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“Gela indietreggia sempre più”, il sound “amaro” del dj Tignino

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E’ indubbiamente uno dei dj produttori più apprezzati in Italia ed in Europa; uno dei più prolifici e più noti. Ed anche uno dei veterani nel suo campo. Sono esattamente 39 anni che svolge quest’attività. I quarant’anni di carriera, con l’approssimarsi del 2022, sono alle porte. Un traguardo lusinghiero per chi ha sempre amato la musica. E l’ha pure composta. Dal lontano 1982, l’anno in cui l’Italia vinse i mondiali di calcio in Spagna. Lui è Daniele Tignino, gelese doc. Un predestinato nel campo musicale. “Per forza di cose – dice – buon sangue non mente. Mio nonno è stato direttore di banda; mio padre è stato un operatore cinematografico e mio zio, un insegnante di violino e clarino al Conservatorio. Dunque la componente artistica in famiglia non è mai mancata, il percorso che mi attendeva era già segnato. Fin da piccolo mi dilettavo con la batteria. Non ti dico che frastuono in casa!!! Poi mi sono evoluto (ride) e ho cominciato a provare altri strumenti. Sono stato uno dei primi ad acquistare un campionatore. Sembrava un oggetto spaziale in quel tempo…”

Sei diventato negli anni uno dei punti di riferimento per tutti gli amanti e appassionati cultori della movida. La tua fama è indubbia, tutto questo ti fa piacere?

“Assolutamente si. Quando ti prefiggi degli obiettivi e li raggiungi, è veramente bello. Personalmente ho anticipato i tempi. Ho rischiato. Non era infatti semplice entrare in un nuovo mondo, assolutamente differente dagli altri generi ed eventi musicali. E con impegno e costanza, ho trasformato la mia passione in lavoro. Ricordo ancora con trasporto le prime serate al Koala Club di Gela. Fantastiche. La gente era entusiasta. Si era aperto un ciclo, fatto di puro e sano divertimento. Ho girato numerose piazze, spiagge, lidi, club, discoteche. Un successone”.

Hai avuto numerosi compagni di avventura nel tuo percorso professionale. Uno di questi è stato il compianto Vincenzo Graci, vittima (più di 15 anni fa) di un terribile incidente stradale sulla Gela-Catania, mentre stava dirigendosi verso il capoluogo etneo dove avrebbe dovuto tenere una serata. 

“Un amico fraterno, un grande sognatore innamorato della musica. Un bel talento in possesso di un’educazione esemplare. Amava volare alto. Più volte ho dovuto riportarlo con i piedi per terra, nella praticità più assoluta. La sua scomparsa rappresenta tutt’ora un vuoto incolmabile”

Il tuo rapporto con Vincenzo Callea?

“Un altro grande compagno di avventure. Un rapporto d’amicizia lunghissimo, che dura ancora adesso, sempre condito da rispetto reciproco. Avere costituito i Ti.pi.cal (acronimo dei cognomi Tignino, Piparo, Callea, ndr) è stato un fatto quasi naturale. Devi pensare che prima che cominciassimo a collaborare insieme, Vincenzo e’ stato un appassionato delle mie musicassette mixate…”

E Riccardo Piparo?

“Ripeto le stesse cose dette prima per Vincenzo. Un altro amicone. Le nostre strade professionali, dopo lo scioglimento ponderato del gruppo, si sono divise. Ciò non toglie che quando ci incontriamo, è sempre una festa”

Accennavamo ai Ti.pi.cal. Cosa ha rappresentato il gruppo nella tua crescita lavorativa?

“E’ stato importante, emozionante, stimolante. Direi determinante. Essere sulla cresta dell’onda, essere amati dai propri beniamini, essere intervistati da Albertino….tutto molto bello. La nostra forza è stata quella di proporre un mix originale tra house, pop innovativo e club. Il brano Illusion, vero tormentone nel 1994, l’ho scritto per la mia ex moglie”.

Altre collaborazioni che ti hanno portato al grande successo, sono state quelle con Pat Legato ed Ottavio Leo

“Pat è una macchina da guerra. Una collaborazione fantastica. Stiamo parlando di una persona che ha grandi intuizioni in ambito musicale. Abbiamo inciso “Psyco Radio”, un disco molto alternativo che ha avuto un enorme successo nel panorama underground. L’approccio con Ottavio è stato inizialmente lento; ho cercato di capire le qualità. Lui è un musicista rock anni 80, suona tanti strumenti. Col tempo, sono riuscito ad apprezzarne le doti indiscusse”.

Se ti dico Simple Minds, cosa mi rispondi?

“Altra occasione di crescita nella mia vita professionale. Ho conosciuto il leader del gruppo, Jim Kerr, per caso, durante una partitella a calcio. Eravamo a Taormina, città nella quale ho vissuto per quasi trent’anni. Lui era stato invitato da un suo grande fan. Lo portai a casa mia. Gli feci ascoltare alcuni miei pezzi. Se ne innamorò subito. E da lì è nata una proficua collaborazione che mi ha portato alla realizzazione di diversi brani che sono stati inseriti negli album e nei live show della storica band scozzese”

Segui più Sanremo o Amici?

“Nessuno dei due. Io amo seguire la strada, amo frequentare i locali. L’unico talent che finora ha sfornato dei veri campioni, è X Factor”.

C’è un gruppo musicale italiano che ti piace particolarmente?

“Non ho preferenze specifiche. Sono contento dell’exploit che stanno avendo i Maneskin. La loro è una musica di rottura col passato. Veramente bravi. Ed anche fortunati. Mi complimento con loro!”

Ed un gruppo a cui ti ispiri quando pensi di incidere un pezzo?

“Seguo con particolare interesse gli Editors e gli Archive, gruppi Indy molto avanti nel loro genere”

Il lavoro che fai, era quello che avresti voluto fare?

“Assolutamente si. Il mio amore più grande è proprio il lavoro che faccio”.

