La “sentenza” arrivò quella domenica mattina, e ovviamente fui condannato: non sarei andato alla partita. Ero troppo piccolo per potermi sedere in tribuna al “Presti” e tifare la mia squadra del cuore, la Juveterranova, che nel pomeriggio avrebbe sfidato il Chieti nel ritorno della finale play-out del campionato 1997/98. Una partita definita “ad alto rischio” e quindi non adatta ad un bambino di quasi otto anni. Ancora oggi, se ci penso, mi arrabbio per non aver avuto la possibilità di assistere dal vivo ad una giornata storica per lo sport nella mia città. Ma tant’è.
Per guadagnarsi la salvezza i biancazzurri avrebbero dovuto compiere un’impresa da libro di storia, anzi da libro di epica. Dopo aver perso 3-0 (si, tre a zero) nella gara d’andata in Abruzzo, ai gelesi serviva di fatto un miracolo degno di santità, come ci ricordava a noi della tribuna il buon “Dominic” Morello tutte le volte che la squadra segnava, e lui esultando mostrava alta e fiera un’immaginetta di Padre Pio da Pietralcina.
La sera della gara d’andata vidi la replica della partita in differita, in tv su un’emittente privata. Se non fosse stato per il grande e compianto Totò Brugnano, avremmo potuto benissimo perdere anche 5 o 6-0. Invece il “3-0” lasciava spazio a qualche residuo di speranza. La notte prima del match fu agitata in casa Juveterranova, la posta in palio era altissima. Mister Fofò Ammirata racconta di essersi alzato alle 5.30 e di aver camminato da solo per ore a Macchitella, cercando di scaricare la tensione. Eppure i ragazzi ci credevano: «Nonostante tutto eravamo convinti di potercela fare», ricorda Dario Di Dio.
Era importante segnare subito, e così accadde: fu Angelo Consagra a portarci in vantaggio. Primo tempo che chiudiamo sull’1-0 e speranze che resistono. Poi arrivò l’espulsione di Di Dio (un’ingiustizia) e lì per molti sembrava finita, ma ancora Consagra, ancora di testa, diede nuova linfa al sogno salvezza. Un rigore clamorosamente non concesso a Roberto Conte, poi il tiro di Italiano deviato in rete da un difensore abruzzese: fu l’apoteosi, in campo e sugli spalti ci si abbracciava ubriachi di gioia, la curva “Boscaglia” in un vortice splendente di entusiasmo e passione.
Una partita incredibile, un momento storico di quelli che soprattutto in questi tempi difficili è bello ricordare, giusto per poter dire “Io c’ero”. Io non c’ero, in realtà, ma attesi con la giusta dose d’ansia il risultato finale e ne fui ovviamente felice. È da giornate del genere che impari come lo sport, il calcio in questo caso, possano unire una città e regalare momenti di indescrivibile gioia. Rievocarli fa bene al cuore, sperando che presto si possa davvero tornare ad abbracciarsi esultando ad una vittoria, sia in campo che sugli spalti.