Seguici su:

Leggende e cunti siciliani

Daniele Maganuco racconta: La Signora del Bastione

Pubblicato

il

Elio e Tiziana erano una giovane coppia che finalmente aveva trovato la casa dei loro sogni, una dimora accogliente vicino alla “calata del bastione” a Gela. Dal momento in cui varcarono la soglia di quella casa, la fortuna sembrava accompagnarli. Ogni piccolo progetto si realizzava senza sforzo, e la vita scorreva serena. Tiziana, pochi mesi dopo, rimase incinta, completando la loro felicità.

Tuttavia, una notte, mentre Elio stava per addormentarsi, un movimento lo fece sobbalzare. Ai piedi del letto, seduta su una seggiola che non avevano mai notato prima, c’era una donna anziana, piccola di statura ma dall’aspetto gentile. Aveva un viso rugoso ma rassicurante, e indossava un abito nero tradizionale, con un fazzoletto legato intorno alla testa, come usavano fare le nonne siciliane. Il suo sguardo non era minaccioso, anzi, trasmetteva una pace profonda.

“Elio, non avere paura”, disse con voce calma. “Siete ben voluti in questa casa. Non siete soli. Ci siamo noi a proteggervi.”

Elio, confuso ma stranamente tranquillo, ascoltava senza riuscire a dire una parola. La donna sembrava trasmettere una presenza benevola, quasi familiare, come se fosse stata lì per prendersi cura di loro. Il giorno dopo, però, quando raccontò a Tiziana dell’apparizione, lei reagì con una forte agitazione. Non voleva più stare in quella casa, spaventata per ciò che quella visione poteva significare, soprattutto ora che aspettava un bambino.

Dopo quella discussione, l’anziana donna non apparve più. Elio, che in qualche modo trovava conforto in quella figura, iniziò a desiderare che lei tornasse. Notte dopo notte, sognava di rivederla, di ricevere un’altra rassicurazione.

Una notte, il desiderio di Elio si avverò. In sogno, la donna anziana tornò da lui, ma questa volta con uno sguardo malinconico. “Non mi farò vedere più, Elio”, disse, con la stessa voce serena. “Non posso rischiare di far del male a Tiziana o al piccolo che sta per arrivare. Proteggerò questa casa da lontano, ma a voi non mi mostrerò più.”

Da quel momento, Elio accettò la sua decisione.
La loro vita continuò a prosperare, e Tiziana diede alla luce un bambino sano.
Anche se la figura della vecchia donna non apparve mai più, Elio sentiva che la loro presenza era ancora lì, invisibile ma costante, a vegliare su di loro e sulla loro felicità.

clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Leggende e cunti siciliani