Il Covid ha negativamente influito sulle discoteche…

“Direi che la pandemia ha letteralmente annientato chi vive solo ed esclusivamente di discoteche. Una mazzata tremenda. E’ il settore più colpito, più penalizzato. Siamo stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire, rispettando doverosamente le norme. Però non c’è una logica in tutto questo: chi ci ha obbligato a chiudere, sono gli stessi politici che durante i loro comizi hanno coinvolto migliaia di persone in piazza, in barba alle restrizioni, senza alcun distanziamento sociale. C’è qualcosa che non mi torna…”

Vaccinato?

“Si! Però non ho alcuna certezza di quanto sta accadendo. In troppi parlano fuori dalle righe, creando un vero e proprio terrorismo mediatico. Parole dette male che infondono paure. Non c’è una spiegazione in tutto questo. Ognuno dice il contrario rispetto al suo interlocutore. E parliamo di scienziati. Si sapeva che ci sarebbero state delle varianti nel tempo; perché non siamo stati informati? Il vaccino è efficace al 100% o no? Le risposte che sento ogni giorno, mi lasciano interdetto. In giro ci sono troppi no vax? Obbligo vaccinale? Il governo deve assumersi le proprie responsabilità al fine di evitare qualsiasi scissione sociale. In libertà, ognuno farà quello che riterrà più giusto fare e personalmente io non sono nessuno per accusarli. Purtroppo girano troppi interessi attorno alle case farmaceutiche…”

A Gela ci sono tante belle risorse che potrebbero emergere anche in campo musicale. Perché tutto ciò non accade?

“Mancano gli spazi, non c’è alcuna possibilità per farti notare in assenza di veri e propri luoghi di aggregazione. Spiace dirlo, ma sono sincero: la città è regredita tantissimo rispetto agli anni passati”.

Dunque secondo te la politica locale è distante dalle esigenze dei giovani?

“E’ un dato certificato da quello che accade. Ci sono pochissime opportunità per chi vuole spiccare il volo. Io parlo con i giovani ed ascolto il solito ritornello: vogliono andarsene da Gela perché la città non li aiuta per nulla. Faccio due esempi pratici per capirci. Per sfondare nel loro campo lavorativo ed artistico, il cabarettista Giovanni Cacioppo e la chitarrista Simona Malandrino, hanno espresso il loro talento fuori dalla città natia. E continuano a farlo, con grande successo. La politica gelese deve darsi una mossa. Bisogna tornare ai fasti di un tempo e non lasciarsi scappare le eccellenze che il territorio offre. E non soltanto in termini lavorativi. Mi riferisco anche alle bellezze storiche che abbiamo. Nessuna valorizzazione dell’esteso patrimonio culturale: tutto questo mi fa rabbia e fa rabbia anche a parenti ed amici che ho invitato in questi anni a Gela”.

Rimanendo in tema di politica: qualcuno ti ha mai offerto un posto all’interno della macchina amministrativa?

“Ti dico solo che qualche anno addietro, conscio della mia popolarità, un noto personaggio politico mi chiese se potevo dargli una mano al fine di rilanciare l’immagine della città. Dissi di si. Chi si precipitò allora a contattarmi, non mi ha mai risposto al telefono. Manco ai messaggi…”

Che funzione hanno le radio nel promuovere un brano, un artista?

“Adesso molto meno rispetto a prima. Le piattaforme on line hanno preso il sopravvento e le emittenti radiofoniche ne risentono parecchio. Ci sono tantissime radio locali in difficoltà e questo spiace. Io ho fatto radio per tanti anni e so quanti sacrifici si fanno per garantire la continuità giornaliera. Sotto quest’aspetto, mi piace evidenziare il lavoro svolto dagli editori di Radio Gela Express, che c’hanno sempre creduto e continuano a farlo, con grande entusiasmo. Con Gaetano Casciana e Francesco Mangione non è escluso che si possa fare qualcosa insieme. Purtroppo, la pandemia ha bloccato sul nascere ogni iniziativa. Speriamo che finisca presto”.

Cosa ascolti in radio?

“Ascolto poco la radio. Troppi network propongono sempre la stessa musica in playlist banali. Comunque quelle poche volte, ascolto Virgin e Radio Montecarlo”.

Meglio la musica anni 80/ 90 o quella attuale?

“Meglio la musica. Quella fatta bene”

Cosa non sopporti?

“L’ignoranza che dà adito alla presunzione. Una volta un uomo saggio mi disse: devi avere  paura dell’ignoranza e non della cattiveria, perché quest’ultima sai come affrontarla. Quando parlo di ignoranza, mi riferisco all’ottusità, alla chiusura mentale. Rimango sconvolto quando in tv guardo dei programmi che creano dei mostri, uccidendo il talento. Mi mettono i brividi”.

La tua paura più grande?

“La sofferenza che posso subire e provocare negli altri”

Hai un portafortuna?

“No, non sono affatto scaramantico. Pensa che le più belle serate le ho fatte sempre di venerdì 17…”

La nostra piacevole chiacchierata è finita. L’orologio segna le 17.17. Sarà un caso?

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Ipse Dixit

Dal campo di calcio agli studi Rai, Righetti e il suo amore per Gela

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Sorpreso dalla mia telefonata, mi risponde provando a masticare il dialetto siciliano ma con scarsi risultati. Riesce solo nell’intento di pronunciare il termine “caruso”, dopodiché la sua cadenza laziale prende il sopravvento. Ed è un piacere ascoltarlo. 

Nato a Sermoneta (Latina), Ubaldo Righetti lo vediamo sovente in tv: è tra gli opinionisti di 90’ minuto di sabato e prima ancora di Notti europee su Rai 1.

Nel 2010 è stato ospite di Jacopo Volpi a Notti Mondiali, dove ha analizzato le azioni delle partite. Ha commentato inoltre con Gianni Bezzi alcune gare dei mondiali in Sudafrica.

L’estate del 2023 ha affiancato Dario Di Gennaro nella telecronaca di alcune partite dell’Europeo Under 21 per Rai Sport e ha uno spazio tutto suo in studio nel corso delle qualificazioni agli europei Under 21 del 2025 e della fase finale dell’Europa League 2023-2024 su Rai 1. Lo abbiamo ascoltato, assieme a Giacomo Capuano, nelle telecronache delle partite dell’Europeo Under 17. Tre anni fa, ha superato un delicatissimo momento, dopo il doppio infarto che lo ha colpito mentre giocava a padel. Ricoverato in terapia intensiva, con grande forza di volontà e con il prezioso intervento dei medici, ha vinto anche questa battaglia. La più dura. 

