Un taglio del nastro che ha tutto il sapore della rinascita economica e psicologia. La 40° Sagra del carciofo di Niscemi è stata inaugurata ed ha già superato il primo esame. Ieri sera i primi visitatori hanno sfilato fra gli stands che verranno occupati al top entro oggi. Al Largo Mascione è stata una vera festa, fra sfilate della banda e carretti siciliani bardati per l’occasione. Una festa per il carciofo nostrale che ha ottenuto il brand di prodotto slow food che lo proietta nel panorama internazionale in termini di produzione ed di commercializzazione.
“E’ stata una corsa contro il tempo – ha raccontato il sindaco Massimiliano Conti – durante la trasmissione di Radio Gela Express, Radio InSagra – la 40° sagra era quasi pronta nel 2020 quando abbiamo subito il primo stop dovuto al lockdown. Quest’anno il Governo ha dato il via alle manifestazioni appena un mese fa ed è stata una corsa contro il tempo, ma ce l’abbiamo fatta ed adesso la Sagra è una realtà”.
Ieri spettacolo contro la guerra a cura di Nunzio Bonadonna sul progetto di don Giuseppe Cafà e poi Toti e Totino. Stasera alle 21 in piazza Vittorio Emanuele spettacolo di danza acrobatica ed in piazza Ragusa spettacolo musicale e di danza. Dalle 19 in poi la diretta di Radio Gela express nel Largo Mascione.
Storicamente, a Niscemi, l’agricoltura era votata alla produzione di grano duro, quasi sempre in rotazione con orzo e fava. Già a metà dell’800, la nuova disponibilità di risorse irrigue permette la diffusione delle prime carciofaie. Inizialmente coltivato per un consumo locale, il carciofo di Niscemi raggiunge presto i mercati siciliani grazie a una prima coltivazione a pieno campo registrata nel 1874.
Nel primo ventennio del ’900 raggiunge i mercati generali di Roma: i carciofi vengono sistemati in “cufina”, contenitori di canna e di palma nana, ricoperti con un canovaccio e, a dorso di mulo o nei carretti,raggiungono la stazione ferroviaria di Caltagirone per uscire dall’isola e proseguire fino alla capitale. Intorno agli anni ’80, a Niscemi, nascono le prime aziende di lavorazione e trasformazione del carciofo che producono ‘a carciofina (conserva tipica siciliana di cuori di carciofo).
Oggi è coltivato da pochissimi agricoltori che ne tutelano e valorizzano le caratteristiche. A partire dal secondo dopoguerra, infatti, da un lato ha preso piede la coltivazione della vite, che ha determinato un ulteriore disboscamento della macchia mediterranea, dall’altro si sono diffuse varietà di carciofo non locali, soprattutto il violetto di Provenza e il romanesco, che hanno sostituito tutte le carciofaie del nostrale per via della loro maggiore produttività e resistenza allo stress della commercializzazione.
Ancora oggi Niscemi è considerata la capitale del carciofo e i produttori del comprensorio realizzano oltre la metà della produzione siciliana. Tuttavia, la varietà storica è a fortissimo rischio di scomparsa.
L’ecotipo di Niscemi è inerme (senza spine) ed è denominato “il nostrale”, anticamente detto vagghiàrdu (il gagliardo). La pianta ha un aspetto vigoroso e può durare un biennio; i capolini hanno la forma di un calice, le brattee sono di colore verde chiaro con sfumature violette. Il ricettacolo, detto cuore, è compatto e la presenza di pappo o “barba” è scarsa in tutta la stagione.
Le sue caratteristiche organolettiche sono molto apprezzate: il gusto è delicato, aromatico e persistente. Il coefficiente di scarto è molto basso e facile la lavorazione. La stagione inizia a metà novembre, con un picco durante il periodo natalizio, continua poi fino a tutto aprile con le fioriture delle spalle.
Il consumo tradizionale è quotidiano. Gli agricoltori, in tempo di raccolta, iniziavano la giornata lavorativa all’alba facendo colazione con i carciofi arrosto, semplicemente cotti immersi nel carbone realizzato a base di sarmenti di vite e residui secchi di piante di carciofo. Ancora oggi questo è uno dei modi più semplici e comuni per gustarlo, condito con olio extravergine, sale, pepe. In cucina si prepara in molti modi, crudo e cotto, abbinato a formaggi locali e con ricette tradizionali conservate da una
ristorazione molto responsabile. La produzione di trasformati è ancora oggi legata soprattutto agli usi familiari; i carciofi sott’olio o sott’aceto sono spesso utilizzati come oggetto di dono tra le famiglie o gli amici.