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Giudiziaria

Amianto nelle navi della Marina Militare: la Difesa condannata a risarcire i familiari di un elettricista morto

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Roma – Il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Difesa ad un risarcimento ai familiari dell’elettricista e sommozzatore di bordo Salvatore Carollo di Palermo:  270mila euro per la vedova, Rita Randino, e 230mila euro ad ognuno dei 3 figli Giuseppe, Angelo e Giovanni Luca, per una somma complessiva di 950mila euro. L’uomo è morto nel 2019 a 63 anni per un mesotelioma pleurico causato dall’amianto respirato sulle navi della Marina, ma anche nelle postazioni a terra.

Dopo il decesso i familiari della vittima del dovere si sono rivolti all’Osservatorio Nazionale Amianto e al suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, per ottenere il risarcimento lamentando che durante tutto il servizio svolto dal 1972 al 1978, l’uomo fosse stato esposto a terra, e sulle navi Loto, Gaggia, Giaggiolo, Ape, Grado e Indomito, ad elevate concentrazioni di polveri e fibre di amianto. Questo avrebbe causato la malattia e poi, purtroppo il decesso.

“Continua la strage di mesoteliomi tra coloro che hanno svolto servizio nella Marina Militare. Auspichiamo che si portino a termine le bonifiche e si risarciscano le vittime come più volte richiesto dall’Ona” – ha rilevato Bonanni.

La presenza dell’asbesto è stata riconosciuta dallo stesso ministero che, con atto della Marina Militare, Dipartimento Militare di Medicina legale di Messina, nel processo verbale n. 1450 del 2018, ha riconosciuto l’infermità “mesotelioma pleurico epitelioide” contratta dal militare, anche se la patologia si è manifestata a distanza di 40 anni, essendo normale un periodo di latenza così lungo.

L’esposizione all’amianto, a terra e a bordo delle navi militari, è ormai conclamata, la fibra killer si trovava in diverse zone delle imbarcazioni: dalla mensa ai servizi igienici, dai corridoi ai servizi alloggi, compresi quelli degli Alti Ufficiali. Il militare è stato a contatto con l’amianto, inoltre, durante la manutenzione dei dispositivi e degli impianti elettrici. Dai generatori diesel alle pompe dell’acqua vi era una elevata aero dispersione di polveri e fibre di amianto, per di più accentuata dall’utilizzo di guanti ed altri dispositivi sempre in amianto in assenza di aspiratori generalizzati e localizzati delle polveri.

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Giudiziaria

Bancarotta fraudolenta, gelese condannato

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La Polizia di Gela ha arrestato un cinquantenne in esecuzione di un ordine di cattura per espiazione di una pena detentiva in regime di detenzione domiciliare, emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Caltanissetta, a seguito di sentenza definitiva della locale Corte d’Appello. L’uomo deve scontare 3 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta.

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Giudiziaria

Cassazione: il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, non dovrà restituire somme

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Roma – Il Direttore originario di Campobello di Licata non dovrà restituire alcuna somma all’Agenzia delle Entrate. La Suprema Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso in cassazione e condanna l’Agenzia al pagamento delle spese di lite.

Nel 2018 l’Agenzia delle Entrate notificava al dipendente L.R.G. un provvedimento di ingiunzione per il recupero delle somme, allo stesso già corrisposte, a titolo di retribuzione di risultato per l’annualità 2013, sulla base dell’asserita valutazione negativa dell’attività svolta in qualità di Direttore dell’Ufficio Provinciale di Caltanissetta dell’Agenzia delle Entrate. Conseguentemente il Dott. L.R.G., originario di Campobello di Licata, con il patrocinio degli Avv.ti Girolamo Rubino e Mario La Loggia, impugnava il provvedimento di ingiunzione innanzi al Tribunale di Palermo, in funzione di Giudice del Lavoro.

L’azione veniva avversata dall’Agenzia delle Entrate che in giudizio sosteneva la legittimità del provvedimento recuperatorio delle somme. All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Palermo dichiarava nullo il provvedimento di ingiunzione di pagamento e, inoltre, rilevava come nessuna pretesa restitutoria avanzata dall’Amministrazione poteva ritenersi fondata.

Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva appello innanzi alla Corte di Appello di Palermo, chiedendone la riforma oltre alla condanna del lavoratore al pagamento della somma ingiunta.

Per resistere all’azione legale si costituiva nel giudizio di appello il Dott. L.R.G., sempre con il patrocinio degli Avv.ti Rubino e La Loggia, che eccepivano sotto vari profili l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione e l’infondatezza dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Gli Avv.ti Rubino e La Loggia, rilevavano in giudizio l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione, poiché posto in violazione dell’art. 7 del Codice di Comportamento dell’Agenzia delle Entrate, in quanto l’allora Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate si sarebbe dovuto astenere dal valutare, nel 2016, l’operato del Dott. L.R.G., in ragione delle accertate acredini sorte, in precedenza tra i due.

I legali, evidenziavano che il Giudice di primo grado aveva correttamente basato il proprio convincimento in forza di un precedente giudizio (celebratosi innanzi al Tribunale di Enna), che aveva accertato la natura vessatoria e manifestatamente mobbizzante di alcuni provvedimenti emanati dall’ex Direttore Regione dell’Agenzia delle Entrate in danno dell’appellato e, dunque, come lo stesso si sarebbe dovuto correttamente astenere dal procedere alla valutazione delle performances del Dott. L.R.G., in applicazione dell’art. 7 del Codice di Comportamento dell’Agenzia delle Entrate. Inoltre, i predetti difensori deducevano in giudizio l’illegittimità della valutazione operata dal Direttore Regionale per carenza assoluta di legittimazione, in quanto la valutazione negativa relativa all’anno 2013 emanata nei confronti del Dott. L.R.G. non era stata compiuta entro l’anno 2014, bensì era stata predisposta solamente nel 2016 e, quando l’allora ex Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate risultava già in quiescenza, dunque tale provvedimento avrebbe dovuto considerarsi viziato da carenza di potere.