“A mminnicazione”, Daniele Maganuco racconta

Pubblicato

il

In contrada “Scomunicata”, quel nome già diceva tutto, c’era un vecchietto di Gela che ogni giorno, con qualsiasi tempo, si metteva sulla sua bici scassata e pedalava verso il suo fazzoletto di terra. Lo faceva sotto il sole rovente, quando il vento sferzava la campagna o quando il cielo si apriva in pioggia e tempesta. Lui, con la schiena curva e il cappello di paglia storto sulla testa, pedalava, borbottando contro il mondo e le divinità.Accanto alla sua terra, c’era un altro pezzo di terreno. Questo apparteneva a un niscemese che, ogni mattina, arrivava in campagna con il suo asinello.L’uomo, a differenza del gelese, sembrava sempre riposato, pronto per la giornata. Scendeva dall’asinello, si lisciava i baffi, e iniziava a lavorare con calma e precisione, senza mai una parola fuori posto.Il gelese lo guardava di sottecchi, con il viso rigato di sudore e i muscoli stanchi.Notava i frutti della terra del niscemese: più verdi, più rigogliosi, più abbondanti. E ogni volta, con ogni pedalata sulla via del ritorno, malediva il destino, Dio, e pure il sole che picchiava sulle sue spalle come un martello.Un giorno, mentre imprecava l’ennesima volta contro la zappa che non voleva saperne di entrare nella terra secca, accadde qualcosa di strano. Dal nulla, nel mezzo del proprio terreno, gli apparve Gesù Cristo in persona.Aveva lo sguardo severo e gli chiese:”Perché mi insulti? Perché ce l’hai con me?”Il gelese, sorpreso e senza un briciolo di paura, rispose:”Perché? Non lo vedi? Quel niscemese ha un asinello, arriva riposato, e guarda che raccolto che ha!Io, invece, arrivo distrutto, stanco morto, e i miei pomodori sembrano cutugna!”Gesù lo guardò con pazienza e disse:”Vuoi un asinello anche tu?”Il gelese, con un ghigno malizioso, rispose:”No, non mi serve l’asinello… fammi solo il favore di far morire quello del niscemese.”Gesù lo guardò tristemente, sospirò e scomparve, lasciando il vecchio solo con la sua terra sterile.Questa storia rappresenta in modo molto vivido un aspetto della mentalità che, purtroppo, è radicato in alcune aree della Sicilia, come Gela.Il termine “mminnicazione” coglie perfettamente l’essenza di questo atteggiamento: invece di desiderare di migliorare la propria condizione, si preferisce che chi sta meglio subisca una sorte peggiore. Il gelese della storia, invece di aspirare ad avere un asinello per se stesso, desidera che l’asinello del vicino muoia, così da non sentirsi più inadeguato.È un pensiero distruttivo, simile alla “Crab Mentality” americana, dove i granchi in un secchio tirano giù chiunque cerchi di uscire.Questo tipo di atteggiamento è deleterio per lo sviluppo e il progresso di una comunità, perché invece di incoraggiare la crescita, si cerca di abbattere chiunque emerga. Combattere questa mentalità è essenziale per promuovere una cultura di collaborazione e di solidarietà, elementi chiave per una società sana e prospera.

Daniele Maganuco

Continua a leggere

Flash news

Daniele Maganuco racconta: Una notte in balía dei pirati

Pubblicato

il

Era il 20 giugno 1575, e un’afa implacabile avvolgeva le mura di Terranova di Sicilia, l’odierna Gela. La città, circondata da terre aride e solcate dai venti del Mediterraneo, sembrava ancora portare i segni delle razzie e delle invasioni che avevano devastato la Sicilia nei decenni passati. Tuttavia, quella calda estate, le strade di Terranova furono animate da un evento di grande importanza: l’arrivo dell’arcivescovo Ludovico de Torres, una delle figure più rispettate della Sicilia.

De Torres, arcivescovo di Monreale, aveva deciso di proseguire i suoi pellegrinaggi estivi nei paesi dell’isola, compresa Terranova, che, pur essendo una piccola città fortificata, godeva di una certa importanza grazie alla sua posizione strategica lungo la costa. Al suo arrivo, il prelato fu accolto con tutti gli onori dai frati minori cappuccini, che da soli quattro anni si erano insediati in quel convento, posto appena fuori dalle mura cittadine, in una zona relativamente isolata e vulnerabile.

Il convento, un luogo di pace immerso nella quiete e a strapiombo sul mare, era protetto soltanto dalla sua posizione lontana dalle rotte principali dei mercanti, ma quell’anno, qualcosa di diverso si stava muovendo nel Mediterraneo.
Lontano dalle attenzioni delle potenze europee, il sultano Murad III aveva inviato contingenti di uomini lungo le coste, facendoli passare per pirati comuni, con lo scopo di accumulare ricchezze e bottini da riportare a Istanbul.

Quella notte, mentre il vento del mare soffiava dolcemente tra le strade polverose di Terranova, una flotta silenziosa apparve all’orizzonte, dirigendosi verso la spiaggia della città.
Gli abitanti, ormai abituati ai suoni del mare, non si resero subito conto del pericolo che stava per abbattersi su di loro. Solo le torce delle imbarcazioni e il rumore sordo dei remi che fendono l’acqua diedero il primo segnale di allarme.

