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Le ricette siciliane in rima di Maria Grazia Fasciana

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Canti popolari, versi in dialetto, dialoghi intriganti, profumi di Sicilia e fantasia in cucina. Sono gli ‘ingredienti’ che hanno animato la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Maria Grazia Fasciana, ieri sera al club ‘La Vela’ che ha ospitato l’evento.

‘Sicilia Cibo e Poesia: ora ti cuntu, un viaggio tra cucina, storia e poesia’ dove non manca l’enologia, è stato scandagliato con racconto di antiche ricette siciliane in dialetto ed in rima narrate come un avveniva un tempo lontano, quando attraverso la voce venivano tramandate da madre in figlia. La serata si è aperta con un canto popolare interpretato con entusiasmo tale da coinvolgere il pubblico da Rosalba Piva e con la lettura accattivante di una poesia-ricetta ad opera di Giovanna Samparisi seguita dalla chitarra di Rosario Ragusa. La giornalista Liliana Blanco ha introdotto il tema spaziando fra gli input filologici ed etimologici che offre il testo, le battute esilaranti che hanno tenuto il pubblico attento e divertito e le incursioni storiche che ogni tempo prevede. Si, perché le ricette proposte dall’autrice sono antiche : alcune nascono nell’antica Roma, altre ai tempi biblici, altre alla corte di Federico II di Svevia, fino ad arrivare agli anni 60 quando le famiglie si riunivano per lavorare ‘l’astrattu’ di pomodoro.

“Ciò che mi ha spinto a scrivere il libro- ha detto Maria Grazia Fasciana –  è la duplice passione per la poesia ed il cibo, oltre alla curiosità di conoscere sia l’origine di alcuni termini dialettali, sia la storia delle varie ricette.

Ho tratto ispirazione dal modo in cui mi venivano spiegate le ricette antiche da mia nonna, da mia madre o da mia suocera le quali usavano la lingua siciliana da cui veniva fuori una musicalità che mi ha ispirato la descrizione in rima.

Gran parte delle ricette sono trascritte in rima ed elevate quindi al rango di poesia, perché il cibo è anche poesia, esso è parte integrante della vita e del genere umano. Nelle scienze, spesso, l’uomo si identifica con ciò che mangia. Quando il cibo non è solo necessità di sfamarsi può diventare poesia, perché delizia il palato e diletta la mente, perché allora non canzonarlo attraverso le rime. Il cibo è anche cultura, andando alla ricerca delle origini delle ricette e delle parole ho scoperto quanto fossero legate alla storia della Sicilia.

Ho usato il dialetto proprio per riprendere quel modo in cui mi venivano raccontate, e volevo trasmetterle, recuperarle, conservarle con la stessa lingua con la quale sono nate. Anche il nostro dialetto è una grande fonte di cultura. Quando ero bambina era  una lingua di cui vergognarsi, bisognava quasi metterla alla gogna, abbandonarla, perché si temeva che il suo uso ci impedisse l’apprendimento della lingua italiana. Invece è una lingua da rivalutare perché ricca di storia e rivelatrice delle nostre origini. Del esto il dialetto siciliano è una lingua vera e propria con delle sue regole grammaticali e con i suoi tempi verbali, anche se quasi priva della coniugazione al futuro.

La lingua che maggiormente ha influenzato il dialetto siciliano è quella greca ( anche se in diversi periodi storici), molti dei termini di origine greca li troviamo nelle ricette in questo libro, come: cuddura o cudduruni che deriva dal greco kollura che significa corona o pane di forma circolare, o  Babbaluciu, cirasa, fasolu, bummulu, tumazzu.

Tantissimi termini dialettali sono di origine araba, così come tante ricette di cucina.

E’ di origine araba “a nunnata” o “muccu” deriva dall’arabo samuk ( pesce) ed indica dei piccolissimi pesci appena nati, a volte di consistenza gelatinosa.

Cabuciu deriva dall’arabo Kabba, teste rovesciate , e indica due pizzette accoppiate; di origine araba è cabasisi da hab azziz divenuto poi cabbazziz;

Alcuni termini derivano dal latino, come cunzari, condire, dal latino comere, mettere insieme, unire. Tra un paese e l’altro della Sicilia c’è una differenza, a volte notevole sia nei nomi quanto nella loro pronuncia. Il pesce capone, per esempio, ha una marea di nomi dialettali, si può chiamare: capuni, capunissa, cuccu, fasciana, fascianu, furcatu, martidduzzu, mulinaru, pisci-papa, tiega, tirinchiuni, pauni, lambuca, etc. La cernia che può essere bianca, nera, dorata, di scogghiu, di petra, di funnu, ha diversi nomi: scirenga, addottu, wranga.

La morena si chiama murina o garciuni dalla radice gara con significato di spirale, ma si chiama anche marajiuni cioè dritto  o quadaruni, furbo. Perché è un pesce non solo furbo nel non farsi prendere, ma anche a catturare.  

Spesso in dialetto usiamo il termine tamarru, per indicare una persona, grossolana, rozza, poco raffinata. Il termine deriva dal dialettale ‘ntamarratu che significa marinato, condito ed indica una salsa marinata o una carpionatura del pesce. Un altro termine particolare è zogghiu, che indica una salsa unta e probabilmente deriva dall’arabo maltese zejjet.