All’esito dell’udienza di discussione tenutasi nel settembre 2023, la Corte di Appello di Palermo, condividendo le argomentazioni difensive sostenute dagli Avv.ti Girolamo Rubino e Mario La Loggia dichiarava infondato l’appello proposto dall’Agenzia dell’Entrate e confermava la sentenza di primo grado, oltre a condannare detta Agenzia al pagamento delle spese processuali in favore del Dott. L.R.G.

La pronuncia è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso in Cassazione. Al fine di resistere all’azione, con controricorso in Cassazione si costituiva in giudizio il Dott. L.G.R., sempre con il patrocinio degli Avv.ti Rubino e La Loggia. I difensori oltre a rilevare l’infondatezza del ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, ne eccepivano in primo luogo l’inammissibilità dello stesso, in quanto detta Agenzia non aveva impugnato anche il capo della sentenza della Corte di Appello di Palermo che aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di ingiunzione per carenza assoluta di potere in Capo all’ex Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, pertanto, in relazione a tale capo della sentenza si sarebbe dovuto ritenere formato il giudicato, con conseguente inammissibilità del proposto ricorso per difetto di interesse a ricorrere.

La Corte Suprema di Cassazione, condividendo le tesi difensive sostenute dagli Avv.ti Rubino e La Loggia e rilevata l’inammissibilità del ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate ha formulato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. una proposta di definizione del giudizio che è stata comunicata alle parti. Ebbene, con decreto del 06.11.2024, la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che risultava decorso il termine di 40 giorni entro cui l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto chiedere la decisione del ricorso, per cui a norma dell’articolo 380 bis co. II c.p.c. è stata dichiarata l’estinzione del predetto giudizio in cassazione ed inoltre, è stata condannata l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del Dott. L.R.G. Per l’effetto, della sentenza, cha ha confermato l’illegittimità del provvedimento di ingiunzione, il Dott. L.R.G. non dovrà restituire alcuna somma all’Agenzia delle Entrate.

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Giudiziaria

Sentenza storica sull’obbligo vaccinale del giudice Vaccaro

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Arriva un sentenza storica sul tema obbligo vaccinale e porta la firma del giudice Veronica Vaccaro che per 12 anni ha prestato servizio al Tribunale di Gela ed adesso opera a Velletri.

Il giudice ha creato un precedente ed ha smantellato il teorema del “non ti vaccini, fai morire” dell’allora premier Draghi che impose il green pass. La sentenza n. 1493 del 24 ottobre 2024 della Dr.ssa Veronica Vaccaro,  giudice del Tribunale di Velletri ha annullato il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di una dipendente del settore sanitario per non essersi sottoposta al vaccino Covid in violazione degli artt. 32 e 4 Cost, degli artt. 5 e 26 della Convenzione di Oviedo e dell’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, condannando il datore di lavoro alla restituzione delle retribuzioni per tutto il periodo di sospensione.

La donna asseriva che la normativa introdotta nel 2021 fosse sostanzialmente incostituzionale.

 Questa la decisione del giudice Veronica Vaccaro che ha accolto il ricorso della lavoratrice ed ha evidenziato alcuni elementi che non passano inosservati, come il fatto che il “siero” sia “inefficace”.

L’analisi tecnico-scientifica seguita dal Tribunale è nata dalla distinzione tra prevenzione della malattia e prevenzione dell’infezione, ricordando come “nel caso specifico della malattia COVID-19, malattia determinata dall’infezione dell’agente infettivo Sars Cov-2. In questo caso si sono adottati vaccini specifici autorizzati per la prevenzione della malattia Covid-19 ma non della trasmissione del virus Sars Cov-2”.

A tale risultato si è giunti attraverso l’analisi dei documenti ufficiali di EMA, di AIFA e delle schede tecniche dei vaccini (ove non si prevede tra le indicazioni terapeutiche la prevenzione dell’infezione da Sars Cov-2), in base ai quali essi potevano -e possono- essere utilizzati a carico del SSN per la sola prevenzione della malattia Covid-19 e non per la prevenzione della trasmissione del virus Sars Cov-2.

Ed infatti ad oggi nel nostro paese non esistono  medicinali/vaccini con indicazioni in scheda tecnica che prevedano la prevenzione dell’infezione da Sars Cov-2, per cui l’utilizzo di tali farmaci per la prevenzione del virus è stato fatto OFF LABEL (ossia l’impiego di medicinali per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata in scheda tecnica), ma senza alcuna autorizzazione preventiva a tale tipo di utilizzo.

Inoltre, i vaccini “non potevano essere somministrati sui guariti”, poiché questi ultimi non venivano mai citati nelle relative schede tecniche come possibili destinatari della vaccinazione. Ragion per cui la sospensione è illegittima, in quanto la norma del 2021, il cosiddetto obbligo vaccinale esteso progressivamente a tutte le categorie, si basava su “finalità che sono risultate insussistenti in termini tecnico-scientifici per l’inefficacia dei vaccini a prevenire la trasmissione dell’infezione”.

L’azienda è adesso obbligata a risarcire la sanitaria perché la sospensione è avvenuta in base a una normativa in contrasto con gli articoli 4 e 32 della Costituzione, con gli articoli 5 e 26 della Convenzione di Oviedo e con l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

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