Nella sua schiettezza, Ubaldo (zio della showgirl Elena Santarelli) dice quello che pensa e pensa quello che dice, senza tentennamenti. E lo fa con estrema eleganza. Nella stagione 2000-2001, ha allenato il Gela Jt in serie C2. 

Ci racconti, a distanza di tanti anni, com’è nata la tua collaborazione con il club gelese?

“Fui scelto perché avevo da poco preso il patentino dall’allenatore e quindi stavo aspettando un’opportunità. Mi si è presentato il Gela e non ci ho pensato minimamente, non ho avuto dubbi sulla scelta. E’ stata un’esperienza unica che mi porto dietro, la più bella in assoluto da allenatore. Ho conosciuto gente importante, un popolo, una piazza, un tifo incredibile. La passione si avvertiva ogni giorno e per me – ribadisco – è stata un’esperienza positiva, molto positiva”.

Nonostante il settimo posto raggiunto in classifica, perché non sei rimasto a Gela?

“Perché si erano decisi altri programmi e quindi il nostro rapporto non aveva motivo di andare avanti. Quando parlo di rapporto mi riferisco al lato calcistico. Con tanti ragazzi tutt’ora ci sentiamo…”

Con chi in particolare? 

“Beh, con tanti. In particolar modo con Gianluca Procopio…”

Cosa ti ha colpito della nostra città?

“Mi è piaciuta la voglia di emergere da una situazione particolare, la grande disponibilità, la grande accoglienza e il grande supporto. Bella gente. Gela la porterò sempre nel mio cuore”.

Il tuo rapporto con i tifosi gelesi?

“All’inizio c’è stato qualche problema, soprattutto con la società, ma la situazione è durata fortunatamente poco. I tifosi con me sono stati straordinari. Ci siamo divertiti assieme. Ogni giorno avvertivo il loro appoggio. Ci si allenava, si giocava e si cercava di ottenere risultati anche per loro”.

Ubaldo Righetti, nato come centrale difensivo, ha iniziato nelle giovanili del Latina e nel 1980 è stato acquistato dalla Roma con cui ha esordito in serie A nel campionato 1981-1982. Aveva 18 anni. Dopo è stato un crescendo. 

Ti faccio tre nomi: Nils Liedholm, Carlo Mazzone, Giovanni Galeone. Chi dei tre mostri sacri ti ha dato di più, valorizzando le tue capacità?

“Mazzone e Galeone sono stati molto importanti ma devo essere riconoscente a Liedholm che mi ha fatto esordire, mi ha dato fiducia, appena giovanissimo. Subentrai a Spinosi, Vincemmo a Cagliari. Con Carlo Mazzone avevo instaurato un ottimo rapporto. In campo si giocava anche per lui. Ho provato una sensazione bellissima, così come i miei compagni. Giovanni Galeone mi ha fatto vivere un’esperienza straordinaria a Pescara, arrivando alla conquista della promozione in Serie A, attraverso la libertà di espressione del calcio, del puro divertimento. Con tutti e tre sono cresciuto in ogni ambito e mi sono formato anche fuori dal campo”. 

Lo scudetto del 1983 rimane tuttora impresso nella tua mente?

“Assolutamente sì, non è che ne abbiamo vinti tantissimi a Roma…Ogni tanto, con i vecchi compagni, a cena, ricordiamo i nostri trascorsi in giallorosso, quello che abbiamo conquistato. E a distanza di anni da quel trionfo, senti ancora la riconoscenza dei tifosi. Il popolo romanista è semplicemente straordinario!”

Se pensi alla finale di Coppa dei Campioni con il Liverpool, persa ai calci di rigore, ti monta ancora la rabbia?

“Rabbia no ma tanta amarezza. Era una grande opportunità che purtroppo non siamo riusciti a sfruttare. La posta in palio era altissima, una finale all’Olimpico, in casa nostra ci ha pesato. Non eravamo tanto esperti sotto questo aspetto. Abbiamo affrontato la squadra più forte a livello mondiale, portandola alla lotteria dei rigori. Sappiamo tutti com’è andata, purtroppo. Una grande occasione persa…” 

Con la Roma hai vinto per due volte la Coppa Italia. Possiamo dire che giocavi in una squadra che non temeva nessuno?

“Giocavo in una squadra straordinaria che offriva un calcio all’avanguardia, un calcio totale, di grande partecipazione, di grande coinvolgimento. Eravamo apprezzati non solo in Italia, ma anche in Europa”.

Hai realizzato un solo gol in campionato. Come mai? Le aspettative erano altre…

“Ma io non ero un bomber, ero un difensore, quindi dovevo prima pensare a difendere e poi se si presentava la possibilità, cercavo di attaccare. Oltre all’unica marcatura contro l’Ascoli, ci sono andato vicino a segnare altre volte. Sono comunque soddisfatto perché in parecchie occasioni, sono stato un vero uomo assist”.

Dalla serie A ai cadetti: cosa ti hanno lasciato le esperienze vissute con l’Udinese e con il Pescara?

“Importanti e formative per una crescita personale. Ho conosciuto realtà diverse a cui sono tuttora legato. Diciamo che da una situazione agiata che vivevo a Roma, in quanto Capitale, avere cambiato aria mi ha fortificato. Ho giocato anche a Lecce, in serie A, e nel Salento ho coltivato tantissime amicizie”.

Che sensazione si prova quando si è convocati in Nazionale?

“È straordinaria, unica. Hai una grossa responsabilità. Sentire l’inno è qualcosa di irripetibile. Quando sono stato convocato, c’erano i più forti giocatori: Bruno Conti, Marco Tardelli, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Dino Zoff, Paolo Rossi…Giocatori di assoluto livello. Allenarmi con loro e condividere la maglia azzurra, ti provoca forti vibrazioni”. 

