodi che usavano i regimi’, andando quindi a denunciare più che le verità emerse dall’attività giornalistica, la troppa e incontrollabile libertà di azione del giornalismo. – ”Lo ha affermato il Senatore Segretario di Presidenza del Senato Pietro Lorefice –
Oggi ci risiamo: la narrazione della maggioranza sul caso Joly ci mostra ancora una volta come l’indignazione nei confronti delle verità emerse, ovvero della oggettiva violenza messa in atto da esponenti di Casapoud ai danni del giornalista, viene invece mitigata da una presunta corresponsabilità di Joly.
Il tutto suona come un vile quanto agghiacciante “se l’è andata a cercare”, che se immerso, da un lato in un clima di violenze neofasciste, dall’altro in un momento buio per la nostra libertà di stampa, crea non poche preoccupazioni in chi crede fermamente nella libera informazione e ancora prima nella democrazia in ogni sua forma.
Questo è solo uno dei tanti sintomi di una maggioranza bisognosa di controllo, modo di governare che mal si concilia con la tutela del pluralismo, della libertà di stampa, e ancor prima di un dialogo reale tra politica e persone.Viste le circostanze, è decisivo che adesso si facciano passi lunghi e rapidi per garantire che nessuna voce legittimamente libera venga messa a tacere. La libertà di informare e la tutela da qualsivoglia violenza non sono negoziabili: sono il minimo sindacale per un Paese che si proclami democratico”.