I pirati erano sbarcati!

Con una precisione quasi militare, gli uomini di Murad III iniziarono a razziare le case vicino la spiaggia di Terranova, ma la città stessa rimase relativamente intatta.
La loro attenzione, infatti, era stata attirata da una notizia ben più interessante: l’arcivescovo Ludovico de Torres, ospite del convento dei cappuccini, era una preda ben più preziosa di qualsiasi bottino.

I pirati si avvicinarono furtivamente al convento, passando tra i canneti e gli ulivi che circondavano l’edificio. De Torres, immerso nella preghiera serale insieme ai frati, dove oggi sorge la villa Garibaldi, non aveva alcun sospetto del pericolo imminente.
I frati, consapevoli della vulnerabilità del convento, avevano chiuso le porte, ma queste non erano certo costruite per resistere all’assalto di uomini armati.

L’irruzione fu rapida e brutale. I frati cercarono di opporre una resistenza, ma furono facilmente sopraffatti dai pirati, che entrarono nel convento come furie nel cuore della notte.
Ludovico de Torres, sebbene terrorizzato dall’assalto, non perse la sua compostezza. La sua fede lo sosteneva anche nei momenti più bui, e mentre i pirati lo trascinavano fuori dal convento, il suo sguardo era fermo, quasi come se sapesse che il destino della sua cattura avrebbe avuto ripercussioni ben più grandi per la Sicilia.

Fu portato via sotto il cielo stellato, verso una nave ancorata poco lontano dalla costa. I pirati, soddisfatti del loro bottino, si ritirarono senza infliggere ulteriori danni alla città o ai suoi abitanti, consapevoli del valore del loro ostaggio.
Le voci si diffusero rapidamente tra le vie di Terranova ed emissari furono inviati nei paesi vicini:

l’arcivescovo era stato rapito!

I giorni successivi furono segnati dall’attesa e dalla paura. I Terranovesi pregavano affinché il riscatto richiesto dai pirati fosse pagato rapidamente, e che Ludovico de Torres potesse tornare sano e salvo.
Le trattative, seppur complicate, furono avviate dalle autorità e dalla chiesa. L’arcivescovo, nel frattempo, restava prigioniero in una nave turca, la sua fede ancora intatta, consapevole che il suo destino era nelle mani di Dio.
Il rapimento di Ludovico de Torres divenne una delle vicende più discusse nella Sicilia di quegli anni, non solo per il valore religioso dell’arcivescovo, ma anche per il simbolismo della sua cattura da parte di uomini di un’altra fede.

Il riscatto, alla fine, fu pagato, e Ludovico de Torres fu liberato dopo settimane di prigionia.
Il suo rapimento rimase una ferita aperta per la città di Terranova, che da allora visse nel terrore costante di nuove razzie e assalti.

Continua a leggere

Leggende e cunti siciliani

Daniele Maganuco racconta: Vannino e il Mistero del Mercato incantato di Manfria

Pubblicato

il

Era il giugno del 1931, un’estate calda e polverosa che avvolgeva la piana di Gela come una coperta soffocante. Vannino, un giovane modicano di 24 anni, era un “Sulamaro”, uno di quelli che, alla fine del raccolto, andava in cerca delle spighe rimaste a terra dopo la trebbiatura. Era un ragazzo robusto e silenzioso, con il viso segnato dalla vita dura dei campi e dagli anni difficili in cui aveva perso entrambi i genitori a causa della spagnola.
Orfano, e con solo il suo mulo a fargli compagnia, Vannino si era spinto fino a Gela per cercare lavoro, trovando accoglienza tra i contadini che gli permettevano di raccogliere il grano dimenticato. Dopo una giornata interminabile di lavoro sotto il sole rovente, si ritrovò a dover attraversare le colline pietrose intorno a Manfria, diretto verso Piana Marina, dove sperava di trovare un posto tranquillo per passare la notte.