Ancora arrabbiato per l’eliminazione dell’Italia dagli ultimi Europei?

“Molto deluso. Era una vetrina importante che coinvolge tutti. Abbiamo offerto una brutta immagine. L’Italia non ha giocato assolutamente. Ha regnato la confusione più totale. La squadra non era libera mentalmente, anzi molto contratta”.

Ci rifaremo in National League?

“Finalmente si è ritornato a giocare. Spalletti ha ammesso di avere sbagliato agli Europei in alcune situazioni, soprattutto nelle scelte tattiche, e adesso ha aggiustato il tiro. In queste prime due gare, abbiamo visto la migliore espressione dell’Italia che gioca un calcio di alto livello. Ribadisco: finalmente si è ritornato a giocare”. 

Rimaniamo in tema di allenatori. Ubaldo Righetti ha intrapreso la carriera di tecnico, guidando la formazione abruzzese della Renato Curi Angolana in Serie D nel 1999-2000 e, dopo l’esperienza di Gela, la Lodigiani in C1 dove è stato esonerato a campionato in corso. Ha chiuso la sua esperienza a Vittoria, dopo avere diretto il Fano e il Tivoli, entrambe in C2. 

In serie A non è presente alcuna squadra siciliana. Come leggi questo dato?

“Dispiace, c’è un enorme potenziale. Evidentemente si va a periodi e questo è uno di quelli che servirà per riorganizzarsi. L’importante è mettere in sesto determinate situazioni, ricreare un giusto potenziale ed investire”.

Chi vincerà il campionato di serie A?

“Credo ancora l’Inter. E’ la squadra più forte”

E la “tua” Roma, dove si piazzerà?

“Spero in posizioni alte e mi auguro meglio del sesto posto che negli ultimi anni sembra essere fisso lì. Bisogna migliorare questa classifica”.

Chi è stato il giocatore più forte degli ultimi anni?

“Ci sono tanti giocatori bravi. Tra i forti dico Lautaro Martinez e Osimhen”

E l’allenatore?

“Simone Inzaghi. Ha dimostrato di essere veramente bravo”.

Hai provato anche l’esperienza in politica, candidandoti alle comunali di Roma tra le file del Partito Democratico a sostegno di Roberto Gualtieri e ottenendo 1376 preferenze tuttavia senza essere eletto. Meglio il calcio?

“Ho voluto provare perché c’era una possibilità di occuparmi di sport, che è la cosa che conosco meglio della politica in generale. Posso dire che è stata una bella esperienza”

In casa Righetti si tifa tassativamente per la “Magica” o c’è qualche infiltrato?

“A casa mia tifo solo io Roma. Solo io seguo con grande passione il calcio e nessun altro. Alla mia compagna non interessa proprio. A conti fatti gioisco e mi deprimo da solo…”

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Il procuratore Vella: “Gela merita un futuro migliore del suo attuale presente”

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Tra poco meno di 24 ore, compirà due mesi alla guida della Procura della Repubblica del Tribunale di Gela. Salvatore Vella, 55 anni, trapanese di Erice, ha preso servizio lo scorso 2 luglio, giorno dei festeggiamenti della co-patrona, Maria Santissima delle Grazie. Attento e scrupoloso nel suo lavoro, si concede al taccuino del cronista con il garbo e il rispetto che l’hanno sempre contraddistinto.

“Ho scelto di venire a Gela. Prima di farlo ho avuto un lungo colloquio con il collega e amico Fernando Asaro, che ha diretto questa Procura per più di 5 anni. Dal suo racconto, Gela era una sfida professionale impegnativa e, allo stesso tempo, un Ufficio giudiziario dove si poteva lavorare serenamente, per l’ottima professionalità dei colleghi (Giudici e Pubblici Ministeri), del personale amministrativo e per gli ottimi rapporti con il Foro”.

Cosa l’ha spinta a fare il magistrato?

“La mia scelta di diventare magistrato l’ho maturata da ragazzo, intorno ai 16 anni. Vivevo in una zona ad alta densità mafiosa e quei terribili anni ‘80 li ricordo come “anni di guerra” in Sicilia. Mi sembrava, allora, che l’unica battaglia seria contra la mafia fosse combattuta dai magistrati e dalle Forze di Polizia. Oggi mi rendo conto che le cose non erano esattamente così e che sono un po’ più complesse”.

Lei ha cominciato la sua attività di pubblico ministero a Sciacca. Terra difficile per la pressante presenza della criminalità organizzata. Per le numerose minacce ricevute, gli enti preposti le hanno assegnato una scorta. Come ha vissuto quel momento?

“I miei primi anni da magistrato a Sciacca, dove sono arrivato nel 2001, furono anni pieni di passione per il mio nuovo mestiere di Pubblico Ministero. Nella città saccense scoprii che il lavoro che avevo scelto mi piaceva tanto. Scoprii una terra bella e difficile, la provincia di Agrigento, che allora conoscevo poco. A quei tempi il Tribunale di Sciacca era presidiato da un blindato dei Carabinieri e da una vigilanza armata continua, il nostro parco auto era pieno di vetture blindate. Le indagini su Cosa Nostra erano poche e ancora rischiosissime. Già nei primi anni fui applicato alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo e cominciai ad occuparmi subito di criminalità comune e di criminalità organizzata di stampo mafioso.

Nel nostro lavoro le minacce sono ancora abbastanza frequenti, purtroppo. Fin da subito ho dovuto imparare a gestire la mia paura, per poter fare bene il mio dovere”.

Cosa le ha lasciato l’esperienza vissuta a Palermo alla Direzione Distrettuale Antimafia?

“L’esperienza alla Dda di Palermo, durata più di 10 anni, è stata complessa e formativa. Ho imparato a conoscere, dal di dentro, le dinamiche delle famiglie mafiose di Cosa Nostra della parte occidentale della provincia agrigentina, allora strettamente collegata con il mandamento di Castelvetrano e con la famiglia di Matteo Messina Denaro, in particolare.

