“Eravamo una famiglia di quattro persone…Eravamo, ora non più. Mio marito è stato ucciso perché ha denunciato il pizzo, perché si è ribellato agli estorsori della Stidda di Gela, e su cinque che hanno denunciato il pizzo, “a sorteggio” è uscito lui. Uno doveva morire per dare la lezione a tutti”. Le parole pronunciate giorni addietro da Franca Evangelista, nel corso di un incontro che si è tenuto presso l’Istituto minorile di Caltanissetta, risuonano più che mai nella coscienza di tutti noi. Oggi più che mai. Perché oggi (se qualcuno lo avesse dimenticato…) ricorre il 31′ anniversario dell’uccisione del profumiere Gaetano Giordano, vittima della sanguinaria sfida ai commercianti, alla popolazione, allo Stato, messa in atto, in quegli anni terribili, dalla mafia locale.
Ucciderne uno per educarne cento…
Gela era terra di nessuno, comandavano loro. Il territorio era monopolizzato da Cosa Nostra e Stidda. Prima una guerra senza esclusione di colpi con morti ammazzati ovunque; poi la decisione di siglare una pax e dividere in parti uguali le somme delle estorsioni, controllare lo spaccio di droga e monitorare gli appalti pubblici. E chi si ribellava al disegno criminoso delle “famiglie”, aveva il destino segnato. Terrorizzati dalle ritorsioni, pagavano tutti, anche il piccolo bottegaio. Il ritrovamento del libro mastro, durante una perquisizione nel quartiere Scavone (il Bronx della città), ha confermato che i commercianti gelesi erano finiti nelle grinfie degli estorsori. Quel libro rinvenuto dai Carabinieri, rappresentava il simbolo, lo strumento di crudele costrizione e sopraffazione a cui i negozianti erano sottomessi. C’erano nomi, indirizzi e somme da versare. Ogni mese. Uno scadenzario del crimine. La paura era tanta, “dunque meglio pagare e non avere problemi”. Si pagava per il quieto vivere. Le organizzazioni criminali hanno sempre puntato sulla violenza fisica e anche psicologica, costringendo le vittime ad un ragionamento, sicuramente illogico e figlio della paura: se pago mi lasciano in pace, se invece non pago mi metto contro un potere criminale e quindi devo affrontare una serie di pericoli, minacce, violenze che minano la mia tranquillità e quella della mia famiglia. C’è stato però chi non ha dato linfa alle casse dei mafiosi e purtroppo ha pagato con la vita.
La sera di 31 anni fa, i killer attesero Giordano sotto casa, in via Verga, assassinandolo dinnanzi agli occhi del figlio Massimo.
Ucciderne uno per educarne cento…
E la paura aumentava sempre più. Testimonianze rese successivamente ai processi, hanno confermato quanto si sussurrava in giro: per evitare qualsiasi problema, alcuni commercianti chiedevano all’amico dell’amico di “volere mettersi a posto”, anticipando – di fatto – la visita nel proprio locale degli emissari delle estorsioni. Ecco l’aspetto psicologico di cui parlavamo prima, perché – come sostengono gli esperti in materia – la paura è un’emozione dominata dall’istinto (cioè dall’impulso) che ha come obiettivo la sopravvivenza del soggetto ad una suffragata situazione di pericolo. Il pericolo, in quegli annunci, era dietro l’angolo tanto da indurre Giorgio Bocca a definire Gela, “l’anticamera dell’inferno”.
Siamo nel 2023, sono passati più di 6 lustri da quella tragica sera e onorare Gaetano Giordano è un modo per prendere il controllo del dolore e trasformarlo in qualcosa di positivo. Così come ha sempre fatto la vedova, che è rimasta a Gela e continua a diffondere, con forza e determinazione, la propria testimonianza per un futuro migliore, con un carico di speranza ed incoraggiamento…
Senza proclami e passerelle.