Poi ci sono termini come ‘ncasciari che significa mettere in cassa, infatti la pasta ’ncasciata è la pasta al forno , in uso in tutta la sicilia, ma in particolare a Mistretta,  o ‘ngraciari che significa abbrustolire, facendo assumere alla pietanza lo stesso colore del granchio”.

Il libro SICILIA CIBO E POESIA non è solo un libro di antiche ricette, ma è una fonte di informazioni storiche sulla Sicilia e le sue origini, non è un libro da sfogliare e guardare, ma da studiare perché leggendolo bene troveremo, oltre alla bellezza delle rime, curiosità e notizie davvero sorprendenti.  

Dulcis in fundo l’excursus sui vini curata da Enrico Toscano il quale abbina sapientemente, essendo un maestro assaggiatore ONAV, i vini alle ricette descritte e fornisce notizie dettagliate sui vari vitigni autoctoni siciliani, compresi quelli antichi. Toscano ha raccontato non solo quali sono gli abbinamenti più idonei per il palato ma anche episodi e storie antiche sui vini e sugli assaggi di cui è rappresentante di spicco in Sicilia.

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Il 25 aprile a Gela

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Il Comune di Gela ha celebrato la Libertà, la Democrazia, il coraggio di donne e uomini che hanno lottato per consegnarci un’Italia libera dall’oppressione e dalla dittatura con un raduno di associazioni e rappresentanze istituzionali per la classica deposizione della corona d’alloro al monumento dei caduti .

Gela ha ricordato ed onorato la memoria di caduti della Resistenza e di tutti coloro che, con il sacrificio e l’impegno civile, hanno reso possibile la nascita della nostra Repubblica.

” L’Amministrazione Comunale – ha sottolineato il sindaco Di Stefano- ribadisce con forza il valore dell’antifascismo e della partecipazione democratica come fondamenti imprescindibili della nostra comunità.

Il 25 Aprile non sia solo una data da ricordare, ma un impegno da rinnovare ogni giorno, per costruire una città più giusta, libera e solidale”.

Peccato che questa testimonianza è stato ascoltato da uno sparuto numero di cittadini adulti! Messaggi di questo tipo dovrebbero essere destinati alle giovani generazioni.

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25 aprile, Festa della Liberazione

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Il 25 aprile in Italia si celebra la festa della Liberazione dal nazifascismo. L’occupazione tedesca e fascista in Italia non terminò in un solo giorno, ma il 25 aprile è considerato una data simbolo perché nel 1945 coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della Repubblica di Salò dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere il controllo delle città.

La decisione di scegliere il 25 aprile come “festa della Liberazione” (o come “anniversario della Liberazione d’Italia”) fu presa il 22 aprile del 1946, quando il governo italiano provvisorio – il primo guidato da Alcide De Gasperi e l’ultimo del Regno d’Italia – stabilì con un decreto che il 25 aprile dovesse essere “festa nazionale”.
La data fu fissata in modo definitivo con la legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi in Senato nel settembre 1948. Da allora, il 25 aprile è un giorno festivo, come le domeniche, il primo maggio, il giorno di Natale e la festa della Repubblica, che ricorre il 2 giugno. La guerra in Italia non finì il 25 aprile 1945, comunque: continuò ancora per qualche giorno, fino agli inizi di maggio.

Durante la seconda guerra mondiale furono molti i volontari, uomini e donne, che rischiarono tutto per sconfiggere il nazifascismo. Il secondo conflitto mondiale ha infatti due facce. La prima è quella rappresentata dalle schiere degli eserciti regolari, di cui sono noti i nomi dei generali e dei capi di stato, dei luoghi delle battaglie decisive. La seconda è invece la guerra clandestina dei popoli vinti, combattuta nell’ombra dalle formazioni partigiane. La Resistenza in Europa assume caratteristiche che variano da paese a paese, ma il fine è ovunque identico: la liberazione del territorio nazionale, da cui dipende l’avvenire di tutti

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Interruzione della condotta Ancipa – Blufi

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Caltanissetta- Il fornitore di sovrambito Siciliacque ha comunicato nella tarda serata di ieri che, a causa di un guasto riscontrato lungo la condotta Ancipa – Blufi, ha dovuto interrompere la fornitura destinata ai comuni di Caltanissetta, San Cataldo e Serradifalco.

Caltaqua – Acque di Caltanissetta SpA, gestore del servizio idrico integrato per il territorio della provincia di Caltanissetta, ha consequenzialmente rimodulato la programmata distribuzione come di seguito indicato in dettaglio:

Caltanissetta: restando operativa solo la fornitura dall’acquedotto Madonie per circa 75 l/s, non sarà possibile garantire l’erogazione H24 ad eccezione delle utenze Ospedale e Carcere che saranno regolarmente servite. Distribuzione garantita altresì nel centro storico Sant’Anna e Centro Balate.

San Cataldo: distribuzione sospesa.

Serradifalco: distribuzione sospesa

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Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
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