Sono anni in cui ho conosciuto colleghi appassionati e competenti, tra cui Fernando Asaro, che allora si occupava di mafia agrigentina. Ma ho anche visto brutte situazioni conflittuali in Ufficio che avvelenavano a tratti il clima. Sinceramente, oggi che sono Procuratore della Repubblica, utilizzerò quella esperienza, anche, per non fare certi errori nella gestione dell’Ufficio e nei rapporti con i colleghi”.

E quella vissuta alla Procura di Marsala?

“La mia esperienza a Marsala fu abbastanza breve. Fui inviato lì, per poco meno di un anno, a causa della carenza di organico che allora aveva quella Procura della Repubblica, che era stata di Paolo Borsellino.

Lì ho ritrovato il mio maestro Dino Petralia, il mio primo Procuratore capo, che aveva appena terminato la sua esperienza al Consiglio Superiore della Magistratura a Roma. E’ stato bello lavorare nella mia provincia di nascita, nelle zone della mia giovinezza, vedere la realtà che conoscevo bene da ragazzo, con occhi diversi, da inquirente e da giurista”.

Lei è un attento studioso e conoscitore del contrasto all’immigrazione clandestina. In termini pratici, come si può bloccare il fenomeno?

“Il fenomeno della migrazione è un problema di dimensioni globali, ciò riguarda amplissime aree del globo e porta centinaia di migliaia di esseri umani (uomini, donne e bambini) a lasciare i luoghi dove sono nati, per spostarsi in luoghi che ritengono più sicuri per la loro esistenza o per l’esistenza dei loro cari. E’ un fenomeno che è nato con la nascita dell’uomo sulla Terra e che ha accompagnato lo sviluppo della razza umana sul nostro pianeta. La nascita degli Stati moderni e dei confini ha reso questo fenomeno un “problema” per gli Stati che ricevono i migranti. Io non ho una “ricetta” per la soluzione di questo “problema”, come magistrato sono tenuto a far rispettare la legge della Repubblica Italiana e le Convenzioni internazionali che l’Italia ha liberamente sottoscritto. Si tratta certamente di un fenomeno complesso che, in qualche modo, può essere regolamentato, che ha implicazioni sociali, economiche e anche criminali. Probabilmente dovremmo cominciare ad adottare un approccio più intelligente al fenomeno, oltre che rispettoso di norme e di diritti individuali di tutti, migranti compresi”.

Per dodici anni consecutivi, fino allo scorso giugno, è stato alla Procura di Agrigento. Cosa le ha lasciato la sua permanenza nella città dei templi? 

“L’esperienza alla Procura della Repubblica di Agrigento, dove sono stato 12 anni, è stata la più intensa e, a tratti, la più dura della mia carriera. Certamente più impegnativa della mia esperienza in Dda. La realtà territoriale di Agrigento e del suo hinterland (Licata, Favara, Canicattì, Palma di Montechiaro, Siculiana, soltanto per citare qualcuno dei 28 Comuni del circondario della Procura di Agrigento) è estremamente complessa dal punto di vista criminale, con la presenza di diverse organizzazioni mafiose, di una criminalità comune importante con saldi collegamenti all’estero, con una enorme presenza di armi clandestine sul territorio che ha pochi eguali in Italia, con una criminalità di “colletti bianchi” che esporta modelli criminali in Italia e all’estero. E’ anche una terra con una incredibile cultura, con una densità di scrittori di livello mondiale invidiabile e di una Storia millenaria. A volte è stato spiazzante essere avvolti da tanta bellezza eterna, negli stessi luoghi in cui mi occupavo di delitti atroci. Da un punto di vista umano l’esperienza più intensa che ho vissuto è, certamente, legata a Lampedusa, alle tante vite che costantemente passano da quell’isola, ai suoi incredibili abitanti e, purtroppo, a centinaia di morti in mare che ho visto in questi lunghi anni”.

Torniamo a Gela: qual è stata la prima cosa che l’ha colpita dopo avere messo piede in città?

“La prima impressione che ho ricevuto da Gela è stata la follia di un sistema viario (urbano ed extra urbano) certamente non degno di una città così importante ed economicamente viva”.

E’ soddisfacente, in termini numerici, la pianta organica presente in Procura?

“La Procura di Gela ha attualmente una pianta organica di 5 Sostituti Procuratori, oltre il Procuratore della Repubblica. Penso sia sufficiente ad affrontare le sfide criminali che offre l’intero territorio. Il problema vero è legato alla mancanza cronica di personale amministrativo, che è un pilastro fondamentale per il corretto funzionamento di un qualsiasi Ufficio Giudiziario”.

Lei, in questi anni, si è occupato, tra l’altro, di contrasto al racket delle estorsioni. Si chiede sempre la collaborazione dei commercianti e degli imprenditori ma non tutti sono pronti a denunciare. Come mai?

“La collaborazione di commercianti e imprenditori estorti continua ad essere fondamentale. Gli ultimi due decenni hanno dimostrato che, anche in Sicilia, si possono denunciare le estorsioni senza aver timore di subire conseguenze letali. In Sicilia, in quest’ambito, abbiamo fatto dei passi da gigante in avanti, certamente grazie anche alle scelte coraggiose di imprenditori e di associazioni antiracket. Quello che posso dire, dopo queste prime settimane da Procuratore della Repubblica, è che il mio Ufficio sarà sempre al fianco di chi ha subito un delitto, non abbiamo paura di fare il nostro lavoro. Ho Sostituti Procuratori che conoscono il territorio e le sue dinamiche e, inoltre, possiamo contare su una Polizia Giudiziaria (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza tra tutti) di primo livello”.

Non sarebbe il caso che anche a Gela ci fosse un’associazione antiracket dopo la cancellazione di quella precedente?

“Spero che Gela diventi, sempre di più, un territorio che acquisisca consapevolezza della sua importanza in ambito regionale, e che, quindi, nascano associazioni di cittadini che possano portare avanti istanze legittime di riscatto del territorio. Lo spero da siciliano, oltre che da cittadino acquisito di Gela.

Gela merita, certamente, un futuro migliore del suo attuale presente. Molto risiede sulla capacità dei suoi abitanti di fare squadra, di leggere le potenzialità reali di un territorio e di legarle a contesti più ampi: provinciali, regionali, nazionali ed internazionali”.