La sera era calata, e la luna illuminava pallidamente il paesaggio selvaggio e isolato. Il vento caldo portava con sé l’odore del mare, ma mentre scendeva dalla collina, Vannino notò qualcosa di insolito. Alla sua sinistra, verso la torre di Manfria, sulla vallata che portava al mare, vide delle luci brillare nel buio.
La curiosità ebbe la meglio, e decise di avvicinarsi. Il mulo, che lo accompagnava fedelmente, pareva inquieto, ma lui lo rassicurò con una pacca sul collo, continuando a camminare verso quelle luci misteriose.

Quando finalmente raggiunse la valle, ciò che si trovò davanti lo lasciò senza fiato.
Un mercato, apparso come dal nulla, si stendeva davanti a lui, con bancarelle colorate e mercanti che gridavano per attirare i clienti.
La scena era irreale: tutto sembrava così vivido, eppure non avrebbe mai immaginato che in quel luogo ci fosse un mercato tanto vivace.
Le voci dei venditori, i suoni dei ferri che battevano, le risate dei compratori: tutto sembrava uscire da un altro mondo.

Vannino si avvicinò, osservando con meraviglia la merce esposta. C’erano tessuti preziosi, frutta esotica e formaggi profumatissimi. Ma c’era qualcosa di strano in quell’aria, come se il tempo si fosse fermato. Mentre cercava nervosamente qualche moneta nelle tasche per comprare qualcosa, il mulo, con uno sbuffo, fece cadere delle monete dalla bocca.
Sorpreso e incredulo, Vannino le raccolse e si diresse verso una bancarella che vendeva formaggio. Il profumo era irresistibile, e con le monete cadute, riuscì a comprarne una fetta generosa, pensando che sarebbe stato perfetto per la “mangiata i matina” del giorno dopo.

Mise il formaggio nelle “Vertile” del mulo, le sacche di cuoio che teneva legate alla sella, e si incamminò verso Piana Marina. Ma, appena girato l’angolo su un cozzo di pietra, quando provò a dare un ultimo sguardo a quel mercato straordinario, non vide altro che buio. Il mercato era sparito, inghiottito dalla notte come se non fosse mai esistito.

L’indomani mattina, quando Vannino si svegliò e mise le mani nelle “Vertile” per recuperare il formaggio, sentì qualcosa di duro e freddo. Incredulo, tirò fuori l’oggetto, solo per scoprire che la fetta di formaggio che aveva comprato si era trasformata in un lingotto d’oro zecchino.
Il peso del metallo tra le sue mani era rassicurante, e la sua mente si riempì di mille pensieri: cos’era successo la notte precedente?
E quel mercato misterioso, apparso dal nulla, avrebbe fatto ritorno?

Di certo, nessuno gli credette quando raccontò la sua storia. La gente rideva, lo considerava un sognatore, ma Vannino sapeva cosa aveva visto. Il mercato di Manfria appariva una volta ogni sette anni, e chiunque avesse la fortuna di imbattersi in esso, avrebbe portato con sé un ricordo magico e prezioso, anche se carico di mistero.

Da quel giorno, Vannino tornò spesso in quelle colline, sperando di rivedere le luci del mercato, ma non lo trovò mai più.

Disclaimer:
Durante le mie ricerche, ho trovato anche una versione simile di questa leggenda nel comune di Milena, in provincia di Caltanissetta, con alcune varianti riguardanti la natura del mercato e la trasformazione dei beni acquistati. La storia qui narrata è il frutto di una combinazione di questi racconti popolari, con l’intento di preservare e valorizzare il patrimonio culturale della nostra terra.

Continua a leggere

Più letti

Direttore Responsabile: Giuseppe D'Onchia
Testata giornalistica: G. R. EXPRESS - Tribunale di Gela n° 188 / 2018 R.G.V.G.
Publiedit di Mangione & C. Sas - P.iva: 01492930852
Pubblicità