Gela, da qualche mese, ha una nuova classe politica che gestisce la macchina amministrativa. Quale consiglio si sente di dare?

“La classe politica di Gela non ha certamente bisogno dei consigli di un Procuratore della Repubblica e io non sarei certamente in grado di darli. Spero che l’amore per questa città prevalga sempre nelle scelte politiche e amministrative. Lo spero per i figli di Gela, sia per quelli attuali che per quelli che ci saranno domani”.

Le inoltro un messaggio indotto dalla vox populi: si aprono indagini su numerosi fatti di cronaca ma, finora, i “colletti bianchi” non sono stati minimamente sfiorati. Cosa dice nel merito?

“Ho una vasta esperienza in materia di reati commessi da “colletti bianchi”, sono certo che non mancheranno le indagini anche in quest’ambito, nonostante le recenti riforme non ci aiutino”.

Se non avesse fatto il magistrato, cosa avrebbe fatto?

“Se non avessi fatto il magistrato, oggi, probabilmente, sarei in Ecuador a lavorare nel Parco nazionale Yasuni, una riserva naturale che possiede la più vasta biodiversità del Mondo”.

Cosa fa nel tempo libero?

“Nel tempo libero leggo, soprattutto libri di storia, e mi tengo in movimento. Sono alla ricerca di un buon testo dedicato alla fondazione della colonia dorica di Gela e alla sua incredibile storia millenaria”.

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Ipse Dixit

Il comandante dei Carabinieri si racconta, “Gela città bellissima. No ai predatori dell’acqua pubblica”

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Lo scorso 8 giugno, ha compiuto un anno alla guida del Reparto Territoriale di Gela che comprende cinque comandi di stazione per un bacino di quasi 120 mila abitanti (oltre alla città del golfo ci sono Niscemi, Mazzarino, Butera e Riesi) con compiti di tipo investigativo e di gestione del personale. Il tenente colonnello Marco Montemagno, 42 anni, nativo di Catania, da buon siciliano ama il mare e definisce Gela una “città bellissima, piena di storia e di bellezze naturali”. 

Come ha trovato il Reparto Territoriale di Gela dal giorno del suo arrivo?

“Ho trovato un Reparto avviato, con un altissimo livello di professionalità al suo interno, impiegato costantemente non solo nelle attività di prevenzione ma anche di contrasto alla criminalità sia organizzata che comune”.

Quali sono, nel contrasto alla criminalità, le emergenze continue che presenta il territorio gelese?

“A Gela vi è un calo complessivo dell’attività delittuosa e dei reati denunciati, i reati maggiormente presenti sono quelli contro il patrimonio. I furti, per esempio, rispetto al 2023 sono in calo del 6% con un dato in aumento di quelli scoperti del 12%. Un’altra emergenza presente sul territorio di Gela erano gli incendi di autovetture, il cui dato risulta in diminuzione del 50% rispetto all’anno scorso.

Questi risultati sono certamente frutto delle attività di controllo straordinario del territorio e di prevenzione svolte non solo dai Carabinieri ma anche dalle altre forze di polizia presenti sul territorio sotto il costante controllo ed indirizzo del Prefetto di Caltanissetta”.

Il Reparto Territoriale che dirige, si occupa anche dell’ordine e della sicurezza pubblica in contesti come Niscemi e Riesi. In entrambe le città, è molto forte (e a volte violenta) l’azione criminosa portata a compimento. Come contrastarla?

“Nei territori di Niscemi e Riesi sono state portate a compimento diverse operazioni di polizia giudiziaria dirette sia alla criminalità organizzata mafiosa che comune, oltre che azioni di contrasto ai reati in materia di sostanza stupefacente. Il lavoro deve essere costante e l’azione dell’Arma dei Carabinieri, in sinergia con le altre forze di polizia e sotto le indicazioni dell’Autorità di Governo, continuerà con servizi straordinari di controllo al territorio dei centri urbani e di pattugliamento e rastrellamento delle zone rurali anche attraverso l’impegno dei reparti speciali dell’Arma come i Carabinieri dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia”.

Il blitz “Mondo Opposto”, eseguito alla fine dello scorso anno proprio a Niscemi, ha ampiamente dimostrato che le famiglie mafiose locali monopolizzano anche l’economia pulita, avvalendosi della disponibilità di armi. I commercianti e gli imprenditori cedono perché hanno paura o c’è dell’altro?

“L’operazione “Mondo Opposto” rappresenta certamente un eccellente risultato nella lotta alla criminalità organizzata e fornisce un quadro aggiornato degli equilibri e degli interessi di Cosa Nostra nissena ed in particolare del Mandamento di Gela. Permane il clima di assoggettamento degli imprenditori, ma fa capire anche che chi denuncia è tutelato dallo Stato. Stare in silenzio non serve, non aiuta, occorre fare rumore, bisogna avere fiducia nelle Istituzioni, nelle forze di polizia che di solito hanno il primo approccio con l’imprenditore, nella magistratura e nella politica. Ognuno deve fare la sua parte in questa società”.

Quanto è importante la presenza di un’associazione antiracket in un territorio oppresso dalla malavita?

“In territori come quello del circondario di Gela e non solo, le associazioni antiracket giocano un ruolo fondamentale. Esse, infatti, oltre ad operare per contrastare il racket e l’usura, hanno la possibilità di costituirsi parte civile nei numerosi procedimenti penali, tutelando gli interessi delle vittime e contestualmente rafforzare la rete di fiducia sul territorio. Occorre tuttavia che chi è impegnato in queste attività, sia consapevole del proprio ruolo. Non serve infatti avere associazioni che facciano da confidenti ma associazioni che sostengano gli imprenditori in difficoltà, che li aiutino a superare le paure accompagnandoli per mano da noi Carabinieri”.

Torniamo a Gela: determinate operazioni di polizia giudiziaria da voi eseguite, hanno portato alla luce un vasto e continuo flusso di sostanze stupefacenti. Secondo le vostre investigazioni, sono le consorterie mafiose presenti sul territorio (Cosa Nostra e Stidda) a gestirlo o si tratta di gruppi criminali indirizzati solo su questo fronte?

“Il traffico di sostanze stupefacenti nel territorio di Gela è un fenomeno sempre più allarmante. Storicamente, il traffico di queste sostanze risulta essere una delle principali fonti di sostentamento per le consorterie mafiose di Cosa Nostra e Stidda che, spesso, per il rifornimento dai paesi produttori, hanno la necessità di consorziarsi con altre consorterie quali ‘ndrangheta e camorra”. 

A Gela si soffre la sete. Manca l’acqua e ci sono interi quartieri a secco. La domanda è diretta: non vorremmo che in città, così come accertato in altri territori, fosse presente la mafia del mercato nero dell’acqua….

“Non risulta allo stato questo tipo d’interesse da parte della criminalità organizzata. Tuttavia l’emergenza idrica resta un grosso problema. Il nostro impegno è quello di verificare ed accertare che non ci siano furbetti che possano allacciarsi abusivamente alla rete idrica e sottrare acqua per le proprie esigenze o peggio ancora rivenderla a prezzi esorbitanti”. 

Nella vostra caserma c’è la “stanza rosa”, uno spazio accogliente per aiutare chi ha subito una violenza a denunciare. Quali sono i numeri allo stato attuale?

“Presso il Reparto Territoriale di Gela cosi come in quella di Mazzarino e Niscemi sono presenti le Stanze Rosa realizzate con l’apporto di Soroptimist nell’ambito del progetto “una Stanza tutta per se”, locali che vengono destinati per accogliere ed ascoltare le donne e le persone fragili, vittime di reati di maltrattamenti o atti persecutori. Nel territorio di competenza del Reparto Territoriale di Gela, nell’anno 2023 abbiamo avuto 89 casi e nel 2024 fino ad oggi 45 episodi.  Nel 2023 sono state arrestate 32 persone e nel 2024, fino ad oggi, abbiamo indagato 19 soggetti”.

Cosa vuole dire a coloro i quali non si presentano e non denunciano?

“Alle donne, alle ragazze ed ai bambini che non hanno la forza e il coraggio di denunciare, dico di fidarvi delle Istituzioni e delle forze di polizia. Dovete tendere la mano verso la nostra e fare in modo che possiamo (metaforicamente) afferrarvi. Una volta presi per mano tutto sarà più semplice. È comprensibile il timore e i dubbi che ognuno di voi può avere, ma dovete pensare che non siete soli e che basta veramente poco per essere liberi e riprendervi la vostra vita in mano. Denunciare ed informare le forze di polizia o rivolgervi ad un’associazione presente sul territorio, vi aiuterà a trovare la soluzione più adatta. Le relazioni sentimentali devono essere libere e non deve mai esserci violenza fisica o psicologica tra due persone che si vogliono bene. In caso di necessità chiamare il numero unico di emergenza 112 e andate subito a denunciare”.

Numerosi gli incontri avuti nelle scuole. Quali sono le domande più ricorrenti che le rivolgono?

“L’Arma dei Carabinieri da molti anni è impegnata a svolgere incontri all’interno delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Durante l’anno scolastico appena concluso, per esempio, abbiamo incontrato 1065 studenti divisi per 23 istituti scolastici. Durante i nostri incontri parliamo di legalità, affrontiamo il problema del bullismo e raccontiamo la storia di alcuni uomini e donne importanti che hanno dato la propria vita per la lotta alla criminalità organizzata mafiosa. I ragazzi sono molto interessati a conoscere come entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri, oppure domande sulla mia persona e sul mio percorso professionale, molti fanno domande tendenti a conoscere quali sono le sostanze stupefacenti e gli effetti sul proprio corpo.  Sono convinto che occorre comunicare dalle scuole e perseverare in tutti questi incontri con l’intento di diffondere conoscenza e metterli in guardia sulle insidie più frequenti”. 

Gli studi svolti (laurea in Scienze della Sicurezza e specialistica in Scienze della Sicurezza Interna ed Esterna), i corsi di formazione e qualificazione (master in Intelligence, perfezionamento in criminologia, lotta alla contraffazione e tutela della salute, della sicurezza, della libertà economica e d’impresa, l’abuso sui minori in ambito familiare e gli aspetti atropo-criminologici medico legali, normativi sul tema della violenza sessuale), hanno permesso al comandante dei Carabinieri del Reparto Territoriale di Gela, di affinare qualificate esperienze nelle discipline tecnico giuridiche e investigative, di gestione e controllo delle risorse umane e tecniche, di direzione strategica, pianificazione e programmazione. Consolidata e notevole è la specifica competenza tecnica nelle materie di polizia giudiziaria. Il suo primo incarico risale al 2001: comandante della sezione di grafica del Reparto Investigazioni Scientifiche (Ris) di Messina. Dopodiché (agosto 2005), il trasferimento in Calabria alla guida del Nucleo Operativo e Radiomobile del Comando Provinciale di Vibo Valentia e dal 2008, comandante della terza sezione Catturandi del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria.

“Quest’ultimo incarico – sottolinea – è il più bello che ho ricoperto finora. Io con i miei uomini svolgevamo indagini finalizzate alla cattura di latitanti appartenenti alla ’Ndrangheta, alcuni dei quali inseriti nei programmi speciali di ricerca del Ministero degli Interni. Contestualmente alle indagini per la cattura, l’attenzione si focalizzava anche sull’operatività di quella famiglia mafiosa, ricostruendo gli affari illeciti e gli elementi organici”. 

Dopo l’esperienza in Calabria, è tornato in Sicilia, guidando la compagnia di Nicosia, in provincia di Enna. Cosa ricorda di quel particolare momento?

“Il Comando della Compagnia Carabinieri di Nicosia è stato un incarico formativo e interessante, il territorio di competenza abbracciava gran parte del Parco dei Nebrodi. Ciò che ricordo con particolare affetto sono stati i due Natali passati con tutti i Carabinieri della Compagnia assieme alle nostre famiglie con la presenza, per tutti e due anni consecutivi 2015-2016, del Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, il Gen. Riccardo Galletta, oggi Comandante Interregionale a Milano. Sono state bellissime giornate di festa, cosi come siamo soliti fare in queste ricorrenze e condividere con le nostre famiglie questi momenti”. 

Ha comandato anche la compagnia di Misilmeri, in un vasto territorio che abbraccia oltre 80 mila abitanti residenti in 10 comuni e in cui è presente – da sempre – una forte e radicata presenza mafiosa. Presuppongo che non sia stato facile operare in quell’ambito…

“Beh, in realtà tutto è stato reso molto semplice dal fatto che il lavoro che faccio mi piace molto, quindi qualsiasi difficoltà si supera. La presenza di Cosa Nostra nel territorio della Compagnia di Misilmeri ha radici molto antiche, i due mandamenti Misilmeri-Belmonte Mezzagno e Villabate, negli ultimi decenni, hanno dimostrato la loro piena operatività nel settore delle estorsioni. Il teatro operativo dove lavorare certamente era molto ostile, non è stato semplice svolgere le attività di polizia giudiziaria in comuni piccoli con pochi abitanti dove per fare un pedinamento dovevi mimetizzarti molto bene. Ma la fortuna è stata quella di avere uomini e donne competenti e disponibili, ma soprattutto innamorati della loro terra, la Sicilia”.

Quali sono, nel contesto criminale, le differenze che ha potuto constatare tra la ‘ndrangheta e la mafia?

“Ci sono tantissime differenze, alcune riguardano gli interessi criminali, ma vi è una sostanziale differenza strutturale organizzativa. Cosa Nostra ha una forma fortemente verticistica, mentre la ‘ndrangheta ha una struttura di tipo unitario, con un capo che ha la funzione di garantire leggi, affari ed evitare conflitti. Le famiglie di Cosa Nostra sono saldamente legate al territorio di appartenenza e non prendono forza o consenso dai vincoli di sangue o dall’unione familiare ma dal territorio in cui operano o dal paese. Diverso dalla ‘Ndrangheta dove gli appartenenti ad una ‘ndrina sono legati tutti ad una famiglia e cosi è per i loro successori. Saranno sempre collegati da vincoli di sangue della famiglia naturale”.

Nonostante gli inviti a prestare attenzione e a rivolgersi ai numeri di pronto intervento, numerosi anziani – ultimamente – cadono nella trappola dei truffatori che, fingendosi carabinieri, portano via soldi e gioielli. Vogliamo ancora una volta spiegare come bisogna comportarsi in questi casi?

“L’Arma dei Carabinieri rivolge particolare attenzione ai soggetti vulnerabili, tra cui gli anziani, sempre più fragili di fronte alle insidie della modernità. Soprattutto le truffe sono un fenomeno sempre più diffuso e attuale, che prende di mira le persone deboli, lasciando in loro segni indelebili. Oltre al danno economico e al trauma psicologico dell’invasione del proprio spazio domestico, le vittime subiscono, infatti, anche il senso di colpa di essere state raggirate. I truffatori approfittano proprio della sensibilità emotiva e della fragilità fisica degli anziani per conquistarne la fiducia, con i metodi più disparati. Non bisogna aprire la porta a persone sconosciute. Anche se qualcuno si presenta come Carabiniere e vi fa vedere un tesserino, non basta, chiamate il 112 per informarvi”.

Lo scorso 31 maggio, il tenente colonnello ha ricevuto l’encomio semplice dal Comandante della Legione Carabinieri “Sicilia”, con la seguente motivazione: “Comandante di Compagnia operante su territorio caratterizzato da alto indice di criminalità organizzata, evidenziando elevato senso del dovere, notevole professionalità e spiccato intuito investigativo, dirigeva, partecipandovi personalmente, un’indagine nei confronti di esponenti di un sodalizio criminale dedito alle estorsioni ed altri reati aggravati dal metodo mafioso. L’operazione, che si concludeva con l’esecuzione di provvedimento restrittivo a carico di sei persone, riscuoteva il plauso dell’opinione pubblica, contribuendo ad esaltare il prestigio dell’Istituzione.” Si tratta, attualmente, dell’ultimo di una lungo serie, tra riconoscimenti e medaglie. 

A quale è legato di più e perché?

“Tra tutte le ricompense e riconoscimenti, sono certamente legato all’Encomio Solenne concesso dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri nel gennaio del 2011 a seguito della cattura del latitante Carmelo Barbaro, inserito nell’elenco del Programma Speciale di Ricerca del Ministero dell’Interno. Il motivo è certamente legato all’importanza del riconoscimento tributato dalla massima autorità dell’Arma dei Carabinieri”.

Come è nata l’idea di indossare la divisa dei carabinieri?

“Il sogno di fare il Carabiniere è nato quando ero ragazzino, intorno ai 13 anni. Ricordo che era periodo di feste e mi trovavo a casa di un mio zio che aveva fatto il Carabiniere. Ad un tratto mi chiamò e mi disse “vieni che ti faccio vedere una cosa”, aprì il suo armadio e tirò fuori una giacca dell’uniforme dei Carabinieri invitandomi ad indossarla. Misi la giacca e mi guardai allo specchio, fu amore a prima visa. Da quel momento il mio unico sogno fu diventare un Carabiniere!”  

Ha avuto un vero e proprio mentore?

“Certamente, mio padre è stato il mio mentore che in tutte le fasi della mia vita si è dimostrato un consigliere saggio, sostenendomi in tutto il percorso difficile per raggiungere l’obiettivo. Lui è stato sicuramente un punto di riferimento che mi stimolava a continuare anche quando il tragitto per diventare Carabiniere diventava difficile”. 

Cosa vuole dire ai suoi uomini?

“Ci sarebbero tante cose da dire, ma una le racchiude tutte: voglio dire ai Carabinieri di oggi e di ieri, grazie. Grazie per quello che fate ogni giorno e per la lealtà con la quale mi avete collaborato e mi collaborate. So che ciò che facciamo costa molto per i nostri affetti e le nostre famiglie, ma dobbiamo tenere duro e tenere fedeltà al nostro giuramento. Non dimenticate mai, come disse il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che viviamo la nostra vita per servire lo Stato, le Istituzioni e la collettività”. 

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